PAURA DI AMARE

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POV NADINE

Era solo un ricordo. Uno tra un centinaio. Forse un migliaio. Un'insignificante goccia persa in un oceano di onde che si infrangevano nella mia memoria, inesorabili, incessanti. Eppure, nella sua futile consistenza, riconoscevo quanto quella singola goccia fosse indispensabile per donare forza a quell'ammasso d'acqua che pian piano stava risalendo in superficie, trascinandomi con sè verso una consapevolezza difficile da accettare.

Non mi ci dovevo aggrappare e dovevo bilanciare il panico con la razionalità. 

Cercai di contare i battiti del cuore ma andavano troppo veloci. Avevo paura di ricordare altre cose. Temevo che i ricordi tenuti sepolti nella mia memoria potessero illuminare un passato terribile. Sapevo che era una paura irrazionale, priva di fondamenta. Un solo ricordo non bastava per dubitare sulle sue parole.

Era solo un ricordo, ripetei nella mia testa. Uno solo ricordo. Uno. Uno su un migliaio. 

Stavo per convincere quella parte dentro di me che era riuscita a sfuggire dalle grinfie del panico, quando gli occhi di Alec tornarono a far capolino nella mia visuale, mandando in frantumi ogni mio tentativo di mantenere la calma. Solo allora, mentre le sue iridi scure scavavano dentro di me, capii che non era solo l'ansia scatenata da quel ricordo a gettarmi nel panico, bensì la paura di stare sola con lui. 

Lo scatto d'ira che poco prima lo aveva portato ad essere terribilmente autoritario con me, era stata la molla che aveva fatto scattare l'intero meccanismo. Una sorta di bomba che nel momento dell'esplosione aveva gettato luce su un lato del suo carattere rimasto nascosto nell'ombra fino a quel momento. Un carattere talmente dispotico da rasentare l'arroganza. Era lui l'uomo che avrebbe dovuto proteggermi e amarmi per tutta la vita? O era l'uomo che avevo conosciuto in quei giorni, curioso come un bambino e sorprendentemente dolce? Chi era Alec in verità? Com'era veramente il nostro matrimonio nella sua epoca? Mi aveva semplicemente indorato la pillola per convincermi a seguirlo senza sollevare inutili proteste?

Sbattei le palpebre, allontanando quel pensiero, confinandolo in un angolo remoto del mio cervello per trovare un pò di tregua dall'angoscia. Il mio campo visivo si restrinse, focalizzandosi su Alec. E poi restarono sole le sue iridi lucenti, fisse nella loro confusione contro di me. Per un attimo mi chiesi se fosse la mia stessa confusione che vi si stava riflettendo dentro, o se semplicemente si sentisse come me, sballottato tra lo shock e il panico di ciò che ero riuscita a ricordare. Non capivo la sua espressione. I suoi occhi erano attenti e impauriti, come se tutto ad un tratto mi fossi trasformata in una nemica. Non capivo. La mia mente era sorpresa e inerte come il mio corpo. Lo fissavo sconvolta, senza parlare, senza respirare.

"Nadine", mi chiamò, modulando la voce in una tonalità calma e rilassata, e avvicinandosi di qualche passo con movivemtni lenti e calcolati, tenendo le mani alzate e il palmo rivolto verso di me in segno di resa. 

Solo quando mi si piazzò di fronte mi accorsi che le sue pupille scattavano in continuazione verso le mie mani. Un continuo sali scendi tra il mio volto e ciò che stavo reggendo tra le dita. 

"Nadine, lasciala cadere. Per favore. Lasciala cadere lentamente, senza farti del male". 

A quel punto abbassai la testa: stretta nel mio palmo avevo una forbice. Era una di quelle forbici chirurghe di cui eravamo dotati noi medici, affilate quel tanto che bastava da recidere un'arteria con un colpo secco. Mi era rimasta nella tasca del camice dopo il mio ultimo turno in ospedale e l'avevo riposta in borsetta per riconsegnarla alla capo reparto. Non mi ero nemmeno resa conto di averla afferrata, men che meno di averla puntata contro Alec. 

Lui restò immobile a pochi passi da me, le mani ancora sollevate, lo sguardo impaurito e sconvolto che saettava dall'alto verso il basso, incapace di decidere chi tra me e la forbice fosse l'arma più pericolosa. 

SEI MIA PER DIRITTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora