Capitolo 5

9 4 0
                                    


Fa ancora piuttosto caldo per essere ottobre e posso permettermi di uscire sul balcone di camera mia con i pantaloncini in spugna e la vecchia maglietta a mezze maniche azzurra che mi ha lasciato Aidan senza essere percossa da un brivido di freddo.

Il sole si sta abbassando all'orizzonte e tinge il paesaggio di un intenso arancione striato di rosa che giova al mio umore già ottimo.

Rientro in camera e mi getto sul letto collegando la macchina fotografica al computer e scarico le foto dell'ultima settimana. Sono un'ottantina e ne avrò per un bel po', considerando che devo decidere quali stampare prima di iniziare a suddividerle per categorie e posizionarle ognuna nella cartella esatta.

Stampo un paio di foto di Mr. Poe, un altro paio di Aidan - compresa quella in biblioteca, una di quelle scattate a Sveva e cinque che ritraggono la laguna - non a caso il mio soggetto preferito.

Poi sullo schermo compare JungJin.

Chissà perché questa immagine mi appare più nitida delle altre.

Probabilmente è colpa della luce che c'era questa mattina, molto intensa e certamente più diretta di quella di un luogo chiuso come la bibliotaca.

Sospiro e spengo il computer dopo aver mandato in stampa le fotografie che ho scelto e, con la pazienza che mi contraddistingue sempre quando compio quest'operazione, le appendo tutte stando attenta a fare in modo che la molletta sia posizionata nel centro perfetto del lato superiore.

«Cornelia, la cena!» strilla mia madre, che ancora non ha capito che i muri di questa casa non sono a prova d'onda d'urto e non c'è bisogno che distrugga i timpani a tutti ogni volta che deve dirmi di scendere.

Abbandono la mia prole e raggiungo i miei in cucina.

Mamma indossa ancora il tubino in jacquard verde pastello che ha messo per andare al lavoro stamattina, ma ha abbandonato i tacchi per godersi la comodità di un paio di pantofole e non si è curata di risistemare i capelli a caschetto che sembrano essere stati scompigliati da una tromba d'aria.

Mi chiedo come faccia ad essere bellissima anche con l'espressione stravolta che ha sempre quando torna a casa la sera.

Forse è tutta questione di eleganza che si acquisisce con l'età.

Mio padre, invece, uno smoking non sa nemmeno cosa sia - credo colleghi la parola a "no smoking, thank you", scritta presente ormai in ogni locale. Lui è un tipo un po' più rustico, per così dire, e tutto ciò che gli serve per vivere in pace con sé stesso sono un paio di pantaloni con centinaia di tasche in cui nascondere altrettanti attrezzi da lavoro e una serie di felpe e canottiere di colore preferibilmente nero.

A volte, quando guardo i miei genitori, mi capita di domandarmi come due persone così diverse possano andare tanto d'accordo insieme; credo che la risposta sia semplicemente amore.

«Siediti tesoro.» mi dice mamma baciandomi la tempia.

Ogni volta che lo fa, picchia con il mento contro una delle bacchette dei miei occhiali e io sono costretta a risistemarli.

Eseguo l'ordine e mi accomodo al mio posto - quello sulla destra della televisione - e aspetto che mi metta di fronte un enorme piatto di pollo, metà al curry e metà al limone, e una scodella d'insalata con carote e mais.

«A cosa devo questo ben di Dio?» domando incuriosita.

Mamma e papà si scambiano uno sguardo emozionato, poi lui prende un fascicolo che aveva appoggiato vicino al piano cottura e me lo porge.

GoldenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora