22. Voglio entrare

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P.O.V. Niall

"È mio figlio?".

"Sì".

La testa mi stava esplodendo. Quel pavimento era dannatamente scomodo ma non avevo la minima intenzione di raggiungere il letto. Continuavo a fissare la lettera che avevo poggiato proprio lì su, su quelle coperte bianche della camera d'hotel. Se avessi continuato a fissare quel punto, quel pezzo di carta sarebbe potuto andare a fuoco o si sarebbe potuto autodistruggere?

No, Niall. Sei tu che potresti finire per esplodere. Per distruggere te stesso dall'interno.

"Sì".

Tre anni e mezzo. Mi aveva escluso per tre anni e mezzo. Mi veniva da vomitare. Mi alzai in piedi con l'intenzione di raggiungere il bagno, ma le mie gambe non riuscivano a muoversi. Portai le mani alla testa cercando di fare respiri profondi.

"Non puoi averlo fatto davvero!".

"Ho bisogno che tu capisca, Niall!".

"Non è possibile capire, Spencer! Tu non dovevi farlo!".

Non volevo mettermi a piangere di nuovo, ma non riuscii a farne a meno. I singhiozzi mi scossero, fino a farmi male il petto, mentre le mie mani coprivano il mio viso.

Calmati, Niall.

Mi morsi il labbro violentemente, prima di passarmi la manica della felpa sugli occhi. Camminai verso il letto e mi ci gettai di peso, cercando di calmarmi.

Afferrai il telefono sul comodino: avevo due chiamate perse di Jane, una di mia madre e un'altra di Harry.

Ignorai gli ultimi e risposi solo a Jane. - Ho un figlio. Sono padre e non lo sapevo -.

Mi rispose dopo pochissimi secondi. - Ne sei sicuro? -.

- Sì -.

"Sì".

- Vuoi che venga lì da te? -.

- No. Devo risolvere la questione da solo -.

- Va bene. Io sono sempre qui, lo sai -.

Tornai a piangere ancora, mandando a farsi fottere la dignità dei miei ventiquattro anni.

Strinsi il foglio che giaceva sul letto con una mano. "Perché ti amo".

Volevo che per una volta tutto fosse meno complicato. Volevo che non lo fosse proprio. Perché doveva sempre andare in quel modo? Perché con lei doveva sempre andare così?

Il cuscino sulla quale stavo poggiando la testa era diventato improvvisamente comodo e io, nonostante avessi creduto che non ce l'avrei mai fatta quella notte, crollai in un sonno profondo e completamente privo di ogni tormento.

Due ore prima

Spencer era riuscita a calmare Thomas abbastanza velocemente, camminando per la stanza e cullandolo tra le sue braccia, mentre continiava a ripetergli parole in italiano che non capivo.

E io restavo lì immobile a guardare la scena e a tormentarmi senza sapere che fare.

"Andiamo a preparare la cena, sì?" chiese Spencer al bambino, che rispose con un flebile "Tu".

La donna annuì e mise Thomas sul divano accanto a me. "Ci pensi tu a lui? Vi chiamo tra poco".

Io annuii e lei sparì in cucina.

Guardai Thomas che mi stava fissando a sua volta, con gli occhi ancora rossi dal pianto. Non avevo idea di cosa dire, ma poi lui si alzò in piedi sul divano e si avvicinò a me.
Si lasciò cadere a sedere sulle mie gambe e io fui stupito da quel gesto, dato che lo avevo appena fatto piangere, ma lo avvolsi comunque con le braccia.

Avrò Cura Di TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora