Capitolo 28

7 2 0
                                    

Raccontare ad Aidan quanto successo con JungJin mi sembra tanto sbagliato quando inevitabile, così mentre Oliver corre per le strade Londinesi io spiego a voce bassa gli ultimi eventi della mia vita amorosa al mio migliore amico.

Lui ascolta tutto con stoica calma, senza muovere un dito o sbattere una palpebra, ma quando gli chiedo un parere più specifico lui si appoggia le dita sul mento e scuote la testa riflessivo.

«Vedi Nelia,» dice «credo sia un tuo difetto purtroppo. Vuoi sempre sapere tutto e subito, non sei disposta ad aspettare. Purtroppo alcune persone necessitano di più tempo per superare determinati eventi. Anzi, non superare, accettare. Non so cosa sia successo a JungJin, ma non credi che sia il caso di... attendere? Quando se la sentirà di dirtelo, lo farà.»

«So che hai ragione,» ammetto arricciando il naso «ma allo stesso tempo vorrei che non fosse così.»

«Lo so tesoro,» sussurra baciandomi una tempia «lo so.»

Questa notte decido di rimanere da lui, così mi fa spazio nel suo stretto letto ad una piazza e io torno nella mia stanza solo per infilare velocemente il pigiama e sgattaiolare di nuovo nella sua.

Passiamo alcuni minuti semplicemente stesi schiena contro schiena ad assaporare il calore della reciproca presenza senza che ci sia effettivamente bisogno di parlare per sentirla, eppure ho come la sensazione che la solita spensieratezza che solitamente aleggia su di noi non sia presente.

«Aidan?»

«Sì?»

«Verrai vero? Al matrimonio dei miei?»

Lo sento irrigidirsi, ma credo quasi di essermelo immaginata perché così com'è comparsa questa tensione sembra sparire.

«Sì,» dice, e lo immagino sorridere «non potrei mai mancare.»

*

L'inaugurazione del negozio di mio padre è ormai alle porte e persino gli ultimi dettagli sono stati visti e rivisti e rivalutati di nuovo.

Non saprei dire cosa sia ad agitarlo di più, se la consapevolezza che con l'anno nuovo avrà finalmente una sua attività oppure l'imminente rinnovo delle promesse.

Alla fine, la torta prescelta è stata quella al cioccolato.

«Leonardo!» mamma fa schioccare le dita di fronte agli occhi di papà e lui sbatte più volte le palpebre come se ancora non si fosse ripreso dal sonno; questo pover uomo ha tante cose per la testa quanti sono i soldi che ha dovuto sborsare come anticipo per il locale in via Garibaldi.

«Scusa tesoro, ero distratto.»

«L'ho notato amore, ma il caffè sta letteralmente eruttando dalla moca quindi perché non mi dici cosa ti preoccupa?»

Ecco, ora ho capito chi dei due mi ha passato questa curiosità.

Certo, avrei potuto anche pensarci prima; mio padre è sempre stato uno che si fa i fatti propri, mia madre... beh, fa la psicologa. Farsi i fatti degli altri è letteralmente il suo lavoro.

In un certo senso, devo ammetterlo, è anche il mio: un fotografo è in grado di cogliere scorci della vita d'altri e tramutarli in arte. Almeno, questo è quello che sostiene la Mummia. Io non oserei darmi tanta importanza nemmeno se lavorassi per il National Geographic.

«Non è nulla cara, solo l'agitazione per via del negozio. Manca ormai molto poco.»

Ed è vero, manca pochissimo.

Manca ancora meno, però, a quando troverà il coraggio di inginocchiarsi di fronte a sua moglie per regalarle un vero anello e chiederle di nuovo la mano. Il solo pensiero di essere dietro la porta pronta a scattare una fotografia ad un momento così intimo mi fa venire le lacrime agli occhi.

«Sono orgogliosa di essere figlia vostra.»

Mi rendo conto di averlo detto ad alta voce solo quando noto i loro sguardi attoniti puntati sul mio viso.

Deglutisco l'ultimo boccone di brioche e ingurgito velocemente la tazza di latte che mi sono versata in attesa del caffè.

«Beh?» sorrido fingendo indifferenza «Neanche un abbraccio?»

Mi domando perché gliel'ho chiesto, dato che ancor prima di essere riuscita a terminare la frase me li trovo entrambi stretti intorno al collo come pitoni improvvisamente bisognosi di attenzioni più che di cibo.

«Vi amo,» sento dire a mio padre «vi amo entrambe.»

«E noi amiamo te.» risponde mia madre.

Non credo di dover aggiungere altro, perché tutto quello che potrei aver pensato è già stato detto.

*


L'atmosfera natalizia veste Venezia di molti più colori di qualunque altra città che non ha la fortuna di galleggiare sul mare.

Le luci si riflettono nell'acqua trobbia dando l'impressione di essersi tuffate tra i canali, disegnando file di luminescenti creaturine silenziose che danzano seguendo l'increspatura delle onde.

scatto una fotografia ad una piuma caduta in acqua sfuggita probabilmente ad una maschera d'esposizione appesa sulla porta di un negozio di antiquariato e la osservo seguire la corrente e sparire alle spalle di un ponte del quale mi sfugge il nome.

Ho passato la vita in questa città, eppure ogni anno mi sembra di scoprirne una nuova parte: non perché non ci sia già stata in precedenza, ma perché mi pare che abbia sempre così tanto da offrire da meritare ogni volta uno sguardo nuovo.

Percorro le vie come al solito traboccanti di turisti rischiando di essere spinta giù dalle passerelle e mi immergo tra i loro gruppi, ignorando il fatto che non ne capisco la lingua né ne riconosco l'etnia, e fotografo anche loro mentre osservano interessati la bancarella di un pittore che dipinge a mano piccole cartoline personalizzandole con la firma della persona che gliele richiede.

«Mi scusi,» domando «posso farle una foto?»

Lui, che non deve avere meno di sessant'anni, sorride e si dimostra ben disposto a lasicare che io immortali la sua presenza in questo posto, proprio oggi, proprio a quest'ora.

Decido di comprare una delle sue mini-opere, non più grandi di una fotografia, e lui mi ringrazia quando gli lascio il resto della banconota da cinque euro con la quale l'ho pagato.

«Cornelia!»

La voce che attira la mia attenzione appartiene a Sveva, la quale mi raggiunge correndo e mi getta le braccia al collo.

«Ehi, ciao! Che ci fai qui?»

«Lo stesso che fai tu, credo. I compiti.»

«Già, i compiti.» non mi sembra carino farle notare che io, in realtà, stavo scattando per il puro piacere di farlo.

«Ci beviamo un caffè?»

«Volentieri. Dovrei incontrarmi con un amico, ti dispiace se si unisce a noi?»

«No, certo che no. L'Aidan di cui mi hai tanto parlato?» domanda strizzandomi l'occhio.

«Sì, proprio quello.»

Ed ora che ci penso, credo che far conoscere questi due potrebbe essere una meravigliosa idea.

GoldenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora