16. Quel Maggiordomo, Autoritario

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Villa Phantomhive era ancora in piedi. Nonostante fosse stata lasciata alla mercé di quei quattro scriteriati per più di una settimana, non aveva riportato danni permanenti. Muri, finestre e tetto erano ancora al loro posto e non c'erano tracce d'incendio o di demolizione.

Il merito, si disse Ciel, doveva essere di Tanaka.

Il vecchio steward era stato il maggiordomo di suo padre e, nonostante l'età avanzata, continuava ad essere vigile sia nel corpo che nella mente. In più, era avvolto da un alone di autorevolezza meno terrificante di quello di Sebastian, ma altrettanto efficace. Non doveva aver faticato molto a tenere in riga Finnian, Bardroy e Mey Rin.

Un sorriso divertito gli stirò le labbra. « Finalmente a casa. » commentò. « Non ne potevo più di quella camera d'albergo. »

« Vi sono mancati i vostri compiti, mio giovane Lord? » chiese Sebastian, mentre Tanaka li precedeva in casa. Il suo volto era il ritratto dell'innocenza, ma il Conte, ormai, lo associava a un fuoco di fila di incombenze alle quali non sarebbe riuscito a sfuggire.

« Per niente. » rispose. Salì i gradini della grande villa a testa alta e varcò il portone senza altro cenno di gioia sul viso che un lieve tremore delle labbra.

La servitù, schierata ai due lati del corridoio, ruppe i ranghi non appena le porte si richiusero alle spalle del maggiordomo. Se non fosse stato per il suo sguardo imperioso, sarebbero saltati addosso a entrambi, ma il ritorno del gatto aveva messo fine alle danze dei topi.

« Sebastian, mi ritiro nelle mie stanze. Chiamami solo per la cena. »

« Temo che ciò non sia possibile, padroncino. » lo fermò il demone. « Ci sono dei documenti urgenti che dovete controllare ad attendervi nel vostro studio e dovete stendere il rapporto da consegnare alla regina. »

Il ragazzo sbuffò. « Dannazione. » borbottò tra i denti. « Portami del tè, allora. » Lasciò il demone a ripristinare la routine della casa e raggiunse lo studio.

Lo scrittoio era in perfetto ordine, sebbene ingombro di documenti e di posta. Anche il resto della stanza era pulito e non c'era odore di chiuso. Un delicato aroma di limone aleggiava tra gli scaffali. Le tende ocra erano tirate per tenere fuori il sole, ma passava comunque abbastanza luce perché riuscisse a leggere.

Non avrebbe potuto evitare quell'incombenza, quindi sedette in quella poltrona troppo grande per lui e forzò la prima busta.

La maggior parte della posta era costituita da inviti per ricevimenti e feste di vario genere. Alcune erano lettere di Lizzie, in vacanza con la famiglia nel Continente; tutte le altre erano dei partner commerciali della Funtom o delle sue filiali all'estero, in cerca del suo parere per questioni grandi e piccole. C'erano anche pacchi con i prototipi dei nuovi giocattoli, ma li avrebbe lasciati per l'indomani: voleva liberarsi prima di tutto dell'incombenza di tutte quelle noiose scartoffie. Rendiconti settimanali e mensili, progetti e verbali erano la sua croce. Si massaggiò le tempie e aprì il primo fascicolo.

Un bussare leggero alla porta lo interruppe prima ancora di cominciare.

« Avanti! »

« Il vostro tè, signorino. » annunciò il maggiordomo. Depose il vassoio sulla scrivania e preparò l'infuso con una delicatezza e una precisione che affascinarono Ciel.

Non aveva mai badato a come le grandi mani del demone riuscissero ad essere gentili, oltre che letali, fino a quel momento. Scosse la testa e prese la tazza che gli veniva porta.

« È tè Keemun, un regalo di Lau. »

Il Conte inarcò un sopracciglio. « Non è quello che chiamano "il tè dei bambini"? » chiese, stizzito.

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