Gli Ibridi

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Ibridi.

Quella parola continuava ad attraversare la mia testa, inarrestabile.

Cercai di contenere l'esplosione di emozioni, domande, follia che stava invadendo il mio cervello.

Era tutto assurdo, ma in profondità, dentro di me, sapevo che soltanto adesso, paradossalmente, ogni cosa, ogni evento incominciava davvero ad acquisire un senso.

<<Cosa significa?>> chiesi allo Sconosciuto, sottovoce, senza guardarlo.

<<Non ero certo che avrei voluto dirtelo, Rose. E non pensavo che sarei stato io a mostrarti tutto, alla fine. Ma adesso siamo qui, e forse allora è giusto che sia così.>>

Non capivo, ero confusa, stordita. Come se qualcosa di enorme fosse appena esploso a un passo da me.

Lo Sconosciuto esitò ancora un istante, poi mosse delicatamente la mano sopra di noi, tagliando l'aria a metà.

La stanza, buia, si illuminò lentamente, e delle immagini cominciarono a prendere forma, accanto ai pianeti che restavano sospesi sopra i nostri occhi.

Vidi un uomo che mi era familiare.

Nate.

Come se stessi guardando un film al cinema, sentii la sua voce, anche se non capivo le parole che pronunciava.
Accanto a lui comparve una donna bellissima.

Melissa Clarkson, la mia vera madre.

La riconobbi dalla foto che avevo visto sul giornale, a casa di Mitch.

Ballavano, in un locale. Correvano su di una spiaggia incredibile, ridevano. Sembravano felici. Così felici.

Si abbracciavano, cadevano a terra, si rotolavano nella sabbia.
Si baciavano.
Lui le accarezzava i capelli e lei rideva ancora.

Sembravano liberi. Liberi da tutto il rumore del mondo, liberi dalla paura, dal caos, dall'orrore.

I posti in cui loro due si trovavano continuavano a scorrere velocemente davanti ai miei occhi, e il loro amore sembrava sempre più intenso, più profondo. Più reale.

Sospirai, guardai per un attimo lo Sconosciuto.
Fissava quelle immagini con attenzione, in silenzio.

Mi stringeva ancora la mano.

Sembrava che fosse trascorso un po' di tempo, perché Nate adesso aveva i capelli un po' più lunghi.

Potevo improvvisamente sentire il pianto forte di un neonato.

In realtà, era una neonata, ed ero io.

Mi riuscivo a vedere, così piccola, tra le braccia di Melissa, mentre Nate mi baciava la fronte con dolcezza.

La casa era piccola ma calda, accogliente. La mia culla era rosa, e sopra di me, sospese, c'erano tante stelle colorate.

Ridevo, piangevo, non lo so. Ma Nate e Melissa si amavano così tanto.

Poi qualcosa cambiava, all'improvviso. I colori di quella visione che lo Sconosciuto mi stava regalando si modificavano, diventando più cupi, più tetri.

Sentivo delle grida, delle urla, ed era trascorso altro tempo perché io ero un po' più grande.

Gli uomini entravano dalla porta, dopo averla forzata. Si scaraventavano contro Melissa, le stringevano i polsi, le urlavano.

Chiedevano di una bambina.

Chiedevano di me.

Melissa non rispondeva, non diceva nulla ma piangeva. Potevo provare tutta la sua paura, tutto il terrore che si faceva strada in lei devastandola, lasciandola senza forze.

Rose e lo SconosciutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora