Atto tredici.

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A\N: per la felicità di tante persone che aspettavano l'anaconda Styles xx


Atto tredici – Il cuore lo sentivo sempre più veloce affannarsi nel petto, e più volte la guardavo più la cosa diventava ingestibile.

Ci sono sempre stati istanti immensi racchiusi in piccoli respiri in cui mi ritrovavo solo a guardare ciò che di bello la semplicità aveva da darmi gratuitamente, e furono senza dubbio momenti che erano accaduti semplicemente per restarmi impressi – frangenti che rappresentavano di certo qualcosa.

Tentavo di riprodurre al meglio i tratti belli di Luna, o di Sole, che a volte si somigliavano; di tanto in tanto anche le Stelle diventavano soggetto di un affresco mai concreto. Passare il tempo era arduo, quasi infattibile, dovetti crearmi dei semplici diversivi per sperare di giungere a qualcosa. Ma dal basso del mio scarso coraggio e spirito di iniziativa del tutto assente finivo col sostare in semplici occhiate in giro prive di pensiero alcuno.

Mi dispiaceva da morire, perché se avessi saputo che non molto lontano c'era lei forse più sola di me mi ci sarei fiondato senza il minimo bisogno di esitazioni.

Avrei voluto trovare degli occhi campaci di compatirmi invece che provare pena. Delle mani pronte a stringere le mie, e un sorriso che mi avrebbe contagiato senza il più piccolo sforzo. E Bo me le aveva date tutte, tutte le cose che cercavo!

Mi perdevo nei suoi occhi, nelle sue parole e lei sembrava riuscire a fare lo stesso: per ore, in sua compagnia, mi scordavo da dove diamine venissi. Delle bruttezze che mi caratterizzavano, delle cose a me appartenute che non riuscivo a concepire. Della distanza che mi divideva da lei, centinaia di volte più dura di passi sulla terra arida a piedi nudi.

E forse il buio mi spaventava un po', ma quando solo lui mi permetteva di sfiorarla privo di ritegno e timore senza farmi sentire in colpa approfittavo della situazione senza altra parola aggiunta alla proposta.

Mi appoggiavo con le spalle alla testiera di ferro del letto e lei mi seguiva nel sonno facendo finire la testa sulle mie gambe, col naso rivolto verso il mio viso e il volto illuminato dalla luce dei lampioni fuori dalla finestra alle nostre spalle.

Allungavo la mano sulla sua guancia e la facevo finire poi sulla sua spalla, e ancora sul suo collo, più su accanto all'attaccatura dei suoi capelli corti, e a volte le dita concludevano con lo scorrere tra le ciocche scure e morbide accanto alle belle gote.

E nel mentre mi sbizzarrivo a toccarla in ogni modo mi venisse in mente una sensazione sempre più tormentosa mi faceva sudare tremendamente tanto, fino a farmi tremare le gambe. Il cuore lo sentivo sempre più veloce affannarsi nel petto, e più volte la guardavo più la cosa diventava ingestibile.

Sarei forse arrivato a svegliarla per chiederle di aiutarmi, ché stavo impazzendo e che presto le mie mani, la mia buona educazione ed il resto sarebbero partite per altri orizzonti e io non sarei mai stato capace di farle tornare indietro prima che quella opprimente gioia mista a vergogna che provavo non se fosse andata.

"Vuoi dormire o no?" – mormorò, aprendo leggermente gli occhi.

Dopo aver ritirato la mano da lei mi guardai attorno, sospirando pesantemente. "Non ci riesco" – e tentai in qualche modo di tenere la voce bassa.

Si alzò, facendo un qualcosa simile ad uno sbuffo. "E perché? Hai fatto un brutto sogno, un altro?"

Scossi la testa, tenendo gli occhi sulle mie dita. "No, non ho dormito nemmeno per un minuto"

"Ti senti bene? Insomma, ti fa male qualcosa?"

Arrossii un po', scuotendo nuovamente il capo. "No, no... Sto bene, davvero"

Seduta sulle mie gambe con lo sguardo ancora pieno di sonno si mise a pensare. "Hai caldo? Forse è per questo"

"No" – sussurrai leggermente, stringendole poi una mano. "Non ho caldo"

"Sicuro di non sapere che hai?" – tentò un'ultima volta, facendomi ammettere mezza verità – scabrosa, aggiungerei.

Come se qualcuno oltre lei potesse sentirmi volli accertarmi di avere un tono abbastanza sicuro che nascondesse la totale titubanza di cui ero vittima, provando con qualche lettera balbettata.

"Non riesco a smettere di fissarti" – bofonchiai, e con una certa curiosità alzai gli occhi per rendermi conto di quale la sua reazione fosse.

E con uno sguardo molto confuso, quasi diviso in due, prese a parlare.


Non ebbi più misero dubbio dopo quelle parole. Tastando con smania di sapere il suo busto e più in basso m'accorsi che lui, in modo evidente, doveva star pensando a qualcosa di abbastanza chiaro nella sua testa.

Di certo avrebbe tentato di dirmelo nei modi più disparati, ché a causa di quel suo essere così impacciato non ci sarebbe riuscito a rivelarmelo con parole nude e fin troppo in là per una persona come lui.

Per esserne certa e per convincere lui con qualche aiuto tentai di provocarlo nella maniera più distinta possibile, avvicinandomi al suo bacino lentamente e poco alla volta.

"Sembri affannato" – osservai, e lui tentò di voltare lo sguardo in altri punti della stanza, ritornando senza alcun ritegno ai miei occhi dopo pochi istanti.

"Sì, ho il respiro... Pesante, probabilmente dovrei andare a bere un po' d'acqua" – e cercò di scappare dalla mia ormai forte presa, ma lo fermai appena in tempo, biascicando parole leggere per chiedergli di restare ancora.

Ormai sul ciglio del letto e con le gambe poco fuori dal materasso restai con le ginocchia incollate ai suoi fianchi. Mi avvicinai ancora un po' a lui, senza smettere di muovermi del tutto.

"Come ti senti?" – domandai, per poi vederlo appoggiare le mani sulle lenzuola che prese a stringere tra le dita.

Con la testa leggermente abbassata e gli occhi un po' aperti lo sentii mormorare un bene appena accennato, per poi allungare entrambe le mani sui miei fianchi in modo da stringerli e spingermi maggiormente verso di sé.

Non posso di certo negare che l'intera situazione, il contesto e Harry stesso mi avevano gettato in uno stato che somigliava al suo – che s'era manifestato non solo una volta.

Molto spesso, come la sera che aveva preceduto quel momento, nei semplici baci e nelle carezze mi diceva che avrebbe preferito stare di sopra e a me andava più che bene. In quei momenti che saranno difficili da scordare lo vidi ripercorrere quasi un qualcosa che si preparava – quando in realtà era totalmente impulso quello che vedevo.

Lo faceva con la stessa delicatezza che gli apparteneva, ma riuscivo a scorgere anche macchie di forza che riconducevano senza dubbi alla sua voglia abbastanza evidente che sicuramente altre volte aveva tentato di reprimere senza che io venissi a saperlo.

Continuando a tenermi stretta per i fianchi e il più vicino possibile al suo bacino avvicinò le labbra alle mie, sospirandoci sopra una volta sola prima di cominciare a stringerle – a volte persino coi denti.

Mi trascinò di nuovo sul letto, facendomi finire sotto di lui e chiedendomi poi di avvolgergli totalmente la vita con le gambe. Poco dopo lo sentii sfilarsi i pantaloni con le mani che allontanò per pochi istanti dai miei fianchi su cui ormai ci stava la t-shirt tutta stropicciata dalla sua presa forte.

Non parlò nemmeno una volta; sospirò, mugugnò forse sillabe che non comprendevo e di tanto in tanto qualche verso gutturale incastrato nella gola.

Quando finalmente riuscì a liberarsi dei pantaloni lo sentii cominciare a muoversi su e giù, e mai lo vidi tanto impegnato in qualcosa come quella volta – e il resto delle migliaia di notti in cui ci trovammo a fare l'amore.

Ovviamente io aspettavo quel momento da tempo, dapprima che potessimo solo scambiarci un solo bacio – perché ripeto, Harry era la tensione sessuale fatta a uomo.

E quando quelle mani grandi, quelle parole sospirate e quel corpo scosso da fremiti non desiderarono altro che starmi il più vicino possibile non potei fare altro che fare lo stesso.

Per tutta la notte.

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