Capitolo 6

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Leucemia. Questa è la "malattia" che dovrebbe riuscire a sconfiggere mia madre? Non è una semplice malattia, purtroppo in pochissimi riescono a sconfiggerla. Avevo intuito fosse una cosa grave, ma non fino a questo punto. Mi gira la testa e non riesco a focalizzare il luogo in cui mi trovo ora. Sento mille voci nella mia testa, ma una si fa sempre più forte.

"Valerie" la voce di Cameron scaccia tutte le altre e mi fa tornare in me.

"Cameron lei morirà, vero?" mi limito a dire, anche se so già la risposta.

"No no piccola, non morirà. Qui a New York ci sono bravissimi medici, che sono riusciti a curare le malattie più impensabili da poter sconfiggere. Andrà tutto bene, l'importate è che tu ci creda. Ed io sono qui, affinché tu non perda la speranza."

Peccato che non abbiamo soldi sufficienti per permettere l'inizio di una cura.

"Cameron, io non, non penso che vivrà ancora a lungo. Noi non abbiamo abbastanza soldi per permetterci l'inizio di una terapia che sia in grado di aiutare mia madre a continuare a vivere."

Rimane in silenzio. Troppo silenzio. Ormai è notte fonda e non posso guidare fino all'ospedale. Partirò domani mattina.

"Valerie, posso aiutarti io se vuoi. I miei vivono bene e mio padre dona spesso interi capitali per associazioni che aiutano la ricerca a fare passi avanti."

"E' un gesto bellissimo da parte tua Cam, ma non posso farti questo. Ci conosciamo appena e siamo due perfetti sconosciuti. Mi rifiuto di accettare un tuo aiuto, soprattutto così dispendioso. Me la caverò da sola, come ho sempre fatto."

"Non ti lascerò sola in un momento così difficile Vale, io ci sono. Non ti lascio andare. E' vero, non ci conosciamo da molto, ma c'è una cosa che devo dirti..." lascia la frase in sospeso, e lo incoraggio con un cenno del capo a continuare.

I nostri sguardi si perdono l'uno negli occhi dell'altra.

"...quel bacio di prima, non è stato uno scherzo per me. Sento di conoscerti da una vita. So che è una cosa stupida da dire, ma è così che mi sento. E' questo quello che ho sentito. Non sono molto bravo con le parole, ma posso assicurarti che qualsiasi cosa siamo e saremo, rimarremo sempre legati."

Cameron mi fissa intensamente negli occhi, e non posso negare nulla di ciò che ha appena detto. E' tutto così vero, solo che non posso permettere che fra noi nasca qualcosa di più di una semplice conoscenza. Non posso farlo.

"Cameron, io non posso avere nulla a che fare con te, devi capirlo. Ti porterei solo un grande dolore quando sarò costretta a scappare."

"Perché dovresti fuggire ancor prima di avvicinarti a me?"

"Perché è così. Siamo troppo diversi. Il mio passato influenza costantemente il mio presente. Non devo legarmi a nessuno. Non mi perdonerei mai il fatto di averti ferito o fatto del male. Sono un insieme di dolore e rancore, nient' altro che questo. Non sono ciò che sembro e non permetterò mai a nessuno di conoscermi veramente. Quindi addio."

Non mi sono resa conto di aver urlato tutto il tempo, ne di piangere mentre pronunciavo queste parole. Perché mi fa male allontanarmi da lui?

"Tutti abbiamo un passato difficile, anche io. Solo che a differenza tua, rimango ciò che sono sempre stato, perché non riesco a cambiare. Almeno non fino ad ora. Non mi è mai importato niente di nessuno, ma da quando sei arrivata tu, tutto è cambiato."

Prendo un grosso respiro e mi alzo lentamente dal letto dove ero seduta. E' troppo.

"Ti dico solo una cosa: stammi alla larga."

Cameron si alza in piedi. In questo momento il suo aspetto prende un'altra forma. La luce che entra fioca dalla finestra gli illuminano metà volto. Si avvicina con un sorriso, che appare più come un ghigno. Si ferma davanti a me e mi guarda dritta negli occhi.

"Non fin quando tu sarai mia."

Mi manca il fiato e respiro a fatica. Chiudo gli occhi e cerco di non perdere la calma. E' così attraente che non riesco a non essere tratta da lui. Perciò dico.

"Non voglio te, che hai avuto tante."

"E tu come lo sai?" mi chiede senza nemmeno il minimo stupore.

"Me lo ha detto Nash, e tutta la scuola che devo starti alla larga. Hai ferito troppe persone" ribatto.

"Non mi importa di nessuno, mi pare di esser stato chiaro prima" e sorride in modo ancora più inquietante di prima.

"Nemmeno di me" doveva essere un'affermazione, ma suona più come una domanda.

"Nemmeno di te" e fa un risolino che mira a incutere paura.

Deglutisco a fatica e cerco di liberarmi di lui. Non appena cerco di spostarmi, si avvicina ancora di più a me, facendomi indietreggiare fino a toccare la porta. Tento di aprirla ma lui mette una mano appoggiata alla porta, impedendomi di sgattaiolare fuori. Non so che intenzioni abbia, ma una cosa è certa: non è il Cameron di qualche minuto fa.

Sembra impossessato da un demonio che si nutre della paura che incute negli altri.

"L-lasciami andare" dico balbettando.

Mi accarezza con due dita il fianco.

"Se no?"

Non riesco a ribattere e tento di allontanarlo da me con la forza che ho nelle braccia, che in questo momento è pari a zero.

Lui in tutta risposta si avvicina ancora di più e sento il suo corpo aderire al mio.

In me si scatenano mille emozioni dovute e quel contatto, e il mio istinto mi avverte che posso fidarmi di lui.

Continua ad accarezzarmi il fianco, torturando il mio desiderio di star con lui.

"Se no te ne pentirai" affermo con gli occhi puntati sui suoi.

Inaspettatamente mi lascia libera, allontanandosi di qualche passo. Una persona normale aprirebbe subito la porta e andrebbe di sotto a chiamare la polizia. Non rientrando in questa categoria, rimango ferma a guardarlo per qualche secondo, per poi prendere quel maledettissimo foglio di carta da terra, ed uscire.

"Ma cosa fai?" mi domanda preoccupato come se ciò che è accaduto prima non fosse accaduto.

"In ospedale" mi limito a dire.

"Non risolverai nulla ad andare fio a lì" mi urla.

Sono già in macchina. Non so quali sono le mie precise intenzioni, ma ormai sono qui dentro, con un indirizzo in mano e il desiderio di vedere mia madre al più presto. Sento un rombo dietro alla macchina e vedo, per niente stupita, la moto di Cameron dallo specchietto retrovisore. Anche se all'inizio non mi capacito di come abbia fatto a prendere la sua moto, visto che l'aveva lasciata davanti la mia scuola, immagino sia stata portata da Nash vicino al marciapiede di casa mia. Sorrido nel vederlo accelerare per guidare al mio fianco. Ci scambiamo uno sguardo di intesa e, tornando a guardare la strada davanti a me, capisco di non essere sola.

Attraction (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora