POV NADINE
Mi appuntai il tesserino di riconoscimento sul bavero del camice e raccolsi i capelli in uno chignon ordinato. Ero riuscita in qualche modo a convincere Alec ad aspettarmi in casa, assicurandogli per una buona mezz'ora che i "mostri" rombanti non erano affatto mostri ma semplicissimi mezzi di trasporto. Quell'assurda discussione mi aveva fatta arrivare al lavoro in ritardo ed ora dovevo persino decifrare le ondate di emozioni contrastanti che giocavano ad un altalenante tira e molla con i miei nervi. Rischiavo di uscire di testa se non fossi riuscita a mettere ordine a quel caos ingombrante e fastidioso dentro la mia testa, animato solo dall'intento sfiancante di rimescolare ogni mia certezza.
Daccordo. Non credevo ancora ai viaggi nel tempo. La medicina svolgeva un ruolo chiave in questa mia convinzione, poichè era un dato scentifico che le cellule del corpo si sarebbero distrutte se trasportate oltre il normale flusso temporale. Ma d'altra parte la paura sconcertante che avevo letto sul volto fiero di quell'uomo mentre gli descrivevo a grandi linee i progressi tecnologici, calpestava ogni ricerca in campo medico, e rispolverava antiche credenze legate agli sbalzi nel tempo.
Perciò ero a un bivio. Le strade che si biforcavano davanti a me erano entrambe in salita e qualunque decisione avessi preso mi avrebbe spezzato il respiro. Avrei raggiunto la meta col fiato corto e la mia intera vita stravolta. qualunque cosa avessi deciso di credere, non avrebbe annullato la vita che stava crescendo dentro di me. E questa era l'unica verità che dovevo affrontare.
Paradossalmente sia io che quel vichingo avevamo una sola settimana per portare a termine i nostri scopi. Il suo avrebbe sancito una costante presenza da parte sua nella mia vita, il mio avrebbe stabilito su che binario avrei lasciato correre il mio futuro. Comunque non gli avrei concesso altro tempo. Scherzo o verità che fosse, perdevano di importanza a quel punto. Poichè di qualunque cosa si trattasse, l'unica a uscirne scottata sarei stata io. Lui sarebbe ritornato alla sua vita. Io mi sarei ritrovata a pagare le conseguenze delle mie scelte.
Calzai le mie flyflot e chiusi l'armadietto dopo aver nascosto il cellulare nella tasca del camice. Avrei potuto chiamare il numero fisso del mio appartamento anche se, a quel punto, non ero del tutto certa che quel vichingo avrebbe affrontato gli squilli dell'apparecchio telefonico con il giusto criterio. Non mi sarei affatto stupita se avesse deciso di prendere un coltello dal ceppo della cucina e squarciare la cornetta, reputandola un pericolo madornale per la mia incolumità. Se effettivamente si trattava di uno scherzo, dovevo impormi di non sottovalutare la sua pazzia. Al contrario, se era tutto vero, dovevo prendere coscenza che ogni cosa, agli occhi di un vichingo abituato a farsi ubbidire con la propria spada, se reputata pericolosa doveva essere eliminata.
Chiusi la porta del camerino alle mie spalle e strizzai gli occhi, abituandomi lentamente alla luce al neon del corridoio asettico. Alcune infermiere mi passarono accanto, trasportando dei carrelli per i medicinali e dedicandomi solo un'occhiata veloce. Passai accanto a loro, diretta all'accettazione dove, speravo, avessero già preparato le cartelle cliniche dei pazienti in attesa dei controlli mattutini di routine. Si respirava un'aria strana quella mattina. Ogni membro del personale bisbigliava frenetico informazioni su ciò che era successo solo il giorno prima. Il nome di Alec era, come mi aspettavo, sulla bocca di tutti, ma ciò che mi lasciò interdetta fu scoprire, dopo aver involontariamente origliato un paio di conversazioni, che le sue gesta erano state più che altro apprezzate. Ognuno dei medici che avevo ascoltato lodava il modo in cui aveva aggredito il primario, dipingendolo quasi un eroe. Dio, se solo avessere saputo che in questo momento era nel salotto di casa mia, intento a giocare con una spada della seconda guerra mondiale!
Dopo la mia lunga e dettagliata rassicurazione in merito alle "auto-mostro" ero riuscita a distrarlo mostrandogli la spada che avevo ereditato da mio nonno. Appena i suoi occhi si erano posati su quel reperto, tutto il resto del mondo era scomparso, restringendosi attorno a quella lama affilata che, per quanto ne sapevo, non aveva mai trafitto nessuno. Dentro di me, quando gliela avevo consegnata, avevo sperato che non sarebbe stata collaudata contro il postino. Ma dal canto mio, avevo reputato meno pericoloso lasciare Alec col suo nuovo giocattolino piuttosto che trascinarlo nell'ospedale dove il suo identikit era appeso sulla porta scorrevole dell'ingresso.
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SEI MIA PER DIRITTO
Paranormal2° libro della trilogia "SE TI PRENDO SARAI MIA". Da quando l'anima di Nadine è tornata nel futuro, la vita di Alec è rimasta immobilizzata nel dolore, divisa tra i rimpianti e il suo ruolo di Signore degli O'Braam. Questa routine straziante verrà s...