Capitolo 17

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Aidan ed io non abbiamo mai frequentato ristoranti come invece frequentiamo le rosticcerie, ma immagino che se dovessimo sceglierne uno in particolare sarebbe l'Onda di Murano, un piccolo ristorante tradizionale affacciato sull'isola con la maggior parte dell'arredo in vetro colorato magistralmente soffiato e lucidato.

È lì che ci incontriamo all'una esatta e la cameriera ci fa accomodare ad uno dei pochi tavoli liberi nei pressi della cucina, dalla quale scaturisce un profumo decisamente invitante.

Sia io che Aidan siamo appena usciti dalle lezioni e lui, oltre ad avere lo zaino colmo di roba, ha una collezione di libri extra stretti tra le braccia che tiene posati al proprio fianco stando morbosamente attento a non farci cadere sopra nemmeno una briciola del pane che spilucca dal centrotavola.

Ordino dei bigoli al torchio mentre Aidan prende le ostriche alla veneziana e continua ad assalire la pagnotta.

«Aidan,» decido di iniziare «se c'è qualcosa che devi dirmi... ti prego, fallo adesso. L'ansia mi sta chiudendo lo stomaco e sai quanto amo i bigoli, me li voglio godere.»

Lui annuisce e allontana le grinfie dal torturato pane.

Noto che fatica ad alzare gli occhi dalla tovaglia color panna e si sta ripetutamente graffiando i lati dei pollici, gesto che ripete di continuo da quando siamo bambini per alleviare la tensione. Da che io ricordi, Aidan è sempre stato una persona abbastanza tattile; mani che si posano sulle braccia di altri senza ragione, gesti rapidi e apparentemente insensati, nervi contorti che si distendono solo grazie all'omicidio di pellicine innocenti e così via, in una serie infinita di minuscoli dettagli che, se non lo conoscessi così bene, darei semplicemente per scontati in una persona che probabilmente soffte - o ha sofferto - di iperattività. Aidan invece non è mai stato iperattivo, al contrario, ha sempre mantenuto una sorta di calma aristotelica in qualunque situazione, ed è forse solo grazie all'uso delle mani come propagatrici d'energia che è riuscito a non esplodere. Ho sempre creduto che avesse iniziato a dipingere, disegnare, costruire e scrivere per questo, per dare alle sue dita una ragione fisica per cui muoversi.

Ora, vedendo i segni rossi che solcano la sua pelle e la colla di un recente cerotto ancora impressa sull'unghia, sento una veloce fitta al cuore - talmente rapida da farmi persino dubitare di averla percepita davvero.

«Mi sto comportando da cretino,» dice e vorrei non concordare, ma ora come ora sono perfettamente d'accordo «non è mai stata mia intenzione evitarti. Dico sul serio. E non centra nessuna fidanzata gelosa o quant'altro, io... credevo di poter gestire meglio le cose.»

«Quali cose?»

«Tutte. L'università, gli interessi, tu...»

«Aidan,» gli afferro le mani bloccando l'operazione strappa-pelle e cerco i suoi sfuggenti occhi con i miei «va bene così.» ammetto «Non ti avrei mai fatto pressioni se avessi anche solo immaginato il tuo disagio.»

«È questo il punto Cornelia, io volevo le tue pressioni. Anzi, le voglio. È assurdo, vero?»

«Un po', ma quando mai sei stato normale tu?» sorride e lo faccio anche io, sfiorando con delicatezza il polso coperto dalla sua camicia nera a pois dove so che giace il nostro tatuaggio gemello.

«Quella è stata una promessa,» dice «una promessa impressa con l'inchiostro. So di averti dato l'impressione di non essere più disposto a mantenerla negli ultimi tempi, ma non è così. Io... non ho senso senza di te, Cornelia. Insomma, non si può vedere Han Solo senza Chubaka!»

«Non ho capito, mi hai appena dato del gigante peloso?» commento fingendomi inorridita, ma entrambi ridiamo al curioso paragone.

«Forse sì. O forse avrei dovuto dire Natasha Romanoff e Clint Barton?»

«Mmm... beh, non mi dispiacerebbe essere unaa rossa strafica e tutta curve. Scarlett Johansson è una gran bella donna.»

«Nemmeno a te manca nulla.»

«Oh, sei un tesoro Aidan, ma non paragonare il normale al divino.»

«Il divino sta solo negli occhi di chi vede, non è un dettaglio oggettivo.»

«Pensavo fosse la bellezza.»

«No, quella è negli occhi di chi guarda. Tra guardare e vedere c'è una differenza stratosferica.»

«Per questo in Avatar dicevano "io ti vedo"?»

«Sì, fondamentalmente sì.»

«Beh... allora io ti vedo, Aidan.»

Lui sorride e si porta una delle mie mani alle labbra sfiorandola con estrema delicatezza.

«Oh, no mia cara, ti vedo io.»

*

Michelino mio è seduto sul muretto esterno alla palestra e lascia condolare le gambe come fossero prolunghe rotte.

«Micheli... ehm... Michele, cosa fai qui fuori?» domando sedendomi al suo fianco e lasciandomi cadere il borsone ai piedi «Fa freddo, rischi di prenderti qualcosa.»

«Ho seguito il tuo consiglio maestra,» dice «ho parlato con mia mamma del ballo.»

«E?»

Sospira disperato.

«Dice che è da femmine.»

Non ho mai apprezzato quella adorabile donzella, ma da una semplice antipatia personale all'ignoranza colossale c'è una bella differenza.

«Mmm... Lo hai mai visto, con tua mamma, il film Billy Elliott?»

Michele sbatte le lunghe ciglia guardandomi incuriosito attraverso i suoi profondo occhi blu cobalto.

«No.»

«Ti consiglio di mostrarglielo allora, e di guardarlo con lei. Anzi, ti dirò di più: avevo un fidanzato qualche anno fa che era spagnolo e ballava divinamente qualunque cosa.»

«Ma lei dice che...»

«Michele,» lo interrompo io posandogli una mano sul ginocchio «non ci sono cose da femmine e cose da maschi. Ci sono le cose che ti piacciono e quelle che non ti piacciono. Se ballare ti piace e il karate invece no... allora balla. Magari con il tempo scoprirai di voler riprendere anche la difesa personale, ma ora non è il monento. La tua strada non è questa e non devi lasciare che niente e nessuno ti dica cosa è meglio per te, perché solo tu puoi saperlo. Siamo intesi?»

Michele sembra rifletterci a lungo, poi però sorride e annuisce con convinzione.

«Sì maestra,» afferma quasi gridando «glielo dirò.»

«Michele, quante volte devo dirti di chiamarmi Cornelia?»

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