(Atto quattro) – Che malattia, l'inettitudine.
(Parla Harry)
Che qualcuno abbia pietà, non mi sento più i Pensieri.
Li ho persi, non so dove. Forse li ho in tasca e non lo ricordo. Ma più volte ficco le mani dentro le tasche logore e più volte le buco, non trovo nulla, dentro. Non ci stanno manco più le briciole.
Insomma, dove stanno? Da qualche parte dovranno pure stare.
Le tasche no, proprio no. E in quelle della camicia? Forse là? No, perché non ero solito metterli lì. Personificare i Pensieri era stato qualcosa di stupido ed avventato, perché con le gambe che avevano scappavano dappertutto e io, povero me, non riuscivo a star dietro a nessuno. Nemmeno a me stesso.
Figuriamoci a piccoli diavoli impertinenti che si facevano sgambetti fino a farsi male, per danneggiarmi ancora la memoria già debole di suo. Intendo, chi diamine personificherebbe i propri pensieri? Per farne che, poi?
Il fatto è che la testa ormai mi è andata un po' via.
Mi brucia il petto, non so il perché.
Ma devo tornare alla mia storia e non soffermarmi su questo. I pensieri possono aspettare, e il bruciore al petto è palese. E la confusione, perenne.
Gli occhi di cielo erano proprio belli, sul suo viso tondo. Li avevo sempre guardati tanto. Non lo so perché, erano belli. I capelli rossi come le volpi. Solo che lì la volpe non era lei, ma io.
Dovevo essere addomesticato, ne sentivo la necessità. L'impellente necessità di farmi toccare e toccare, di ascoltare ed essere ascoltato, di muovere ed essere mosso, di sentire ed essere sentito.
Di appartenere e di possedere, qualcosa. La più misera cosa, la più stupida e futile. Mi bastava, potevo starci assieme e farmela bastare, tenerla gelosa tra le mani.
Ma dovevo, volevo appartenere a qualcuno. Quando qualcosa ti appare agli occhi senza un vero motivo. Quando un fiore lo cogli in una giornata qualunque, in un giardino qualunque, senza uno scopo. Che hai fatto? Hai solo spezzato un piccolo fusto. E poi il fiore lo butti, perché non t'interessa realmente di Lui.
Quando però vedi un bel germoglio crescere piano, fare i dispetti alla terra con le increspature, le foglie rigogliose e i boccioli stretti, e lo guardi, cominci a pensare che molto presto quel fiore diverrà qualcosa di meraviglioso. A volte ti convinci – quando passi dinanzi a quel fiore ogni giorno – che stai contribuendo in qualche modo alla sua crescita. E non lo raccogli, gli dai solo un nome. Lo tieni a mente, e quando capita ci pensi un po'. La sera, prima di chiudere gli occhi, ti ricordi del tuo fiore.
Perché quello è il tuo fiore. T'appartiene per sempre, dopo che appassisce non ti resta che un pugno di mosche, è vero, ma nel cuore, ti ricordi del tuo fiore. Sempre.
Un fiore raccolto per capriccio, è solo uno spreco. Ma il tuo fiore simboleggia un legame indistruttibile, anche se poco chiaro. Perché sì, del tuo fiore te ne innamori.
Il dettaglio non è il dettaglio che non noti. La tua giornata, quando il fiore non lo vedi più, è distrutta. Non esiste alcun equilibrio, il tuo giorno andante è ormai zoppo, te lo sei perso per strada, e tutto per un fiore. Come quando, per tornare a casa, cambi percorso e cominci a ricordare passo dopo passo com'era fatto quello precedente. Gli alberi, il fogliame secco autunnale, le crepe sul terreno, e il rumore dei tuoi passi che non è più lo stesso.
Quando una cosa t'appartiene, è inequivocabile: te ne innamori.
Ed era per questo motivo che volevo essere addomesticato. Perché volevo appartenere a qualcuno.
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Latĕbra
FanfictionTutto solo, circondato d'abbandono, a mugolare suoni indistinti, mentre a fatica si dondolava e un po' piangeva. Tutto solo, circondato d'abbandono, a scaldarmi il cuore - - povera creatura; lì mero, senza affetto. copyright reserved to @thescient...