Capitolo 26

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Non c'è nessuno in palestra stasera e del resto la cosa non mi stupisce affatto; chi ci viene la domenica è certamente già passato, mentre chi non è potuto venire prima avrà optato per tornare domani.

Non dev'esserci una logica, è semplicemente così che funziona.

Inoltre, la domenica chiudono alle sette e ora mancano dieci minuti, quindi sicuramente nessuno è rimasto all'interno. Nessuno, tranne JungJin.

Ricordo come fosse successo ieri - e del resto non è poi passato così tanto tempo - la nostra serata da soli tra queste mura e queste acque, quando avevo addirittura comprato un costume introducendomi nel negozio di articoli sportivi di soppiatto - già, la ladra peggiore dei sette mari. Era stata una serata meravigliosa, diversa, magica persino, ma le cose ora sono cambiate e io non sono certa che sia magia quella che mi agita le membra.

Quando arrivo di fronte all'enorme piscina olimpionica illuminata solo dalle luci di emergenza indossando l'accappatoio che copre il costume - perché stavolta sono stata previdente - scorgo la figura di JungJin agitarsi animatamente sul fodno.

Ogni volta che lo vedo nuotare, lui sfiora sempre le piastrellette ospedaliere che decorano il fondo della piscina. Ricrodo che quando ero piccola ed osservavo il disegno irregolare composto dalle mattonelle nere incastonate tra quelle bianche ero solita credere che un giorno avrebbero preso vita tramutandosi in uno squalo e avrebbero cercato di mangiarmi i piedi se non mi fossi messa a nuotare più velocemente.

Ora mi rendo conto che quel pensiero era totalmente irrazionale, ma agli occhi di una ragazzina tutt'altro che tranquilla e dall'immaginazione in perenne subbuglio com'ero io, il fatto non sembrava poi così astratto. Ecco come facevo ad essere la più veloce del mio corso: avevo uno squalo immaginario alle calcagna e nessuno dei miei amici o istruttori avrebbe potuto salvarmi perché loro non lo vedevano.

Quanti anni sono passati dall'ultima volta che l'ho visto anche io?

«A che cosa pensi?»

Persa com'ero nei miei ricordi, ho mancato di accorgermi che JungJin è riemerso dai fondali e si è appollaiato sul bordo della piscina con i capelli scostati e le labbra curvate in un sorriso distratto.

«Al passato,» rispondo sfilando l'accappatoio e accomodandomi a poca distanza da lui «a quanto sono cambiata.»

«In meglio o in peggio?»

«Credo dipenda dai punti di vista.»

«Mi interesserebbe conoscere il tuo.»

«Probabilmente in peggio per alcune cose e in meglio per altre.»

«Sei una persona interessante, Cornelia Mazzoleni.» dice, sfiorandomi le ginocchia con i polpastrelli, quasi come se stesse cercando di aggrapparsi a me alla ricerca di qualcosa che non sono in grado di comprendere.

«Mentre tu sei una persona incomprensibile, Kim JungJin.»

«Chi di noi può dire cosa può essere davvero compreso? Non spetta all'uomo, capire.»

«A me piace capire.»

«Ma non puoi capire tutto.»

«Posso capire abbastanza

«Abbastanza, certo.» bacia il mio ginocchio sinistro e mi sento percorrere da una scossa dolorosa.

«C'è qualcosa che non mi dici.»

«Ci sono molte cose che non mi dici nemmeno tu.»

«Che genere di cose?»

«Non posso conoscerle, se non me le dici.»

«E anche se te le dicessi, come puoi avere la certezza di conoscerle poi?»

«Non posso. Non puoi nemmeno tu.»

«JungJin,» sussurro posandogli una mano sulla guancia «perché stiamo parlando in questo modo?»

«In quale modo?»

«Questo, così... ambiguo, forse?»

«Non lo so, tu l'hai detto.»

«Cos'è cambiato?»

Si allontana a sufficienza per afferrarmi i fianchi e trascinarmi con delicatezza nell'acqua.

Sento il suo corpo premuto contro il mio mentre i suoi occhi sono incatenati ai miei e sono neri, calmi, eppure mi sembrano altrettanto tormentati. Possibile che prima non fossi stata in grado di notarlo?

«Tutto,» bisbiglia allora «è cambiato tutto

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