18. Quel Maggiordomo, Beffardo

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Buckingham Palace scintillava di vita. Le lampade a gas ai lati del cancello erano state accese e la loro luce si rifletteva sui nastri di candida seta che decoravano le inferriate. Altri si arrampicavano tra i rami dei pini da vaso che disegnavano il viale fino all'ampia scalinata d'ingresso. Le guardie all'ingresso controllavano una a una le carrozze in entrata.

« I lord e i loro figli saranno annunciati secondo l'etichetta. Lord Boyle sarà il primo, in quanto pari di Scozia, quindi seguiranno gli irlandesi, come avete disposto. » ricapitolò Sebastian. Se solo la regina non lo avesse già visto, avrebbe osato indossare la tenuta da tutore, ma Sua Maestà non si sarebbe lasciata ingannare da un taglio diverso e un paio di occhiali, quindi avrebbe accompagnato il signorino nelle sue solite vesti.

Ciel annuì e accavallò le gambe. « Quindi è tutto nelle mani dei marmocchi, ora. Se dovessero sbagliare... »

« Non lo faranno. »

« Sarà meglio per loro. » Non che gli importasse delle sorti di ragazzini sconosciuti, ma essere spogliati del titolo da un giorno all'altro a causa dell'avventatezza di un genitore era peggio che ritrovarsi orfani. Gli aristocratici, secondo lui, non erano fatti per precipitare tra la gente comune. Tra l'altro, se loro avessero fallito, c'era il rischio che la su stessa testa facesse una brutta fine per aver tentato di raggirare Sua Maestà e non aveva nessuna voglia di scoprire come il demone sarebbe intervenuto, in quel caso.

Sebastian gli sfiorò la spalla, tanto rapido che il contatto fu quasi nullo.

Il Conte gli scoccò un'occhiata ammonitrice, ma non lo respinse. Solo perché aveva smesso di avere gli incubi, non voleva dire che fosse sazio di quelle attenzioni.

Il maggiordomo sorrise con la sua solita imperturbabilità. « Non permetterò che qualcosa vada storto, signorino. » sussurrò, ed era la migliore assicurazione che il ragazzo potesse avere.

Una guardia in uniforme scarlatta bussò al finestrino per chiedere i documenti, ma la vista del giovane Phantomhive lo fece scattare sull'attenti. Farfugliò un benvenuto frettoloso e si tolse dai piedi. Se anche non avesse avuto un ricordo nitido della freddezza di quel moccioso, la fama di cui era ammantato sarebbe bastata a far arretrare i suoi stessi superiori. Quasi gelò quando il lord lo trattenne per dargli indicazioni circa il suo nutrito seguito e sospirò di sollievo nell'essere liberato dalla morsa del suo sguardo.

« Ora togliti dai piedi. »

« S-Sì, milord. »

La carrozza li lasciò all'ingresso e fu dirottata verso la stalla dagli addetti di corte.

Il Conte temporeggiò nell'atrio quanto bastava a riunire il suo gruppetto e si diresse verso la sala da ballo.

Era stata addobbata con sobrietà e raffinatezza in blu, bianco e oro, i colori dello stemma degli Hannover, che dominava la parete alle spalle del trono. Delicati bouquet di gigli e calle abbellivano i drappi azzurri che sormontavano le immense vetrate a tutto sesto. Le tende scarlatte che di solito le contornavano erano state rimosse, così che la luce potesse entrare e riflettersi sugli stucchi d'oro che ne abbellivano il muro e il soffitto e sul pavimento lucido che ne riprendeva i toni.

« Mamma, è bellissima! » commentò una delle bambine alle sue spalle. « Sembra di essere dentro una stella! »

« Hai proprio ragione, tesoro. » approvò la genitrice.

Ciel scosse la testa. Per quanto lo riguardava, tutto quell'oro era eccessivo e la luce abbacinante. Se Sua Maestà non glielo avesse imposto, non avrebbe mai messo nemmeno un dito in quella stanza, men che meno per rendersi ridicolo davanti agli altri nobili. « Sebastian, hai risolto quella cosa? » chiese denti stretti, mentre il banditore lo annunciava.

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