33. Quel Maggiordomo, Notevole

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Un febbrile chiacchiericcio si diffuse tra i nobili, non appena mise piede nella sala.

Ciel se ne accorse subito, abituato alle chiacchiere che il Bel Mondo londinese si scambiava anche in sua presenza. Che fosse per il suo aspetto, o per Sebastian che lo seguiva come un'ombra, non gli importava. Non avrebbe messo neanche un'unghia in un mondo sconosciuto, senza il suo maggiordomo.

« Il conte Ciel Phantomhive di Londra. » lo presentò il banditore, ritto accanto ai troni in fondo alla sala. « Viene a porgere i suoi rispetti alle Loro Fatate Maestà accompagnato dal demone Sebastian Michaelis, suo servitore. »

Si inchinò con tutto il busto e rivolse ai sovrani un'occhiata di sottecchi.

Titania era molto più bella di come la disegnasse la letteratura, con i lunghi capelli rossi che le incorniciavano il viso bronzeo e scendevano oltre le spalle sottili. Gli occhi azzurri – senza sclera, né pupilla – riuscivano ad apparire gentili persino nel posarsi sul maggiordomo, che restava in posizione eretta senza la minima intenzione di mostrare deferenza.

Lo stesso Oberon, con i suoi tratti spigolosi e le lunghe dita affusolate, poteva vantare una grazia pacata, ma non effimera, che ben sposava il candore della chioma e la sfumatura argentea dell'incarnato. I suoi occhi neri avevano un che di vacuo, eppure davano a Ciel la sensazione che potessero scavare a fondo nella sua anima. « Nostro giovane ospite » disse, in perfetto inglese « ti siamo grati per aver spazzato via una piaga che nei secoli si è fatta sempre più virulenta. Da oggi in poi, i nostri discendenti potranno vivere in pace nel tuo mondo e questo solo grazie a te. Per questo, il nostro popolo è in debito con te e abbiamo deciso di ripagarti con un dono di pari valore. »

Il conte si irrigidì e dovette farsi violenza per non guardare Sebastian.

Il re chiamò un paggio, che portò al ragazzo un'ampollina colma di polvere dorata, posata su un cuscino di seta rossa. « Questa polvere contiene il potere della nostra famiglia. Se la verserai su tua moglie, tutti i tuoi figli e discendenti avranno la benedizione della natura e saranno protetti da ogni forma i oscurità. » Rivolse una rapida occhiata al demone, quindi tornò a guardare Ciel. « Non è un dono che concediamo a cuor leggero, perciò ti preghiamo di usarlo con saggezza. »

« Lo farò, Maestà. » rispose il conte, con un nuovo inchino. Fece un passo indietro, pronto a ritirarsi, ma regina lo trattenne.

« La via che percorri è tortuosa, insanguinata ed è destinata a una brusca conclusione. » mormorò, con un tono dolce che riusciva a rendere meno amare quelle parole. « Ma con quella stessa polvere potreste liberarvi dal giogo che portate e vivere una vita piena e felice. Dovete solo desiderarlo. »

Ciel sorrise e si rigirò l'ampollina tra le dita. « Lo terrò a mente, Maestà. » rispose. « Prometto che ne farò buon uso. » Si inchinò ancora e prese congedo per mescolarsi con gli altri invitati. Non c'era nessuno, tra questi, con cui potesse parlare, per cui si relegò in un angolo, come al solito. Non osava rivolgere la parola nemmeno a Sebastian, mentre il suo sguardo vagava tra un volto e l'altro della nobiltà fatata – che, contro ogni sua aspettativa, vantava anche qualche umano.

Attratta dalla sua ispezione, una fata gli venne incontro. Aveva la pelle lattea, incorniciata da una cascata di riccioli azzurri, e ad ogni movimento delle ali d'ape faceva ondeggiare l'ampia gonna turchese. « E così voi sareste il nostro liberatore. » lo salutò, in un inglese incerto, arrugginito.

« Così pare. » confermò il ragazzo, sempre più consapevole di ogni sguardo che si posava su di lui e sul suo servitore. « In realtà, ho fatto solo ciò che era necessario. »

« Via, signorino, non fate il modesto. » si inserì il demone. « Non è certo un male che lo abbiate fatto per la signorina Beresford. »

La fata assottigliò le labbra, ma fu costretta ad accettare l'esistenza di quell'essere ripugnante. « Siete amico della changeling dublinese? »

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