HO BISOGNO DI ESSERE AMATO ANCHE IO

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POV MARY

Sentivo le spighe del grano solleticarmi i palmi delle mani mentre a braccia aperte, un passo dopo l'altro, mi spingevo attraverso il campo coltivato. Le mie gambe scomparvero tra le foglie verdi che dal terreno si innalzavano fino all'altezza dei miei fianchi e per un istante mi sentii come sospesa nell'aria pulita dell'immensa vallata verdeggiante che si estendeva a perdita d'occhio. Delle pietre calcaree spiccavano solitarie al centro della vallata, fungendo da richiamo per alcuni corvi, che con il loro battito d'ali spezzavano l'immobile silenzio. Sollevai il volto e il cupo colore delle nuvole sembrò inghiottirmi letteralmente. Alcuni squarci di cielo combattevano contro il maltempo, infilandosi tra la massa compatta di nubi che, in balìa del vento, si lasciavano trascinare lungo le scogliere a strapiombo sull'oceano.

La parte più razionale di me, che non voleva sottomettersi a quella visione, sapeva che era solo la mia mente ad essere stata catapultata in quel leggendario e sconvolgente scenario idilliaco. Il mio corpo invece era rimasto immobile nel salotto di Nadine, come in trance, tremante di una rabbia che prima ad ora non avevo mai provato. Lottava per uscire dal mio corpo e abbattersi sull'uomo che, di fronte a me, mi studiava con un'espressione vagamente sorpresa. Alec O'Braam: la fonte di tutto il mio rancore, il motivo che mi aveva spinta a spogliarmi del mio ruolo di Signora e moglie, per abbracciare quello di guerriera.  

"Perchè?", sbottò, in un tentativo quasi inutile di intimidirmi. "Sai bene quanto è importante quel tatuaggio".

Mi sentii sospesa tra due mondi: mente e corpo si ero scissi. Il vento si intrufolò tra le alte spighe, attorcigliandosi attorno alla gonna lunga che ad ogni passo rimaneva incastrata tra le foglie. Il mantello viola mi si sollevò dalle spalle, attirando a sè qualche ciocca di capelli. La frangia mi frustò le tempie e smise quella lieve tortura non appena la folata gelida si calmò, soccombendo all'aria invisibile e mite del tardo pomeriggio. Non ricordavo il motivo che mi aveva spinta ad indossare quel mantello particolare, la mia mente non sapeva spiegarsi nemmeno la ragione per cui quel determinato colore inasprisse il mio cuore. In ogni piega si nascondeva un significato diverso, che mi conduceva a domandarmi il motivo per cui odiassi tanto quell'uomo, conosciuto solo cinque giorni prima. 

Rabbia, odio e rancore si stavano mescolando velocemente dentro di me, e per qualche istante dovetti lottare contro il pressante bisogno di afferrare la spada e brandirla contro di lui. Perchè lo volevo morto? La sua predisposizione al comando, unita ad un atteggiamento perlopiù prepotente erano ragioni troppo poco valide per spiegare quel mio improvviso rancore. Benchè non fosse facile andare d'accordo con lui, non vi era alcuna logica dietro il mio improvviso desiderio di vedere il suo cranio sfracellato contro la perete.

Il panico arrivò tutto d'un colpo, mozzandomi il respiro. Cosa mi stava succedendo? Perchè, nonostante il mio corpo fosse in quella stanza, riuscivo a percepire in quel modo dolorosamente vivido ogni dettaglio che la mia mente stava immaginando? 

"Dovrebbe importarmi?". Persino la mia voce sembrava diversa. Più cupa, quasi un sospiro lontano. Sembrava essere uscita direttamente dal mio sogno ad occhi aperti.

Alec feci un passo avanti, invadendo la mia piccola bolla di spazio, e con uno sguardo che traballava tra l'odio e la paura gli intimai di fermarsi. In quel momento pensai a migliaia, centinaia di modi per farlo soffrire. Lo volevo morto, questo sì, ma più di ogni altra cosa volevo vedere il suo petto sollevarsi in un ultimo agognante respiro, lasciando che la vita strisciasse lentamente fuori dal suo corpo. 

"Dovrebbe importarti, sì", mi sgridò, sforzandosi di mantenere duro il tono della voce.

Percepii il suo sbalordimento e strizzai gli occhi: c'era qualcosa nel suo volto che mi dava un senso di euforia. Era timore? Cos'era? Perchè mi faceva sentire ubriaca di potere? Prima che potessi fermarlo, un sorriso mi fece arricciare le labbra e allo stesso tempo mi accapponò la pelle. Mi sentivo sull'orlo di un precipizio; oscillavo tra la Mary che ero sempre stata e quella della visione. Tentai disperatamente e con tutte le mie forze di sbattere le palpebre, in un tentativo di risvegliarmi dal trance. 

SEI MIA PER DIRITTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora