SEI MIA PER DIRITTO

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POV ALEC

La lasciai scivolare delicatamente a terra solo quando valutai di essermi sufficientemente allontanato da quella biblioteca. I libri che avevo intravisto sugli scaffali erano la chiave che avrebbe potuto aprire il mio mondo verso il futuro. Avrei dovuto leggerli tutti, ad uno ad uno, per poter raffrontare la mia mentalità con quella di Nadine, e sapevo che comunque non sarebbe bastato per farla innamorare di me.

Eravamo come gli scogli di due continenti diversi che si avvicinavano, inghiottendo il mare che li teneva separati. Ed era il mio scoglio che sconfinava sul suo terreno, ero io che dovevo adattarmi, lasciando alle spalle la mia superba presunzione di spingerla a fare del mio pensiero il suo stile di vita. Ero io a dover imparare ad entrare nell'ottica dell'indulgenza, ma mi rendevo conto che non potevo pretendere di riuscirci dopo anni e anni trascorsi immerso in un mondo dove i miei diritti erano divenuti regole, le regole erano i miei desideri e i miei desideri erano fuggire alle regole del mio tempo. 

"Sei uno zotico ignorante!", borbottò, sistemandosi alcune ciocche di capelli dietro la schiena.

L'offesa mi scivolò addosso, senza lasciare traccia. "Ignorante perchè ignoro, o ignorante perchè non ho l'assurda e utopistica capacità di comprendere voi?".

Le sue delicate mani si posarono al centro del mio petto, spingendo. Era tutta qui la sua forza? Scrollai la testa: avrei dovuto proteggerla di più.

"Come ti permetti di trasportarmi come se fossi un vitello? Ma lo sai che là dentro", curvò il braccio per indicare il portone della biblioteca dall'altra parte della strada, "tutta le gente ci stava fissando? Non mi importa da che epoca vieni, ma qui sei nella mia, e sarà bene che impari a comportarti come una persona civile".

Sentii le labbra stiracchiarsi.

"Ah, ti diverti!", sbraitò, tentando nuovamente di spingermi. Decisamente era più debole di quanto pensassi.

"Mi avete appena ricordato una delle nostre innumerevoli discussioni".

Sbuffò col naso e incrociò le braccia, cercando di non darmi a vedere che ero riuscito a stuzzicarle la curiosità. "E quale sarebbe?".

"Vi avevo detto io stesso di comportarvi a seconda delle regole del mio tempo".

"Senti da che pulpito!".

Feci spallucce. "Non è colpa mia se le regole del futuro minacciano la vostra reputazione e la vostra moralità, implicando una vostra continua smania di disubbidirmi".

"Io non sono tenuta a ubbidir..", si bloccò, retrocedendo di un passo per far passare una donna che trasportava un infante su una strana carrozza. "Non sperare di aver di fronte una donna incapace di usare un cervello".

"Oh, ma io ho già avuto modo di appurare la vostra intelligenza. Per quale altra ragione credete che vi protegga così tanto? Un cervello così caparbio può solo causare danni".

Il suo sguardo mi sfidò, illuminato da una rabbia a stento trattenuta. Mi aveva sempre divertito la sua collera e in più di un'occasione l'avevo stuzzicata solo per poter posare gli occhi sul  gradevole rossore che le imporporava le guance. Ma ora era diverso. La situazione si era ribaltata e non potevo concedermi errori. Dovevo piuttosto capire cosa l'avesse fatta arrabbiare così tanto e non sarebbe stato facile. Le donne erano esseri incomprensibili per natura, ed io mi ritrovavo nella scomoda posizione di dover far chiarezza sui pensieri di una femmina fuori dal comune. Era una sfida persa in partenza. 

"Danni?", digrignò i denti. "Io sono un chirurgo. Io salvo vite umane mentre tu le togli, e con una certa facilità da quanto ho potuto capire. Chi è che fa danni, quindi?".

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