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Faccio appena in tempo a scartare di lato prima che le sua zanne si conficchino nella parete, nell'esatto punto dov'era la mia testa.

Perché mi sono impicciata?

Perché sono così curiosa?

Perché?

Perché?

Perché?

Questa domanda mi vortica nella testa mentre cerco di raggiungere la porta per scappare da qui, schivando contemporaneamente i suoi assalti.

Per essere piccolo, mi arriverà forse alla vita, fa balzi molto potenti.

E precisi.

Gli sfuggo sempre per un pelo.

Se fossi ancora umana dubito che ce la farei.

All'improvviso le gambe cedono e mi rovino a terra. Ammortizzo l'impatto con le braccia, che rimangono per qualche istante insensibili e formicolanti.

Distesa scompostamente sul pavimento, abbasso lo sguardo sulle gambe e vedo che le caviglie sono bloccate da una sostanza bianca e vischiosa. Con una smorfia di disgusto, la sfioro con un dito e mi rimane appiccicato, incollato ai legacci bavosi. Ci vogliono almeno un paio di tentativi prima di riuscire a liberarmi il dito.

E ora come faccio?

Sono alla sua mercé.

Un sinistro ticchettio mi mette in guardia.

A pochi metri di distanza da dove mi trovo, il bambino-ragno sta gattonando verso di me.

Le otto pelose zampette sostengono agilmente il peso del suo corpo.

Dai suoi piccoli occhietti traspare l'ingordigia.

Un rigagnolo di bava acida cola sul pavimento producendo piccole volute di fumo.

Ha l'acquolina in bocca.

Sta già immaginando il mio sapore.

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