Quella notte del 1998

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La casa era buia. Le finestre erano aperte, ma la luce filtrava appena dalle tapparelle quasi completamente abbassate.
Cameron Dunn ci indicò il divano, nel salotto.
Ci sedemmo e lui si sedette accanto a me.
Per qualche lungo istante mi guardò senza dire nulla, poi si passò una mano tra i capelli. Si accarezzò la barba che non doveva avere tagliato da almeno un paio di giorni, poi si accese una sigaretta.

Aveva una lunga cicatrice che attraversava in orizzontale tutta la mano destra.

<<Ci sono storie che non finiscono mai, sapete>> disse, con un tono di voce basso, calmo. <<Quella di una madre Melissa, ne sono sempre stato sicuro, è una di quelle.>>

Lo guardai, poi guardai lo Sconosciuto che era seduto accanto a me e teneva una mano sul mio ginocchio.

<<Chi vi ha parlato di me?>> ci chiese, fissando un punto indistinto di fronte a sé.
<<Nate>> rispose lo Sconosciuto, riferendosi al mio vero padre <<Nate ci ha detto che se avessimo cercato alcune risposte, lei sarebbe stato in grado di aiutarci.>>

<<Nate>> ripeté Dunn accennando un sorriso. <<Nate, l'uomo senza un passato.>>

Lo guardai, socchiusi le labbra, trassi un respiro profondo.
<<Senza un passato?>> chiesi.
<<Tuo padre, Rose>> disse Dunn <<l'uomo che ti ha salvato la vita, tanti anni fa.>>

Rimasi in silenzio, cercando di capire quale domanda, tra le tante che mi attraversano la testa, avrei potuto porgli per prima.

<<Che cosa sa lei di mio padre?>> gli chiesi, alla fine.

Lui esitò, continuando ad accarezzarsi la barba. Si strofinò gli occhi, poi mi guardò. Aveva l'aria stanca. Triste, anche, forse.

<<Non molto>> disse << quell'uomo è sempre stato un mistero per me. Ho avuto a che fare con lui parecchi anni fa, quando tu avevi...un anno, più o meno.>>

<<Me ne parli, la prego.>>

Mi guardò ancora, sorrise.

<<Dal momento che è lui a mandarti qui, lo farò. Ma non so quanto questa storia ti potrà piacere. Mi ha tolto il sonno per tanto, tanto tempo. Ad oggi, posso dire di non aver trovato ancora risposte a tutti gli interrogativi che mi sono rimasti dentro.>>

<<Ho scoperto di essere stata adottata solo pochi giorni fa. Può immaginare quanti interrogativi abbia io in testa in questo momento, signor Dunn.>>

Lui annuì, spense la sigaretta e incominciò a raccontare.
I suoi occhi, adesso, sempre fermi verso un punto lontano, sembravano essere sospesi da qualche parte, in un luogo indescrivibile.

<<La chiamata era arrivata da un vicino di casa di tua madre Melissa. Lui e sua moglie, dopo aver sentito delle grida e dei colpi di arma da fuoco, avevano avvisato la Polizia. All'epoca ero appena stato promosso sergente. Avevo visto tante schifezze, tanto sangue durante gli anni da detective alla Omicidi. Quello di tua madre era solo l'ultimo di una lunga serie. Arrivammo nel suo appartamento, alla periferia di Charleston, circa dieci minuti dopo aver ricevuto la telefonata.
Chi aveva sparato, ovviamente, non c'era più.
Tua madre era distesa a terra, in soggiorno. I giornali scrissero che al nostro arrivo lei era già morta.>>

Fece una pausa. Una lunga pausa. Si guardò le mani, si accarezzò la cicatrice. Mi guardò a fondo, negli occhi. Come se stesse cercando di leggermi dentro. Potevo sentire il respiro dello Sconosciuto accanto a me, mentre le mie mani erano diventate fredde, gelide. Avevo paura di come il racconto di Cameron Dunn sarebbe continuato.

<<I giornali, dicevo, avevano scritto che al nostro arrivo tua madre era già morta. Non è vero. Nessuno degli agenti presenti sulla scena riuscì a parlare con lei, ma io sì. Perché fui il primo ad entrare, e lei era ancora viva. C'era sangue ovunque, respirava a malapena e a fatica, ma i suoi occhi erano ancora aperti.>>

<<Che cosa le disse?>> gli chiesi, con la voce che mi tremava.

<<Tante parole. Fu difficile capire, in realtà, perché parlava a stento. Ma i suoi occhi, quelli non potevano essere fraintesi. Mi ero scontrato tante volte, in passato, con la disperazione. Avevo visto persone in punto di morte implorare pietà, cercare perdono, redenzione. Ma con tua madre fu diverso. Il suo sguardo era terrore, paura allo stato più animale, più estremo.>>

Si fermò, ed io riuscii a percepire il suo respiro. Lento, pesante. Come se tornare a quei ricordi lo stesse disturbando dentro, in profondità.

<<Non riesce a ricordare che cosa disse mia madre?>> gli chiesi, a bassa voce, tremando.

<<Furono soltanto poche parole, ed io fui l'unico a sentirle. Ricordo ancora il suo sguardo, fisso verso il soffitto. Spento. Perduto. E ricordo perfettamente il modo in cui poi, di colpo, aveva preso luce, vita. Anche se solo per una frazione di secondo. Mi ero avvicinato a lei, le avevo preso le mani nelle mie. Guardando le ferite sul suo corpo, avevo capito che non ce l'avrebbe mai fatta.>>

Sospirai, mi sentii triste. Una tristezza nuova, difficile da descrivere.

<<E dopo?>> chiesi, guardando Dunn negli occhi.

<<Mi avvicinai a tua madre, il più possibile. Alla fine, tra le parole scomposte che stava cercando di pronunciare, riconobbi il tuo nome. Rose.>>

Si fermò, mi guardò negli occhi. Sentivo il cuore che batteva forte e le mani che mi sudavano.

<<Aveva pronunciato il mio nome prima di morire?>>
<<Proprio così, Rose. E non solo. Aveva detto anche qualcos'altro. Qualcosa di difficile da interpretare. Ci ho pensato per tanto, tantissimo tempo in seguito, eppure non ho mai trovato una connessione con qualcosa, una spiegazione logica, razionale.>>

Lo guardai, sorpresa. Sentii la mano dello Sconosciuto stringersi sempre più forte attorno alla mia.

<<Che cosa aveva detto anche?>>

Cameron Dunn esitò, si accese un'altra sigaretta, inspirò il fumo e lo lasciò uscire dal naso, quindi tornò a posare gli occhi nei miei.

<<L'attimo prima di morire, tua madre aveva ripetuto più volte il tuo nome e con il terrore negli occhi aveva detto qualcosa riguardo un lago.>>

Rose e lo SconosciutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora