2. You're not in this alone

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And if the world needs something better, let's give them one more reason now

Quello che Gerard provava era qualcosa di indescrivibile. Era sempre stato bravo con le parole, sapeva giocarci bene, ma in quel momento non riusciva a trovarne una che potesse esprimere il suo stato d'animo. Era un misto di tristezza, impotenza, delusione, rabbia e paura. E tutte queste sensazioni aumentavano ogni minuto di più, mentre osservava Alex. Non aveva detto una parola, eccetto "Mamma" o "Papà", tra un singhiozzo e l'altro.
Lui, Frank e il proprietario del negozio di Belle Arti avevano deciso di accompagnarla a cercare i suoi, e sembrava una buonissima idea, finché non riuscirono a parlare con degli agenti di polizia, che erano troppo indaffarati a cercare di capire cosa stava accadendo e come dovevano comportarsi per dar retta a loro quattro. E la cosa più triste, era che non c'era solo Alex, lì, a cercare i suoi genitori. C'era un'infinità di persone, tutti disperati allo stesso modo, tutti ugualmente impauriti. Donne e bambini, uomini, signori e giovani. Tutti avevano perso qualcuno, tutti volevano ritrovare qualcuno. Gerard si rese conto, lo vide nello sguardo dell'agente con cui parlarono, che molto probabilmente, non molti di loro avrebbero potuto trarre un respiro di sollievo. Molta gente non sarebbe tornata a casa. Molto probabilmente, molta gente non sarebbe stata nemmeno ritrovata.
Così si era fatta sera, e Gerard e Frank rimasero con Alex, mentre l'anziano dovette tornare a casa. Senza dire nulla si incamminarono di nuovo al Cafè. Gerard guardò l'ora sul display del cellulare. Forse sarebbe dovuto tornare a casa anche lui. Aveva avvertito i suoi che aveva da fare, che stava bene e tutto. Però aveva bisogno di respirare l'aria di casa sua, perché si stava rendendo conto che mentre lui voleva passare più tempo possibile fuori casa per starsene tranquillo e lontano dai suoi e da suo fratello, qualcuno non aveva più nessuno, ora. Era stato stupido.
Doveva ringraziare il cielo per tutto ciò che aveva e che poteva avere ancora. Aveva dato per scontato molte cose, come fanno la maggior parte delle persone che conosceva. E invece in una manciata di minuti poteva cambiare tutto. «Forse dovremmo tornarcene a casa. Hanno detto che appena avranno notizie ti chiameranno...» disse, spostando i capelli dagli occhi.
Frank si voltò a guardarlo «Se devi andare vai. Ti ringrazio per esserci stato vicino.» disse accennando un sorriso, guardando Gerard negli occhi «Però io rimango con lei, non posso certo abbandonarla ora...» mormorò.
«Giusto... Beh, allora potreste...» ci pensò un pò, poi scrollò le spalle «Potreste venire a casa mia, così se dovessero chiamare, siamo insieme... Non dovete affrontare tutta questa situazione da soli...» spiegò. Avrebbe voluto aggiungere che ora si sentiva parte di loro, perché le emozioni che avevano condiviso in quella giornata lo avevano toccato nel profondo, molto di più di quanto avesse condiviso con molti suoi amici in anni di conoscenza. Però non voleva suonare banale o stupido.
L'altro sorrise, contento di sentire quelle parole. Guardò Alex, che aveva l'aria stanca. «Credo sia un'ottima idea...» disse.

Quando Gerard fece strada fino a casa sua, Frank realizzò di essere già stato lì almeno un paio di volte. Lo guardò bene. In tutta la confusione della giornata non avevano certo avuto tempo per presentarsi per bene o chiacchierare di loro. Ora però riusciva a riconoscere dei lineamenti vagamente familiari, in un certo senso. Fu più chiaro quando lesse il cognome sul campanello. Way.
Ecco chi era! Il fratello maggiore di Mikey Way, il ragazzo occhialuto che andava in classe loro. Era stato a casa sua un paio di volte nel corso degli anni di liceo, per studiare Biologia e Matematica, in cui Frank era una capra e Mikey andava alla grande.
Ad accoglierli fu Donna, la madre di Mikey e Gerard, che corse incontro a suo figlio e lo abbracciò come se non lo vedesse da una vita.
Gerard slacciò l'abbraccio imbarazzato «Mi stai soffocando, mamma...» disse.
La signora si tranquillizzò e guardò gli altri due «Che succede?» chiese preoccupata.
Mentre Frank spiegò la situazione a Donna, chiusi in cucina, Gerard fece stendere Alex sul suo letto, imbarazzato dal caos che c'era lì dentro. Raramente ci faceva entrare qualcuno.
Le accarezzò i capelli per un pò, finché la ragazza finalmente si addormentò.
Quando tornò in cucina, sua madre, Frank e suo fratello erano seduti a tavola, nessuno di loro aveva appetito e si sforzarono di mangiare qualcosa.
«Certo che potevate chiamarmi. Sarei venuto a darvi una mano...» borbottò Mikey che aveva passato la giornata a guardare il notiziario in attesa del ritorno a casa di suo fratello.
Gerard lo fulminò con lo sguardo «Non siamo mica andati a fare una scampagnata, idiota. Che facevi, scavavi tra le macerie?».
«Calmatevi.» si intromise Donna «Che farà ora Alex se i suoi genitori sono davvero...» non riuscì a finire la frase.
«Come siete pessimisti. Magari non gli è successo niente...» mugugnò Mikey masticando una forchettata di lasagna.
«Si, e se stessero bene perché mai non dovrebbero chiamarla per farla stare tranquilla?» sbuffò Gerard spazientito. A volte pensava che suo fratello viveva in un mondo tutto suo.
«Non lo so. Per quanto ne so io, a parte i suoi genitori qui non ha nessun'altro...» mormorò Frank pensieroso. Era proprio una situazione del cavolo, e non c'era niente che potesse fare.
Donna sospirò «Proprio nessuno? Forse dovremmo chiamare degli assistenti sociali...» propose.
«In quale modo potrebbero aiutare, eh?» disse con una smorfia Gerard «Magari la sistemano chissà dove con un gruppo infinito di altri ragazzini che non sanno se i genitori sono morti in quell'attentato. O magari no, potrebberlo anche essere troppo impegnati per darle retta. Non è mica una bambina, non ne ha bisogno davvero.» protestò.
Frank si morse il labbro «E poi c'è anche il Cafè. E' la loro unica fonte di guadagno, e faceva pena già prima. Se non ci bada nessuno ad Alex non resterà davvero nulla...» mormorò pensoso.
Donna scrollò le spalle «Vedi, per questo dobbiamo chiamare qualcuno che le dia una mano!» disse insistente.
Gerard si alzò dal suo posto con uno scatto «Non è così! Possiamo aiutarla noi! Non dobbiamo per forza lavarcene le mani e lasciarla in balia di chissà chi, e con chissà quale autorita!».
«Beh, comunque dovrebbe decidere lei.» ribattè Donna.
«Oh, certo, però glielo dici tu che vuoi abbandonarla quando già non ha più nessuno e noi siamo gli unici che possono starle davvero accanto, perché vogliamo farlo, e non perché dobbiamo!».
Sua madre sorrise. Era orgoglioso di suo figlio. Lo aveva sentito piangere da bambino, quando i compagni di scuola lo prendevano in giro e lo chiamavano "strano", o si facevano grandi a suo discapito, e quando tornava a casa si chiudeva in camera sua a sfogarsi, trasferendo su carta tutto il suo dispiacere e la sua sofferenza. E crescendo era diventato più forte, ed aveva imparato ad amare gli altri nonostante tutto. Lui non odiava nessuno, nemmeno chi lo aveva trattato nel peggiore dei modi. Lui amava tutti, ed avrebbe dato anche il suo stesso cuore al prossimo, se necessario.
«Ok, quindi cosa dovremmo fare?» domandò.
Frank e Mikey, proprio come lei, guardarono Gerard in attesa di una risposta.
«Potremmo dirle di stare qui con noi, finché non accadrà qualcosa, finché non sarà lucida abbastanza per decidere da sola. E sopratutto, finché non l'avremo aiutata a superare tutto questo, se possibile, e potrà camminare da sola...» spiegò.
«Potremmo continuare a lavorare al Cafè. Non può certo gestirlo da sola, ora che ricomincia anche la scuola...» aggiunse Frank sorridente. Era un'ottima idea. Si sarebbero presi cura loro di Alex. Era il minimo che potesse fare per ricambiare tutto ciò che avevano fatto i suoi genitori e lei stessa per lui.
Gli avevano dato un lavoro col quale aveva potuto comprare le sue prime chitarre e il necessario per suonare col suo gruppo, e sopratutto erano stati sempre molto carini con lui, lo avevano fatto sentire parte della famiglia, ed Alex lo divertiva, lo aiutava a studiare e gli rendeva le giornate più allegre.
Quando finirono di cenare Gerard, Frank e Mikey si trasferirono nel salotto. Frank si fermò a guardare una chitarra acustica nell'angolo della stanza.
«Chi è che suona la chitarra?» chiese prendendola in mano. Toccò le corde e gli venne voglia di suonarla. Aveva la musica nelle vene, non c'era sensazione più bella che suonare e trasferire ogni emozione nelle note prodotte da una chitarra.
Gerard alzò la mano imbarazzato. In realtà non era un granché, sapeva suonare qualcosa ma niente di speciale. Sapeva che Frank, lo aveva sentito parlarne con Mikey durante la cena, suonava in un gruppo abbastanza conosciuto nella zona.
«Davvero? Anche io!» fece l'altro, entusiasta, spostandosi i capelli dal viso «Posso suonarla?» chiese, mettendosi seduto sul divano, accanto a Gerard.
Era una domanda retorica, Frank aveva già iniziato a suonare qualcosa. Niente che Gerard avesse mai sentito in precedenza. Stava semplicemente creando qualcosa di nuovo, e di magico. Gli venne istintivo chiudere gli occhi, e come poggiò la nuca sul poggiatesta del divano, la mente si affollò di parole ed immagini di quella giornata. Lacrime, disperazione, confusione, e il fumo, il fuoco, le sirene delle ambulanze, le immagini del notiziario, la voce spezzata di Alex, l'abbraccio con Frank.
Era stato stupido a pensare di avere tanto tempo da sprecare. Era stupido pensare di poter sprecare una vita così. Doveva fare qualcosa. Doveva dare un senso a tutto. Non c'era tempo da perdere, si rese conto che da un momento all'altro la vita può scivolarti via, e tutto quello che avrai fatto sarà stato trascinarti nei giorni senza concludere assolutamente nulla. Essere vivi era un privilegio, era qualcosa per cui doveva ringraziare il cielo, e sopratutto, era l'occasione per poter dare qualcosa, per poter aiutare, per poter fare.
Non avrebbe più dato per scontato nulla.

Alex dormì tutta la notte, anche se il suo sonno fu irregolare e colmo di sogni fatti di scene paurose e tristi. Quando si svegliò aprì gli occhi di scatto, con la sensazione di essere in ritardo. Si tirò a sedere sul letto e si guardò intorno.
Dalla finestra il sole filtrava da uno spazio tra le tende tirate, illuminando a malapena la stanza. Era tutto scuro e c'era odore di chiuso. Sulle pareti c'erano un mucchio di disegni e quadri e sulle mensole c'erano gli action figure dei supereroi. Si alzò ed aprì la porta, quando riuscì a trovarla inciampando tra scarpe e vestiti gettati sul pavimento.
Sentì il rumore dei piatti nel lavandino, e per un attimo sorrise, sperando che ci fosse sua madre. Capitava spesso di svegliarsi dietro quel suono ed andare in cucina, dove sua madre stava sistemando dopo aver preparato una colazione abbondante che bastava almeno per metà Belleville.
Seguì quel suono ed andò in cucina. C'era una donna che non aveva mai visto prima, con dei lunghi capelli biondi, che lavava delle tazze nel lavandino.
Si voltò, come se avesse sentito la sua presenza, e le sorrise.
Ad Alex veniva da piangere, ma non ci riuscì. Le lacrime si erano stancate di scendere. Ed ora, la preoccupazione e la paura del giorno prima, si erano trasformate in rabbia e disperazione.
Avrebbe potuto uccidere qualcuno, se fosse servito a portarle i suoi genitori. Avrebbe venduto l'anima per raggiungerli, ovunque si trovassero, anche se erano morti. Sapeva che era così. L'avrebbero chiamata, l'avrebbero cercata ovunque, avrebbero mandato una squadra speciale a prelevarla se fosse stato necessario.
Guardò l'ora sull'orologio a parete, appeso accanto al frigorifero. Erano passare più di 24 ore. Fece un respiro profondo. E chiunque fosse quella donna, sentì il bisogno di abbracciarla.

«Questo pezzo è bellissimo!» disse Matt a Gerard, tutto contento, quando finalmente riuscirono a dar vita alla canzone che aveva avuto in mente Gerard per tutta la notte, o meglio, da quando aveva sentito Frank suonare.
«Dovremmo portarci ad un altro livello, sai? Suonare più live. E poi abbiamo bisogno di un chitarrista decente, io faccio pena...» disse Gerard guardando fuori dalla finestra della stanza adibita a sala prove a casa di Matt. I due avevano formato una band da qualche tempo, ma non era niente di speciale. Ora Gerard voleva fare sul serio.
«Beh, potremmo chiedere a quel tipo che era al Liceo con noi. Si chiama Ray, suona ogni tanto con degli amici... Potremmo andare a vederli suonare una di queste sere e proporglielo...» rispose.
Gerard ci pensò su. Era un'ottima idea. Aveva visto suonare Ray un paio di volte ed era rimasto stupito da tanta bravura. Era un chitarrista ottimo, e sperò che avrebbe accettato la proposta.
E suo fratello Mikey aveva imparato a suonare il basso, e si sarebbe volentieri unito al gruppo, lo aveva detto un sacco di volte.

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Grazie mille bella gente.

Le confusioni più grandi le procura il CuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora