Paura di perdersi

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(Mentre scrivevo ho ascoltato tutto il tempo You Are In My Veins di Andrew Belle. È una canzone a dir poco meravigliosa che trovo impeccabile per questo capitolo, se avete voglia ascoltatela e leggete attentamente perché è un capitolo davvero speciale questo qui)

L'aria era pesante in quella stanza di ospedale; le pareti bianche e le tende socchiuse del medesimo colore bruciavano alla vista di Wendy. Stava odiando il tintinnio continuo della macchina che affiancava il letto dove Justin riposava da ormai due ore. La testa fasciata, le nocche rossastre, un occhio nero e il respiro, per fortuna, regolare. Seguiva il ritmo del torace del ragazzo che si innalzava e poi abbassava incessantemente, avvolta nel silenzio più totale. Non un sussurro, non un mormorio: Justin dormiva beatamente, ignaro di ciò che gli era successo.

Di tanto in tanto Wendy si avvicinava con la poltrona sempre di più al materasso, come se non le bastasse mai. Scansava le ciocche di capelli dorate del giovane che gli ricadevano dolcemente sul viso e gli accarezzava il dorso della mano scoperta. La stringeva, incastrava perfettamente le dita l'uno nella mano dell'altra e lo richiamava dolcemente, pregandolo di svegliarsi.

Il medico le aveva parlato di una commozione celebrale, nulla di tanto pericoloso. Nessuna frattura ossea era stata rilevata e questo rincuorò molto Wendy, la quale decise di restargli accanto per tutto il tempo necessario.

La quiete che la faceva da padrone all'interno delle quattro mura venne spazzata via da un tonfo: qualcuno aprì talmente bruscamente la porta che Wendy sobbalzò. Fece per voltarsi, maledicendo chiunque fosse stato ma ritrasse ogni parola quando Larry le si presentò davanti, estremamente preoccupato.

"Mi sono precipitato appena ho saputo. Ho chiuso il locale e..." si bloccò, spostando lo sguardo sulla figura del giovane. "Santo Dio..." sussurrò, prendendo un grande respiro.

"Lo so" commentò prorompente Wendy.

La ragazza non ebbe la forza di alzarsi da quella poltrona, sentiva le gambe flebili e la testa scoppiare. Era stanca e affaticata, sia mentalmente che psicologicamente. Le lacrime si erano poco a poco placate e le guance erano raggrinzite, la vena alla tempia pulsava con prestante forza, talmente tanto che avrebbe voluto solamente chiudere definitivamente gli occhi e riposare, nonostante fossero trascorse nient'altro che due ore.

Larry, gentilmente, posò una mano sulla spalla di Wendy, accarezzò quel punto preciso senza proferire parola, cercando nel suo piccolo di darle quanta più forza possibile e necessaria. Larry teneva a Justin, molto più di quanto si possa credere: in un certo senso lo aveva visto crescere di fianco al suo unico figlio e sapeva che, tanto quanto non era una passeggiata dover sopportare uno spettacolo così straziante per lei, non lo era neanche per lui.

Wendy tirò su con il naso sentendo una morsa dritta nello stomaco e cercò di ritrarre le lacrime che minacciavano di solcarle nuovamente le guance. Ne aveva avuto abbastanza di piangere e disperarsi.

"Sebastian?"

A Wendy si mozzò il respiro nell'udire la domanda che le era stata posta con voce ferma. Non avrebbe di certo potuto mentire a Larry, qualunque fossero state le conseguenze. Per nessuna ragione al monto gli avrebbe mentito perché meritava più di tutti sapere dove si era recato il figlio circa venti minuti prima.

La giovane passò il dorso della mano su una guancia, asciugando la singola goccia che era scesa tanto velocemente da non rendersene conto.

"È a casa di Justin" rispose frettolosamente.

Larry lanciò un'occhiata a Wendy che sedeva a testa bassa, tanto che dovette chinarsi per guardare dritto negli occhi la ragazza. Cercò di dire qualcosa ma poi si bloccò, probabilmente sperando di non dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.

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