Atto tre.

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(Atto tre) – "Incosciente".


Sai quando ti senti un po' la mente pesante? Non proprio la testa, fisicamente; quando proprio i pensieri sono insostenibili ma ci stanno, e tu che vuoi? Ne esce un altro.

Quando non ne puoi più, non sai più che devi fare e allora la migliore soluzione ti sembra proprio quella di non agire e tacere, sperando – mentre assottigli gli occhi per non farti vedere – che quelle brutte idee spariscano e ti lascino in pace per un po'. E' un'abilità!, secondo me. Forse, ci nasci. Oppure la sviluppi nel tempo, non so, ma io, sta di fatto, che non ce l'avevo. Avrei potuto provarci, ma, quasi sicuramente, sarebbe soltanto finito per rivelarsi un tentativo miseramente fallito.

Eppure, alle sei del mattino, con la finestra socchiusa e l'odore di umido, mentre mi stringeva la mano con le sue e se la teneva sotto la guancia come un cuscino, provocava lo stesso medesimo fenomeno. La testa mi si annullava, volava via in una nuvola di vapore e poi gli occhi cadevano, quasi rotolavano, su di lui. Su di lui. E lo guardavo, fino a farmi bruciare gli occhi perché non sbattevo le palpebre – non volevo perdermi nemmeno un singolo frammento di un suo respiro.

Ciò era ampliato dal fatto che, dopo poche ore di sonno, io in quel modo mi ci ero svegliata. Non me lo aspettavo, tantomeno l'avrei mai immaginato. Stava rannicchiato, come quando l'avevo visto nella rientranza, al buio. Solo che gli vedevo il viso, pulito, e il naso, grande e appuntito, e le labbra del colore delle ciliegie, e le mani erano lisce, profumavano di sapone, e le orecchie coperte un po' dai capelli lunghi, e i capelli lunghi erano puliti, profumavano pure quelli.

Cominciò a muoversi un po', poi si girò, portandosi appresso la mia mano. E io caddi, inesorabilmente e come una pera, sul pavimento. A quel punto si svegliò, senza fretta, grattandosi la testa mentre strizzava gli occhi e un po' sbadigliava.

"Buongiorno eh" – borbottai, alzandomi in piedi. Mi aspettai almeno una risposta, ma lui sembrò perplesso; che stava pensando? Gli avevo dato il buongiorno, cos'hai da pensare.

Lo guardai severa, quella situazione mi stava stancando. "Allora, o mi rispondi oppure puoi tornartene davanti ai frutteti a puzzare come un barbone" – tuonai, e lui sobbalzò un po'. "Ho detto buongiorno".

Si schiacciò lentamente sul muro dietro di lui, mentre si guardava attorno smarrito.

"Devi dire solo buongiorno, accidenti!" – urlai stavolta, e lui si coprì la testa con le mani.

"Ascolta, puoi ripetere?" – gli domandai, con un tono di voce più pacato. "Solo, dì quello che ti dico".

Mi guardò negli occhi, ed io sospirai. Scandii. "Buongiorno".

Aprì la bocca, che gioia! Stava per dire qualcosa. Ne uscì prima un rantolio, la voce pesante. Gli feci gesto di proseguire, e lui si addrizzò un po'. "Ehm..." – borbottò.

"Buongiorno" – dissi ancora.

"Buon..." – e si sforzò, in un modo disumano! Stava per sudare. "Buon... Buongior-"

"Giorno"

"Buongiorno"

Non vi nascondo, mi tuffai ad abbracciarlo, trattenendo le lacrime di gioia. Che bella voce che aveva! Che bel tono pacato! Cominciai ad elogiarlo di continuo, ma subito mi sorse un dubbio.

Come si chiamava?

Gli presi le mani, guardandolo fisso fisso. "Che mi sai dire pure come ti chiami?" – e pregai che dicesse di sì.

Ne seguì un momento di silenzio, totale, in cui le membra mi tremavano e le mani avevano cominciato ad attanagliare le sue, mentre quasi m'ero convinta che il suo nome se lo ricordasse.

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