Capitolo 2

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Mi manca pochissimo, svolto l'angolo di un edificio e vedo lontano l'entrata. Solo che non c'è più la fila e la folla è notevolmente diminuita. L'uomo all'ingresso però c'è ancora, fortunatamente.

-Eccomi!- Faccio sventolando il cartellino. Lo so, sono imbarazzante.

Gli arrivo proprio davanti. -Mi scusi, davvero. Mi ero dimenticata il cartellino a casa. È ancora possibile entrare?

-Sì. Presumo lei sia Arya, figlia di Michael e Jenna, Gens Venus?- chiede.
Annuisco non enfasi.
Lui fa un cenno del capo e digita qualcosa su un apparecchio. -È la penultima ad arrivare della sua Gens, quindi se non si dovesse presentare l'ultimo partecipante maschile, lei rimarrebbe fuori, ne è consapevole?-

Non sono l'ultima?
-Sì, lo so.- Se questo ragazzo non dovesse arrivare, saremo dispari, e io sarei automaticamente esclusa. Mi fa passare, dopo avermi indicato la porta in fondo a sinistra. Entro e mi ritrovo in una grande stanza dove ci sono solo sedie, la maggior parte occupate. Mi siedo su una a caso, e prendo finalmente fiato.

Ce l'ho fatta, alla fine.
Mi guardo intorno, in cerca di Adam, ma non lo vedo. Probabilmente è già entrato.

L'orologio sulla parete di fronte ticchetta incessante. E non è che sia proprio il massimo per rilassarsi, anzi. Mi rigiro il cartellino tra le dita. E se l'ultimo partecipante non dovesse arrivare? Sarò esiliata. Io, che ho sempre rispettato le regole, che non sono mai arrivata in ritardo, sarò probabilmente esiliata.

Insieme al ragazzo che non verrà, ovvio. Chi non si presenta al Test fa questa fine, è risaputo. Inizio ad agitarmi. Mannaggia a me.

Nel frattempo la sala si sta svuotando. I ragazzi entrano ed escono dalla porta sul fondo. C'è chi ha una faccia normale, ma per lo più vedo visi sollevati. È evidente che si siano tolti un peso.

Quasi verso la fine, quando siamo più o meno rimasti in dieci, la porta da cui sono entrata si spalanca.

Entra un ragazzo della mia età (ovvio, che sveglia osservazione), e tutti i presenti si girano a guardarlo. Anch'io. I suoi capelli color caramello sono tutti spettinati, e ha un'aria insonnolita, come si fosse appena alzato dal letto. Probabilmente è così.

Si dirige verso la fila di sedie davanti alla mia, ma prima di accomodarsi, rivolge uno sguardo a tutte le donne presenti. Una ad una, compresa me. Alla fine, con voce leggermente grave (sicuramente anche quella reduce dal sonno), fa: -Chi è la povera giovane che stava per essere mandata all'altro mondo?-

La sua domanda mi scombussola non poco. Alzo la mano decisa, e lo guardo in attesa che i suoi occhi incrocino i miei. Lo fanno, e per me è un colpo al cuore. Reggo il suo sguardo anche se è difficile. Incredibilmente difficile. È come se avessi un macigno sullo stomaco, e finché non sposterà gli occhi, io non riuscirò a toglierlo.
Grigi.

Alla fine sono io ad avere la meglio, perché lui distoglie lo sguardo e lo punta sulla sedia davanti a me. Si mette seduto. Non guarda più nella mia direzione. Non alza più lo sguardo a dire il vero.
È strano.

Passano i minuti, finché non rimaniamo solo io e lui all'interno della stanza. Lo vedo che gioca con il filo scucito della maglietta, ma è come se fosse in un altro mondo.
Io non gli rivolgo la parola, anche perché non saprei che dirgli. Lui non la rivolge a me.

Alla fine arriva il mio turno.
-Arya, figlia di Michael e Jenna?- domanda una donna sui cinquant'anni che fa capolino dalla porta sul fondo.

Alzo la mano.
Sento una risata soffocata provenire dall'unica persona presente nella stanza, a parte la donna. Sto cercando di trattenermi, ma è davvero difficile.

Non sono padrona di quello che sto provando. Sono sentimenti estranei alla mia persona, come d'altro canto sono estranei alla società in generale.

Quello che provo ora è rabbia. Ne ho letto qualcosa una volta, e i sintomi dovrebbero essere questi.

Mi alzo di scatto, quasi rovesciando la sedia, e mi dirigo verso la porta.
Ho rischiato di essere esiliata a causa sua, e ora ride di me?

Oltrepasso l'entrata e mi ritrovo in una piccola aula dai colori quasi inesistenti, se non fosse per il colore del lampadario giallo senape. Non so perché si dice così, chissà.

Cerco di scacciare dalla mente il pensiero del ragazzo. E ci riesco. In parte. Quello sguardo..

"No" mi dico, "È stato davvero scortese con te. Dimenticalo, tanto non lo vedi più."

La donna mi sorride: -Allora, sei pronta?-
-Eccome- Faccio io, fingendo entusiasmo con scarsi risultati.
-Stenditi allora.- Mi indica il lettino al centro della stanza.- Come già saprai, inizialmente ti sarà prelevato del sangue, poi ti saranno fatti altri esami che non ci è consentito rivelarti.- Fa una pausa, mentre io mi sdraio.-Ma non preoccuparti, è tutto nella norma.-

Dopo vari prelievi la signora, che nel frattempo ho scoperto chiamarsi Bonnie, mi congeda mandandomi in un'altra stanza, dove trovo un uomo intento a scrivere qualcosa su una cartella.

-Accomodati- Non mi guarda nemmeno.
Mi metto seduta sul lettino, mentre lui si sfila gli occhiali e si avvicina.
-Allora- Mi squadra dalla testa ai piedi. -Bel tipo. Caratteristiche fisiche normali. Lineamenti perfetti. I tuoi familiari devono essere delle persone di gran bell'aspetto, presumo.-
-Sì- Rispondo, un pò imbarazzata.
-Bene. Ora stenditi.-

Lo faccio, mentre lui digita alcune cose su una parete che a me sembra assolutamente vuota.
Appena si allontana di qualche centimetro, la parte centrale del muro si apre meccanicamente.
Mentre io sobbalzo per la sorpresa, lui mi si avvicina e mi aggancia delle cinture intorno al corpo, all'altezza dei seni, dell'inguine e delle caviglie.
Praticamente non posso più muovermi.

-Ora sarai inserita all'interno della macchina. Ci vediamo tra poco.- È una frase che avrà detto altre centinaia di volte.
In quello stesso istante il lettino si muove, e poco dopo mi ritrovo a fissare una parete bianca a quattro spanne più o meno dal mio naso.
A senso, presumo che i muri laterali siano alla stessa distanza dal mio corpo.

Sto cercando di non torcermi le mani, ma è impossibile. Sono troppo agitata.
Il muro meccanico viene richiuso e mi rendo conto di essere sola. È tutto di un bianco accecante.

Perché le cinghie? È ovvio che io non possa scappare.
Mentre penso a come mettermi più comoda, sento un bip provenire dal macchinario.
Poi il buio.

Alìtia (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora