Urla nell'oscurità

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Rientrai in casa, stanca e confusa. Ero arrivata a Saint Claire da tre o quattro ore al massimo, e la mia nuova vita mi sembrava già un disastro. 
Cercai mia mamma per tutta la casa ma non la trovai subito. Non conoscevo ancora bene le planimetrie. Mi persi un paio di volte. Finii per sbaglio in cucina, e ne approfittai per aprire il frigo alla ricerca di qualcosa, ma mi dimenticai che non avevamo ancora fatto la spesa.
Così salii le scale. Le nostre camere da letto si trovavano al secondo piano. Arrivai davanti alla sua porta e vidi che era socchiusa. La chiamai ma lei non rispose, quindi entrai lentamente. Era sdraiata sul letto e dormiva già. Rannicchiata come una bambina. La luce della luna che filtrava dolcemente dalla finestra le accarezzava il viso. Mi sedetti sul letto accanto a lei e rimasi per qualche minuto ferma ad osservarla.
Era così bella.
I capelli biondi e sempre profumati, i lineamenti delicati.
Ogni volta che la guardavo pensavo a lei come alla donna che avrei voluto essere io.

Pensai alla sua vita. Il divorzio era stato un colpo duro per lei. Così come per me, d'altronde. Ma le lacrime che erano scese prima lo erano state ancora di più. Avevano segnato entrambe nel profondo.
Mi chinai su di lei e le diedi un bacio sulla fronte. Poi uscii in punta di piedi, richiusi la porta e mi diressi verso la mia stanza.

Entrai e vidi la valigia accanto al letto. Una sola valigia, e chi l'avrebbe mai detto. Avevamo deciso di portare con noi poche cose indispensabili. Forse per essere più sicure di ricominciare davvero tutto da capo, non lo so.

Mi tolsi la maglia e i pantaloni e mi sedetti sul letto. La finestra era proprio accanto a me e se guardavo fuori potevo vedere in lontananza il lago. Rimasi immobile per alcuni minuti a pensare agli avvenimenti della giornata. Il viaggio con mia madre, l'arrivo a Saint Claire, lo Sconosciuto, le visioni e le storie sulle ragazze scomparse. Poi l'aggressione che avevo subito e il ritorno a casa con lui. Quella sensazione di tranquillità e angoscia allo stesso tempo che la sua vicinanza mi trasmetteva. L'attrazione immediata che avevo provato nei suoi confronti. E i suoi occhi. Così gelidi, così perfetti.

Risentii la sua voce.
Quel suo continuare a ripetermi di andarmene da Saint Claire. E ripensai al vecchio e alla sua locanda. A come mi avesse detto che le ragazze scomparse somigliavano così tanto a me.

Mi alzai dal letto e mi diressi verso la porta a specchio del mio armadio. Mi guardai. I capelli castani leggermente mossi mi cadevano sulle spalle. Occhiaie profonde sotto i miei occhi, identici a quelli di mio padre. Il seno che mi sembrava un po' troppo piccolo e quei centimetri di altezza in più che avrei tanto voluto avere. Certo che le ragazze scomparse assomigliavano a me. Ero una come tante. Nessun segno particolare a distinguermi dal resto del mondo.
Da un lato questa riflessione mi tranquillizzò, mentre dall'altro mi fece sentire un po' più triste di quanto già non fossi.
Mi voltai e mi guardai il sedere. Non sembrava così male, dopotutto. O forse si?
Mi sentivo così confusa, così stanca.
Tornai sul letto e appoggiai la testa contro la finestra.

Ripensai a mio padre, tornando ancora una volta all'ultimo giorno che ci eravamo visti, al parco sotto casa.

<<Sarai forte, Rose>> mi aveva detto.

Io avevo annuito, perché parole che volessero uscire non ne avevo davvero trovate.
Una parte della mia vita se ne stava andando per sempre e mettermi a cercare le parole giuste era troppo complicato. Così ero rimasta in silenzio.

<< Io e tua madre.... Continueremo a sentirci. Qualche volta verrò a trovarvi. E poi tu... Tu lo sai che puoi venire da me quando vuoi.>>

<<Lo so, papà. Ce la farò. Non sono più una bambina.>>
E invece forse un po' lo ero ancora. Perché se guardavo le ragazze della mia età vedevo delle persone completamente diverse da me. Tutte cosi estroverse, tutte così espansive. Anche con i ragazzi. Io non ero mai riuscita ad essere quel tipo di persona. Se per caso a scuola mi capitava di incrociare qualcuno che mi piaceva, tutto ciò che volevo fare era scappare il più possibile lontano da lui per nascondere il rossore che ero certa avrebbe invaso in meno di un secondo il mio viso.

Lo so, non ero perfetta. Ma ero così.

<<Mi raccomando, Rose>> aveva continuato mio padre << prenditi cura di tua madre. Non lasciarla so...>>

Poi lo sentii.

L'urlo atroce che interruppe in una frazione di secondo quei miei pensieri.

Era una voce femminile.
Mi misi in ginocchio sul letto e rivolsi lo sguardo al lago perché l'urlo- ne ero quasi del tutto certa- sembrava venire proprio da lì.

Attaccai l'orecchio alla finestra e poi chiusi gli occhi. E lo sentii ancora. E poi ancora. E ancora, e ancora.

Era straziante.

Aprii il vetro e mi sporsi in fuori con la testa. Guardai lontano ma era buio pesto ormai e non riuscii a vedere nulla. Sentivo soltanto l'aria fresca di quella sera d'estate accarezzare il mio volto.

Ci fu un lungo attimo di silenzio, poi sentii quella voce disperata di donna squarciare la notte per l'ultima volta prima di perdersi lontano nell'oscurità.

Rose e lo SconosciutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora