Capitolo 11

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Michelino mio mi osserva con aria colpevole mentre lo aiuto a serrare le dita nel modo giusto.

«Scusami...» bisbiglia, ma io mi poso un indice sulle labbra e gli strizzo l'occhio per fargli capire che non c'è problema. Del resto, se ho preso quella porta in faccia la colpa è stata principalmente mia.

Mi trovo inconsciamente a sperare che le nove arrivino alla svelta, in modo da poter terminare anche il mio allenamento e raggiungere JungJin fuori di qui.

C'è stato un momento, qualche ora fa, quando ha posato le labbra sulla mia pelle e ho sentito un calore intenso irradiarsi dal punto che ha sfiorato. Non credo di aver mai provato qualcosa del genere prima, almeno non per un tocco così delicato.

Accantono immediatamente quel pensiero e torno a concentrarmi su quanto sto facendo; mai un allenamento di karate mi è parso così longevo come quello di oggi.

Fortunatamente, però, tutto è destinato a terminare prima o poi, dunque mi fiondo velocemente nello spogliatoio femminile - dati gli ultimi eventi, ritengo sia meglio specificare - e mi concedo una doccia così bollente da minacciare di scottarmi la pelle.

Il clima si sta pian piano regolarizzando per la stagione e l'autunno si apre finalmente di fronte a me. Ho sempre creduto che i colori autunnali fossero i migliori da immortalare, ma si tratta di un'osservazione prettamente soggettiva e non contraddirei chi invece sostenesse che no, la primavera è la più fotogenica delle stagioni, o lo è l'estate, o l'inverno. Il bello della fotografia è anche questo: nulla è oggettivo, ma il soggetto che decidi di ritrarre rimarrà impresso su carta lucida per sempre.

Comunque aspetto JungJin per quasi venti minuti all'esterno della palestra, ma lui non si fa vivo.

Forse ha dimenticato il nostro accordo assolutamente non specifico, o forse mi sono semplicemente immaginata che volesse vedermi quando invece non è così. Non ho nemmeno il suo numero di telefono, quindi non posso chiamarlo per domandargli cosa fare: ti aspetto o me ne vado? Quando inizio a considerare la seconda opzione come la più probabile, il ragazzo si affretta a correre verso di me sbucando da uno dei corridoi laterali visibili solo grazie alle immense vetrate dell'edificio.

Ha lo sguardo stanco, provato, gli occhi gonfi di chi ha pianto per ore ma che, dato lo sport che pratica, potrebbero essere dovuti a un eccesso di cloro.

«Scusa il ritardo,» dice sistemandosi il borsone che gli sta scivolando dalla spalla «allenamento lungo.»

«Nessun problema,» gli sorrido e gli indico la strada «se ci affrettiamo, dovremmo riuscire a prendere il pullman che passa tra dieci minuti nella piazzetta.»

«Lo so,» ammise lui «ma ho un'altra idea.»

Il sorriso fintamente complice che si dipinge sul suo volto non mi piace affatto.

Oh, ma chi voglio prendere in giro? Certo che mi piace.


Pare che l'altra idea di JungJin sia collegata al fatto che, essendo il proprietario della palestra un amico della madre, egli gli abbia concesso un paio di chiavi di scorta in modo che JungJin possa rimanere ad allenarsi più a lungo degli altri, o andare prima dell'apertura la domenica mattina.

Attendiamo che la zona sia libera e ci introduciamo di soppiatto nei locali ormai bui.

«Ce l'hai un costume?»

«No.»

«Prendine uno dal negozietto che c'è sopra la piscina, vendono cuffie, occhialini e tutto il resto. Ti aspetto giù.»

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