PRANZO (parte 2)

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POV ALEC

Per poco mi strozzai col pezzo d'uovo. Merda! Se n'era accorta. 

"Forse ci avete messo troppa acqua. Chissà", le dissi, innocente.

Come potevo immaginare che in quell'epoca usavano vasi da notte per piantarci semi di girasole? Perchè non li coltivavano in giardino come delle persone normali? Magari gli altri lo facevano... dopotutto, Nadine richiedeva un pò di pazienza. Il suo carattere era a dir poco incomprensibile. Essendo femmina dalla testa ai piedi, non mi sarebbe bastata una vita intera per comprenderla. Ma in lei c'era molto più di questo. C'era troppa stravaganza nei suoi modi di fare, troppa affascinante follia nel suo modo di vivere. Quale donna, in fin dei conti, teneva in casa una stanza per le torture?

Un tonfo sul tavolo mi distolse da quelle congetture e mi ritrovai a fissare un libro dalla copertina scura, abbellita da un dipinto dall'aria familiare. Sembrava quasi che un pittore fosse riuscito a riportare su carta le colline che vedevo dalla finestra della mia camera da letto. La perfezione di quelle pennellate era stravolgente, ogni dettaglio era inserito al posto giusto, senza imperfezioni di alcun genere. Chi poteva essere riuscito a raffiguarre con tale maestria un panorama scolpito nella mia mente? 

"Chi ha fatto questo dipinto?", puntai il dito sull'immagine.

"E' una fotografia".

"Sarebbe?".

Nadine si mordicchiò la punta della lingua e per poco non rovesciai l'intero tavolo per obbligarla a stendersi a terra sotto di me.

"Non fatelo mai più", ringhiai, eccitato in un modo che non ritenevo possibile.

Lei mi fissò innocente, spaventata quasi dal mio cambio d'umore. I suoi denti smisero di torturare la lingua ma l'immagine ormai era già impressa nei miei occhi. Sentii l'erezione pulsare contro la morbida stoffa dei pantaloni e fui grato che tra noi due ci fosse un tavolo a nascondere il mio stato. Cambiai posizione e la pressione in mezzo alle mie gambe sembrò diminuire.

"Cos'è che non devo fare?", sembrava assolutamente sorpresa e incapace di comprendere quanto le sue gesta mi stuzzicassero.

"La vostra lingua", ammorbidii il tono. Se volevo che si innamorasse di me non potevo comportarmi come una bestia che non vedeva una donna da almeno una decina d'anni. Sebbene era questo l'effetto che lei aveva su di me. "Non mostratemela se non volete pagarne le conseguenze".

La sua bocca si chiuse con un tonfo e giurai di aver sentito i denti cozzare l'uno contro l'altro. Era delizioso il modo in cui cercava di opporsi a me.

"Giurerei che vi divertiate a risvegliare la mia passione", l'accusai, ben consapevole che in realtà, quello che tra noi due si divertiva di più ero io. La sua timidezza era così piacevole che non perdevo occasione per provocarla.

"Non l'ho fatto di proposito", si difese, posando la schiena sul piccolo schienale della sedia.

Voleva mettere distanza tra noi, era ovvio. Che ingenua, la mia Nadine. Come poteva non valutare il fatto che mi sarebbero bastati due secondi esatti per rovesciare il tavolo e prenderla sul pavimento di quella cucina? Mettere qualche centimetro tra noi non l'avrebbe di certo salvata.

"Lo fate ogni volta che arrossite". Indicai con un cenno della testa le sue guance in combustione. "Ho posseduto un certo numero di donne ben disposte a infilarsi nella mia camera da letto quando il resto del castello dormiva. Ma le loro abili doti nell'amore non mi accendevano allo stesso modo in cui riesce a fare quell'incantevole colorito sul vostro volto".

"Possiamo tornare al libro?", balbettò.

Per poco scoppiai a ridere. Era davvero troppo divertente vederla in difficoltà. Impostai i lineamenti in una maschera tranquilla e distaccata e mi finsi concentrato sul libro. "Ma certamente che possiamo. Cosa mi stavate dicendo?".

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