Extra: Oltre le Nebbie del Tempo

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Bonsoire, meraviglie! Come ve la passate?

Sì, so che è strano aggiornare questa storia dopo tanto tempo, ma devo fare un annuncio speciale e super-importante.

A partire da quest'estate, ho lavorato a una raccolta di racconti ispirati ai tarocchi. Non ci guadagno niente, perché tutti i proventi andranno alla Fondazione Telethon, però è stato bello imbarcarmi in questa cosa e mettermi alla prova.

Siccome oggi è partito il preorder dell'ebook su Amazon e da mercoledì dodici sarà disponibile anche il cartaceo, ho deciso di regalarvi un estratto di uno dei miei racconti preferiti, che (guarda caso!) è ambientato a Londra.


XVIII 

Mostri sotto il letto, ovvero la Luna


Jane si voltò su un fianco. Quel letto vecchio e bitorzoluto non le era mai piaciuto. «Bar?»

Nessuna risposta. Solo un sibilo.

Rotolò bocconi e lasciò penzolare la mano oltre il bordo, con il viso affossato nel cuscino imbottito alla buona.

Il tocco gelido sulla pelle le provocò un'ondata di rassicurante pelle d'oca.

«Bar?»

«Sh, bimba. Sveglierai gli altri.»

Sbuffò. Si avvolse nelle coperte, ma il sonno se n'era ormai andato del tutto, dopo l'ennesimo incubo. Calciò via le lenzuola, si mise seduta e calzò le pantofole pelose che le avevano regalato per Natale. «Andiamo a parlare da un'altra parte.»

Bar la seguì e si richiuse alle spalle la porta dello sgabuzzino in fondo al corridoio. «Cosa volevi dirmi con tanta urgenza?»

Si torturò le mani. Alla luce dell'alba, tra scope e detersivi, non sembrava più una buona idea. Ma almeno è realizzabile.

Gli altri non ne avevano certo di migliori. La lettera di Rose al Comitato era stata ignorata e le era stato notificato che la cerimonia si sarebbe svolta senza eccezioni allo scoccare del suo decimo compleanno. John aveva sbraitato contro quella decisione con eccezionale vigore, per un bambino di nove anni, e non faceva che parlare di rivolta da mesi. Insisteva a dire che, se si fossero coalizzati, non avrebbero potuto costringerli, ma non capiva che erano solo sei bambini contro un intero mondo di adulti – e, a dirla tutta, se non era riuscito a convincere nemmeno lei e Rose, come avrebbe potuto trascinare gli altri nella sua crociata?

Lei era molto più ragionevole.

«Allora?»

«È vero che i bambini cattivi diventano mostri?»

«Cosa te lo fa credere?»

«Rispondi. È vero?»

Barska la sondò con i suoi occhi gialli da rettile e si leccò le labbra squamose. La pelle verde pallido era fredda e si perdeva all'altezza dei fianchi nelle squame della coda, arrotolata a formare un solido appoggio per il busto, coperto da un'anonima polo bianca.

«Bar?»

La lamia sospirò. «Secondo alcuni di noi, sì, ma, se vuoi la mia opinione, sono solo storielle. Non ci sono prove da nessuna parte, nei nostri archivi.»

«E se fossi io la prima?» Si torturò più forte le mani. Lo aveva detto sul serio. Deglutì a vuoto e guardò la creatura che da tre anni era il suo mostro, dopo che tutti gli altri erano scappati dall'inferno che all'epoca chiamava casa. Aveva una paura indiavolata che scoppiasse a ridere.

Barska non lo fece. Si chinò verso di lei, le sollevò il viso con le sue dita lunghe e sottili e le accarezzò le guance come supponeva avrebbe fatto sua madre, se fosse sopravvissuta al parto. «E perché vorresti diventare un mostro?»

Arrossì tanto che le orecchie divennero di fuoco. «B-Be'... ecco...» Ormai sono in ballo. Tanto vale ballare. Prese fiato. «Così potrei vivere a Mostrolandia con te! I-Insomma... n-nel posto da dove vieni, ecco. Hai capito, dài!»

«E perché vorresti vivere a "Mostrolandia"?»

«Come sarebbe a dire "perché"? Se restiamo qui, tra meno di una settimana dovrò ucciderti... e non voglio! Tu mi hai salvato. Sei... sei...» Le parole le morirono in gola. Qualsiasi combinazione sembrava sbagliata.

Ma Barska aveva capito, da ben prima che aprisse bocca: non era mai stato un vero segreto. Era naturale, del resto, dopo che la lamia si era spinta così oltre per lei.

I mostri non avrebbero dovuto impicciarsi delle cose degli umani. Tutti gli spauracchi venuti prima di lei avevano fatto di quella regola il loro mantra e, uno dopo l'altro, l'avevano lasciata sola. Barska no. Lei aveva deciso di sporcarsi le mani – letteralmente.

Prima aveva provato con le buone e, per un po', aveva funzionato. Suo padre l'aveva piantata con le visite notturne e lei non aveva mai dormito così bene, con la lamia accucciata sotto il suo letto come un enorme, squamoso mastino.

Ma, sbollita la paura, tutto era ricominciato.

Barska era via e, al suo ritorno, l'aveva trovata accartocciata in un angolo, piena di lividi, graffi e lacrime. E qualcosa era scattato.

Tutto ciò che ricordava di quel giorno, oltre al lampo nei suoi occhi gialli, erano gli artigli sporchi di sangue, la gola squarciata di suo padre e il crepitio del fuoco.

Poi era stato il momento degli assistenti sociali, che si erano limitati a trovarle l'orfanotrofio più vicino. Non era bruttissimo, ma le maestre non insegnavano loro come stare al mondo. «Lo faremo quando vi sarete liberati dei mostri.» dicevano.

Ma lei non ci credeva. Per niente. Perciò voleva diventare un mostro.

«Sai che, se diventassi un mostro, non potremmo più stare insieme?»

Sussultò e guardò la lamia dal basso.

«Andresti alla scuola dei mostri e verresti assegnata anche tu a qualche bambino. E moriresti. È davvero questo che vuoi?»

Annuì. Non le importava, se poteva combinare qualcosa di buono. Avrebbe avuto tempo per mettere in atto il suo piano. Cinque anni non erano tanti, ma le sarebbero bastati. Avrebbe fatto in modo che bastassero. «Aiutami, Bar.» sussurrò. «È importante.»

Barska la abbracciò. «Come sempre, bimba.» promise. La tenne tra le proprie spire per un secondo di troppo, a dispetto dei brividi che il suo corpo le trasmetteva, poi la riportò in camera.

Jane apprezzò quell'ennesima effrazione alle regole. Affondò di nuovo il viso nel cuscino e si riappisolò alla velocità della luce.

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