Capitolo 7

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«Mamma ti ricordi di quando avevo diciotto anni?
Ero così ingenua.
Rieccomi qui, diventata ormai donna. Con Edward va tutto male e non voglio neanche vederlo.
In compenso ho realizzato il mio sogno di far parte della polizia di New York.» Risi amaramente

«Quanto vorrei che tu fossi qui, a vedermi lottare, ad essere fiera di tua figlia».

Sfiorai con le dita la tomba.

Rosa Thompson 
13 agosto 1975
28 luglio 2010

Era morta il ventotto e non pensavo che il giorno del mio compleanno lei morisse.
Eh già, avevo quattro anni quando mio padre entrò disperato in casa, me lo ricordo come se fosse ieri.

Flashback
«Cosa mi avrà regalato papà?» Chiesi curiosa a mia sorella.
«Secondo me Ken e Barbie, ti piacciono tanto» Annuì continuamente sorridendo.
«Clarissa! Lucy!»
Entrò mio papà in casa, sembrava che fosse morto qualcuno.
«Sì, papà?»
«Dobbiamo andare dalla mamma in ospedale!»
«In ospedale?» Chiesi confuso.
«Ma prima era in casa» Disse ovvia Lucy.
«Mamma è andata a prenderti il regalo ed ora è in ospedale perché te lo vuole dare lì»

«Papà non mi piace il luogo dove la mamma vuole darmi il regalo» Mormorai imbronciata.
«Tranquilla tesoro» Mi rassicurò. «Scusi, Rosa Thompson dov'è?»
«Nella camera 235 per ora non può entrare le stanno ancora facendo dei controlli»
Mio papà annuì.
Mi fece sedere su una sedia piuttosto scomoda.
«Papà quando vediamo la mamma?» «Ascolta tesoro ora la mamma sta un po' male ma non è grave, il regalo te lo darà più tardi»
«Capito» 
«Dottore emergenza nella camera 235, venga subito» Disse un infermiera correndo.
«Cosa succede?» Chiese mio papà preoccupato.
«Non possiamo dirle niente per adesso, aspetti!»
Il dottore andò di corsa nella camera accompagnato dal l'infermiera.
«Al mio tre carica, uno . . .due . .
tre . . . ora»
Il dottore continuò a ripetere queste parole.
«Allora? » Chiese mio papà quando uscì il dottore.
«Mi spiace»
ll dottore se ne andò, mio papà iniziò a piangere. Io e Lucy non capivamo il motivo.
«Papà perché piangi?»
«Perché papà è triste» Disse sorridendo amaramente.

Da quel giorno iniziò a picchiarmi.

«Ti voglio bene mamma» Mormorai.

Posai i fiori sulla tomba in marmo e andai via.

Mi squillò il telefono, numero sconosciuto.

«Pronto.»

«Clarissa sono Edward, ti vorrei parlare»

«Non ci sono ora.»

Non avevo voglia di vederlo.

«Peccato che io ti sto vedendo non fare nulla»

«Cosa?»

«Girati»

Mi girai ed era a due passi da me.

«Perché mi hai chiamata se potevi benissimo dirlo a voce?» Chiesi confusa.

«Perché volevo avere la prova che tu mi evitassi» Disse soddisfatto.

«Beh, come hai capito non voglio parlarti, ciao»

Mi fermò, mi prese il polso e mi fece girare, sbattei nel suo petto che era come ricordavo, muscoloso e sodo.

«Tu non te ne vai fino a quando non avremmo parlato!» Annuì sbuffando.

«Andiamo al bar a prenderci un caffè? » Chiese.

Risposi con un cenno di testa.

«Tu mi hai chiaramente detto di fare pace ma invece continui a parlarmi male ed evitarmi, potrei sapere il motivo?» Chiese.

Quando stavo per parlare arrivò la cameriera.

«Ecco a te, Edward.» Disse posandogli il caffè di fronte mettendo in mostra il suo seno rifatto.

Sbuffai irritata, Edward mi guardò divertito.

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