Atto quattordici.

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Atto quattordici – Un fiore che nasceva ogni singolo giorno e che sbocciava di notte al tardo calar del sole.

(Parla Harry)

Se dovessi descrivere cosa accadde, son sicuro che di parole non ne troverei: fu semplicemente meraviglioso.

Fu la cosa più bella che accadde, la cosa più intima e nascosta che custodimmo per tanto tempo. Un fiore che nasceva ogni singolo giorno e che sbocciava di notte al tardo calar del sole.

Fino a quel momento il nostro amore era un frutto prettamente acerbo: c'erano troppe spine, sulla nostra rosa. La buccia spessa di questo frutto celava al suo interno tutto ciò che potessi desiderare ed amare. Perché, credetemi, tenerla forte tra le braccia e avvertire il suo corpo fremere, o la sua voce sussurrare, o persino le sue mani afferrare con furore le mie spalle era sinonimo della gioia più grande esistente.

Che magari sembrerà futile, ma quella notte, in quel letto, il germoglio che tanto stavamo curando s'era finalmente aperto e aveva cacciato fuori da sé un lungo stelo sulla cui cima s'era adagiato etereo un morbido bocciolo, che quanto più forte la volevo più s'apriva per mostrare splendidi petali.

E dormirle accanto divenne ancor più soddisfacente, da quel giorno. Non vi era istante in cui togliessi gli occhi da lei, o dal suo viso, o dai suoi occhi, o dalle sue mani: non vi era momento in cui volessi smettere di farlo.

Sapere che mi amava così tanto da permettermi di fare una cosa tanto intima e impalpabile mi faceva sentire in qualche modo più sicuro di me stesso, delle mie capacità, del mio aspetto, del mio modo di essere in quel mondo, e nella mia vita in generale.

Perché se una creatura tanto bella e perfetta riusciva ad identificarmi allo stesso modo, allora qualcosa voleva pur dire.

E le parole che disse poco dopo, mentre m'abbracciava e mi riempiva di baci sulle guance, credo di non poterle scordare nemmeno volendo.

"Credo di aver toccato la felicità, oggi" – disse, sistemandosi bene al mio fianco.

Io, ancora leggermente affannato e con una mano sotto alla testa e l'altra appoggiata sul mio ventre nudo, la guardai. "In che senso?"

Sorrise, afferrandomi una mano. "Parliamo di felicità nel modo più banale possibile troppo spesso. E' sbagliato, completamente. Perché una cosa tanto bella come questa è felicità. Io sono felice. Lo sono attualmente, lo sarò da oggi in poi per il resto della vita che vedrà te al mio fianco. Non credo di volere giorni senza le tue parole dentro, o senza il tuo viso. Non voglio starci, senza di te! E' così, giuro. Se domani mi svegliassi senza averti vicino io non avrei più motivo di stare qui, con questi miliardi di volti che non parlano di te. Quindi, Harry, stai a sentire" – e a quel punto si alzò di poco, fissando i suoi occhi nei miei. "Io sono felice perché ti amo. Sono felice perché sono completamente e perdutamente innamorata di te e della persona meravigliosa che sei. Sono felice per questo motivo"

Avrei potuto risponderle con una valanga di parole, di frasi immense gorgoglianti di promesse, sentimenti e di quello che veramente sentivo, ma tutto ciò che venne fuori dalla mia bocca fu un ti amo anch'io sussurrato con voce tremante.

Mi guardò ancora un po', accennando un dolce sorriso sulle sue belle labbra, poco dopo mi accarezzò una guancia e un piccolo bacio sulle labbra, augurandomi una buona notte.

Nemmeno tre ore dopo eravamo già in piedi, ché la notte era finita da un pezzo e noi, stanchi e pieni di acciacchi, dovevamo dirigerci a Londra.

"Prendi le chiavi" – indicò un mobile. "Hai la valigia?"

Annuii, alzando entrambe le mani. "Ho preso anche la tua" – aggiunsi, e lei sorrise.

Uscimmo dall'appartamento poco tempo dopo, caricando velocemente ogni cosa nell'auto di Bo. Dieci minuti più tardi, dopo esserci accertati di aver preso tutto, partimmo.

Londra non era proprio vicina, ma Bo continuava a dirmi di sapere con certezza come arrivarci, che non ci avrebbe messo più di due ore. E io di lei mi fidavo talmente tanto da lasciarle fare quel viaggio – di cui non avevo nemmeno una concezione tanto chiara – senza problemi.

Mi suggerì di dormire, giusto per recuperare qualche ora di sonno che magari era venuta a mancare. Mi appoggiai con la testa sul finestrino e pochi minuti dopo mi addormentai sul serio.


"Riesco a stare sveglio, se vuoi. Non ho davvero bisogno di dormire"

Scossi la testa. "Insisto, devi riposarti un po'. Non hai dormito nemmeno tre ore, fallo per me"

Mi guardò, sospirò e io, vittoriosa, sorrisi. Sapevo che non sarebbe stato capace di ribattere se avessi aggiunto quel fallo per me, non ci sarebbe mai riuscito, a rifiutare.

Poco dopo lo vidi con la testa sul finestrino e un braccio poggiato sul bracciolo di pelle, ormai dormiente. Abbassai leggermente la musica della radio, continuando a guidare tranquillamente, saltando qualche suggerimento del navigatore, completamente sicura del fatto che conoscevo la strada per arrivare a Londra come le mie tasche, e che quindi potevo permettermi anche di fare di testa mia.

Mai cosa più sbagliata.

Poche decine di chilometri dopo m'accorsi che la strada non era affatto quella ricordavo, e che quindi m'ero persa totalmente. Il fato volle che la benzina fosse quasi finita e che la prima stazione per il rifornimento fosse a venticinque chilometri da dove mi trovavo: Harry, nel frattempo, dormiva.

Pregando Dio di riuscire ad arrivare a destinazione sana e salva e con l'auto ancora funzionante mi avviai. Pochi minuti dopo, quasi convinta di poter risolvere quel dannato problema, l'auto si fermò con un grosso singhiozzo, talmente forte da far svegliare Harry.

Si girò verso di me, con gli occhi leggermente semichiusi. "Siamo arrivati?" – biascicò, accarezzandomi una mano.

Scossi la testa, facendo cadere le mani che tenevo strette attorno al volante sulle mie gambe, e sospirai. "Non siamo arrivati"

Lo vidi aggrottare le sopracciglia. "Perché siamo fermi? Ti senti bene?" – e cominciò ad allarmarsi.

"Sì! Sto benissimo, non preoccuparti" – sorrisi, accarezzandogli una guancia. "Abbiamo un problema"

"Cioè?"

Abbassai lo sguardo sulle mie mani, poi lo spostai su di lui che sembrava parecchio preoccupato.

"Mi sono persa" – mormorai. "E la benzina è finita"

Alzò le sopracciglia, finendo per appoggiarsi con le spalle sul sedile scuro. "Uhm"

"Già..." – sospirai.

Passarono diversi minuti, poi lo vidi slacciarsi la cintura di sicurezza – indispensabile secondo lui – e scendere dall'auto, piazzandosi dietro l'auto.

"Harry, che stai facendo?" – mi sporsi dal finestrino, richiamandolo.

"Se restiamo fermi non concluderemo niente, Bo" – spiegò. "Dobbiamo fare qualcosa"

"Harry, la stazione di rifornimento è lontana quindici chilometri da qui, non possiamo spingere l'auto per tutto questo tempo"

Non appena finii di parlare sentii la macchina smuoversi e cominciare a camminare di nuovo, non così lentamente. Mi voltai, notando le mani di Harry aperte e appoggiate sul portabagagli, lui piegato leggermente in avanti con le braccia tese e la testa chinata in avanti.

Dopo aver dato la necessaria spinta iniziale piegò le braccia di poco, alzò il viso e notando che lo stavo guardando mi sorrise. Mimò con le labbra un ce la faccio, e poco dopo aver visto il mio di sorriso si abbassò di nuovo e continuò a trascinare la macchina per quasi dieci minuti.

Presi a dargli una mano, tenendo lo sportello aperto e una mano sul volante, per girare quando era necessario, spingendo quel tanto che potesse contribuire a fare più in fretta.


A\N: volevo solo prendermi questo piccolo spazio per ringraziarvi del supporto costante che ricevo attraverso i vostri meravigliosi commenti. Siete sempre gentili, e davvero non ho idea di cosa ho fatto per meritarmi tutti quei complimenti. Grazie, grazie grazie! xx

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