Atto ventitré.

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Atto ventitré - Il suo cuore, nel suo petto, batteva veloce e urlava al mio, che gli stava così vicino, tentando in ogni modo di raggiungerlo. 


Sapete, ho davvero poche certezze. Non so se domani ci sarà sole, o se dopodomani sarò felice, o se questo fine settimana andrò al mare. Non so davvero tante cose, effettivamente.

Paradossale. Completamente fuori da quello che mi hanno sempre insegnato ad essere. Le poche conoscenze di cui dispongo mi rendono timorosa del mio oggi, e del presente; ne sono atterrita. Ho davvero così tanta paura della mia realtà nel momento stesso in cui questa mi si para davanti.

Non credo che qualcuno dovrebbe vivere a questo modo – e sottolineo, penso. Si possono pensare cose giuste e fare cose sbagliate, sfidando coraggiosamente e, devo ammetterlo, stupidamente tutto ciò che non si risolve sempre con l'istinto o con il famoso sesto senso. A volte... A volte dovremmo imparare a ragionare ed accettare che dei momenti sono fatti per essere affrontati prima con se stessi.

Ma io, Harry, io con te non ho avuto il coraggio di pensare neanche una stramaledetta volta.

Non mi sono mai domandata se ciò che stessi facendo potesse effettivamente soddisfare entrambi, gettandomi a peso morto nella convinzione di poter renderti felice.

Eppure, non ti chiesi mai come. Decisi che sarebbe stato il caso d'indovinarlo, perché sì: ero così tremendamente persa in te che mai fui in grado di rendermi conto di cosa avessi tra le mani. Ero troppo impegnata ad innamorarmi di ciò che eri e a piangere, a volte, pensando che avrei potuto perderti in qualsiasi modo.

Quando quella sera scesi al piano inferiore, per parlare, pensando di trovarti sul balcone, il mio cuore cadde sul pavimento di marmo e smise di battere per una quantità considerevole di secondi. Il respiro morì con lui, non riuscivo neanche a muovermi, come se i miei piedi avessero in quella quantità esilarante di tempo messo radici in quel posto tremendo che non ha sapore, non l'ha mai avuto.

Era come un incubo irrealizzabile che prendeva vita davanti ai miei occhi, e non ero capace di realizzarlo davvero. Ero così a pezzi.

Dunque, supponiamo che fosse successo con qualcun altro. Io sarei stata capace di lasciar andare quel qualcuno. Sarei stata capace di tornare nel mio letto, con quelle stesse lenzuola che profumavano di un'altra persona – e non di te, quindi – per dormire e svegliarmi il giorno dopo come se nulla fosse successo, pensando se la caverà.

Ma il mio, non era senso di protezione maniacale nei tuoi confronti. Non lo era neanche per metà, neanche una terza parte, neanche una singola ed inutile briciola. Ero tremendamente spaventata di perdere l'unica persona che rappresentava ciò che non faceva parte dei miei piani in un modo così meraviglioso.

Sembra un pensiero così narcisista, e forse lo è. Era come se senza di te non sarei mai più stata capace di essere felice.

Spesso l'importanza che diamo a qualcosa la si realizza solo dopo che l'abbiamo persa; io avevo realizzato quanto tu fossi importante per me dal primo istante in cui ti avevo visto, nel preciso secondo, quella frazione così piccola di esso, in cui i miei occhi hanno incontrato i tuoi.

Non fui mai capace di tenere a qualcosa come con te, io... Io non sono mai stata brava a sostenere un rapporto con qualcuno, di qualsiasi tipo, in qualsiasi modo. Neanche con me stesso, a volte, quindi mi sembrava abbastanza assurdo che potessi riuscirci con te, che sembravi così distante dal mio mondo, o dal mio modo di essere, dai miei svaghi. Eri così distante dai miei pensieri da diventarne poi uno, solo ed unico, perpetuo in una maniera piacevolmente dolce.

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