9. Quel Maggiordomo, Premuroso

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Convincere Ciel a lasciare la presa sulle sue spalle non fu semplice. Le sue piccole e fragili dita non ne volevano sapere in alcun modo e nemmeno l'offerta di un buffet di dolci riuscì a persuaderlo.

« Signorino, non potete restare così per sempre. »

« Posso, invece. » obiettò il ragazzo. « Ho freddo. » Si aggrappò meglio a lui e nascose il viso contro il suo petto. Chiuse gli occhi e inspirò quel profumo familiare. « Preparami un bagno. » ordinò. Così, forse, la sua pelle avrebbe smesso di prudere.

« Come desiderate, signorino, ma dovrete lasciarmi andare. »

Ciel annuì, imbronciato. Si lasciò deporre sulle lenzuola ancora in ordine e si appallottolò nel frac come un gatto. L'odore di Sebastian – l'odore di suo padre – era abbastanza forte da mantenerlo calmo, ma non del tutto sufficiente. Si aggrappò ad un cuscino e chiuse gli occhi, nella speranza che almeno quello gli desse un'illusione di contatto fisico. Non riusciva a dimenticare la sensazione di quelle lingue addosso, che lo spogliavano e assaggiavano. Gli dava i brividi. È passato. È passato. Sebastian l'ha ucciso. Mugolò e affondò il viso nel cuscino, ma la sensazione non accennava a sparire. Piccole stille salate corsero lungo le sue guance. Le scacciò con rabbia e si sforzò di non fare rumore nel tirare su con il naso. Non voleva sembrare debole, anche se aveva paura. Non poteva permettere né a Sebastian, né a nessun altro di vedere quanto fosse profondo l'abisso nel suo cuore.

« Il bagno è pronto, signorino. »

Il Conte si riscosse. Alzò gli occhi verso il maggiordomo e annuì. Si tirò su, avvolto nella giacca del demone, e si trascinò fino alla vasca. Non avrebbe voluto privarsi della sua protezione, ma si costrinse ad abbandonarla per affidarsi all'acqua. È più calda del solito. notò, ma la cosa non gli dispiacque. Era gradevole e lo faceva sentire leggero. « Sebastian, lavami. » ordinò.

« Sì, signorino. » Il demone gli fece chinare il capo all'indietro e, con una brocca, gli versò l'acqua calda sui capelli, quindi cominciò a insaponarli. Il suo tocco era delicato e attento come al solito, eppure aveva qualcosa di strano.

Ciel chiuse gli occhi e sospirò. Si schiarì la voce, ma non riuscì a trovare le parole per cancellare quel silenzio opprimente.

« Qualcosa non va, padroncino? »

« No. » mentì il Conte. « Stavo solo pensando. » Abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Tremavano, di nuovo. « Dammi il sapone. »

Sebastian annuì e fece colare via la schiuma. « Volete che vi lasci solo? »

« No. Resta. »

« Sì, padroncino. » Il demone gli porse il flacone di sapone e rimase al suo fianco, in attesa.

Ciel si strofinò il liquido sulle braccia e sulle gambe con rabbia, ma non riuscì a fermare il tremore. Gli occhi gli pizzicarono e quella sensazione acre e pesante gli gonfiò il petto. Oh, no. Oh, no. No, no, no. Doveva fermare le lacrime. Non poteva piangere, soprattutto davanti a Sebastian. Si morse le labbra con forza, ma non servì a molto. Gli sfuggì un singhiozzo e qualcosa si spezzò in lui. Mise la testa sott'acqua, per nascondere altri versi, ma la mano pronta del maggiordomo lo riagguantò subito e lo tirò fuori. « L-Lasciami, Sebastian! » urlò, stridulo. La sua voce era ormai spezzata e nei suoi occhi spiccava la paura.

« No. »

« Come osi? Questo è un ordine, Sebastian. Lasciami. »

« No. » Il tono del maggiordomo era pacato, ma deciso. I suoi occhi erano calmi, eppure la piega dura delle sopracciglia e delle labbra aveva il sapore del rimprovero. « Non posso permettervi di fare del male a voi stesso, padroncino. Va contro la mia estetica. »

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