Capitolo 20

11 3 0
                                    

Papà ed io passeremo la giornata a decidere che torta far preparare per il rinnovo delle promesse.

Tra le varie attività che questo nuovo matrimonio comporta, questa è certamente la mia preferita.

Mi trovo a vivere un ruolo in bilico tra quello della wedding planner e della furura sposa, così decido di approfittare dell'occasione ricavandone insegnamenti da ambo i lati, in modo da poter avere un'idea su ciò che dovrò fare al momento del mio di matrimonio - con chi questo avverrà, beh, è tutta un'altra storia e non sono in grado di affrontare la questione a quest'ora di sabato.

Comunque, a prescindere dal fatto che siano solamente le sei, quello delle torte è il pensiero che mi fa alzare sorridente stamattina - a rendermi un po' meno felice, invece, è proprio l'orario; pare che quei maledetti gatti della signora Lorenzetti non abbiano nulla di meglio da fare che importunare il vicinato con i loro intensi miagolii sofferenti.

Raggiungo la cucina strisciando i piedi sul pavimento come fossero fardelli carcerari e, senza sorpresa, mi accorgo di essere l'unica ad essersi già alzata. Mi basta uno sguardo al tavolo per capire che in realtà non è così. Mi avvicino scettica ed osservo i due post-it gialli posati l'uno accanto all'altro scritti con calligrafie totalmente differenti e mi stropiccio gli occhi sistemando le lenti degli occhiali ancora sporche dalla polvere notturna.

Il primo è di mia madre, la quale sostiene di essere dovuta tornare in ufficio a causa di un consulto richiesto dalla polizia. Nulla di inusuale data la sua professione: capita ancora che venga chiamata persino nel cuore della notte e, a quel punto, lei non può fare altro che correre in aiuto delle autorità. Non credo che sarei mai in grado di reggere un lavoro come il suo e la ammiro molto per quello che fa.

Il secondo, onestamente, è quello che mi disturba di più. Mio padre ha scritto qualcosa riguardo ad una falla nel sistema elettrico del negozio - in realtà è stato molto specifico, ma io non capisco nemmeno una parola di quello che ha scritto e non solo per il linguaggio tecnico che ha usato - e dunque non riuscirà a presentarsi con me all'appuntamento per l'assaggio delle torte.

"Lascio tutto nelle tue mani bambina mia!!!" dice il biglietto, con i punti esclamativi e tutto il pacchetto, persino una specie di emoticon sorridente disegnata con mano inesperta tanto da parere una palla da tennis con i denti rotti - non che le palle da tennis abbiano i denti, ma come ho già detto sono le sei, dovrei essere a letto, e non sono in grado di costruire ragionamenti su fondamenta solide e, per ora, nemmeno traballanti.

Sbuffando raggiungo il bagno con ancora l'ultima cucchiaiata di cereali in bocca e per sbaglio urto Mr. Poe che non senza una consistente dose di mistero ha deciso di mettersi a dormire in corridoio; solo che a causa del mio calcio ora non dorme più, ma mi dedica uno sguardo a metà tra l'odio e l'esasperazione e, quando cerco di salutarlo con quanta più gioia possibile date le circostanze, lui gorgoglia e scuote il testone alzandosi solo per cambiare posizione e donarmi così una perfetta visuale del suo maestoso deretano.

«Ti voglio bene anche io.» gli faccio notare, ma lui ormai mi ignora e così mi fiondo in doccia sperando di recuperare parte del mio aspetto naturalmente meno grottesco. Non sono certa che abbia funzionato, ma per lo meno non sono più così sconvolta per il concerto felino che mi ha accolta alla veglia.

Infilo velocemente un paio di jeans scuri e una vecchia felpa color crema stampata con la scritta hipster girl e il disegno di un enorme paio di occhiali in bianco, poi lego i capelli in una treccia a lisca di pesce ed osservo l'orologio che ora segna quasi le otto. Devo ammettere di essermela presa molto comoda, ma per lo meno ho recuperato abbastanza forze per essere in grado di affrontare la giornata che mi attende.

Da sola.

Maledetta elettricità.

*


Quando esco di casa ho lo zaino a penzoloni su una spalla e la macchina fotografica già appesa al collo, esattamente dove dovrebbe essere.
Ho deciso di regalare ai miei genitori un album fotografico del loro matrimonio: non includerò solo le foto della cerimonia, ma anche quelle dell'organizzazione che io e papà stiamo cercando di pianificare, compresi appunto i retroscena che mamma non potrà vivere in prima persona ma, sono certa, apprezzerà vedere in un secondo tempo.
Non appena mi allontano dalla porta d'ingresso, noto Aidan in giardino intento a liberare la propria bicicletta dalla catena.

Lo saluto con un cenno della mano e lui risponde con un sorriso e solleva il braccio.

Non vorrei osare troppo, ma sembrerebbe che le cose tra di noi stiano tornando ad essere quelle di sempre.

Per lo meno, me lo auguro.

«Dove vai a quest'ora?» gli domando avvicinandomi e baciandogli le guance; ha un leggerissimo strato di barba che mi punge la pelle, ma curiosamente non la trovo fastidiosa.

«In Piazza,» dice, e non ha bisogno di specificare che parla di Piazza San Marco perché lo so perfettamente «avevo intenzione di scrivere qualcosina ora che ho un po' di tempo. Magari... Magari anche disegnare, non so, solo uno schizzo. Tu invece? Non ti vedo sveglia di sabato prima delle undici dalla fine delle superiori.»

«Lascia perdere, i gatti della Lorenzetti mi hanno svegliata alle sei! Comunque mi sarei alzata lo stesso; dovevo andare ad assaggiare le torte per il tu-sai-cosa con papà, ma lui è dovuto correre in negozio ed ora spetta solo a me.»

«Responsabilità che sono certo avrai accolto con disappunto.» commenta torcendo le labbra in una smorfia divertita.

«Certo che ne sono felice! Mi dispiace solo doverlo fare da sola, è pur sempre un matrimonio e... aspetta...»

Vengo colta da un improvviso lampo di genio e immagino che il mio viso ne sia stato illuminato, perché Aidan mi osserva senza nascondere la curiosità e l'inquietudine che lo assalgono.

«Conosco quegli occhi,» dice «e di norma mi preoccupano.»

«Perché non vieni con me?» domando allora senza esitazione «Sarà divertente! E... potremmo andare comunque anche in Piazza dopo, farò qualche fotografia, giuro che non ti disturberò!»

Le guance di Aidan si colorano di un piacevole rosso mentre lui sembra riflettere sulle mie parole.

Cerco di caricare i miei occhi con quanta più dolcezza possibile, in modo che ceda alle lusinghe del cerbiatto - come le chiama sua madre - ed effettivamente quelle sortiscono l'effetto desiderato.

Aidan si passa una mano tra i capelli e sospira senza nascondere il suo bellissimo sorriso imbarazzato.

«E va bene,» conclude «vada per le torte allora.»

GoldenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora