~ Emma's POV:Non riesco ad eliminare la tensione che sento da questa mattina. Ho paura ad incontrare il mio capo. Ho paura di incrociare il suo sguardo e perdermi.
Lexa è rimasta stupita quando abbiamo parlato e le ho raccontato tutto, per il resto, ci sperava proprio che iniziassi ad uscire dal guscio. Lei sa cosa ho passato e sa perfettamente come stavo quei primi mesi lontana dal mondo e dalla gente. Insieme abbiamo affrontato parte dei nostri problemi. Le devo davvero tanto.
Ho ricevuto una grossa somma di denaro dal servizio fotografico visto che ha avuto un gran successo ed era solo domenica. Spero di riuscire a passare ancora un po' inosservata. Anche se su questo, credo di avere grossi dubbi.
Oggi mi sono vestita comoda. Jeans neri stretti, maglietta bianca elegante e tacchi. Mi sento più a mio agio così. Non amo mostrare le mie gambe, cicatrici comprese, ai molti ragazzi e uomini di affari che circondano questo posto. Alcuni sono proprio dei maniaci pervertiti.
Nel mio piccolo quadrato inizia a fare caldo per questo ho aperto la vetrata per quanto sia possibile aprirla. Di tanto in tanto mi piace osservare anche se per pochi attimi la vita che prosegue inesorabile attorno.
Continuo a fare fotocopie per la riunione che avrà inizio tra un'ora. Dovrò farmi in quattro per non perdere la concentrazione e le staffe.
Porto le fotocopie nella sala riunioni e le sistemo ad ogni postazione con meticolosa cura. Faccio lo stesso con le bottigliette d'acqua e i bicchieri. Sistemo le sedie e lancio l'ennesimo sguardo verso la vetrata.
Mi divincolo quando vedo entrare i primi uomini d'affari e torno nel mio piccolo spazio. Trascrivo dei verbali al computer e in un momento di pausa riesco anche a studiare per l'esame. Ultimamente quando trovo anche soli cinque minuti liberi, apro il libro e studio, voglio fare bella figura agli esami.
Sto mangiando della pasta fredda quando la porta si apre ed entra lui. Le maniche della camicia bianca arrotolate, i capelli scompigliati, gli occhi chiari attenti e spietati.
Mando giù il boccone, poso il piatto sulla scrivania e rivolgo tutta la mia attenzione al mio capo tentando di non deconcentrarmi. Devo evitare di fissarlo, è il mio capo e non il ragazzo che mi ha baciato in casa mia e poi se n'è andato turbato. Oddio che imbarazzo!
«Mi serve un caffè e quelle fotocopie, nel mio ufficio!»
Sembra nervoso quindi non ribatto e mi metto subito al lavoro. Vado a fare il secondo caffè della giornata, prendo i fascicoli e mi dirigo nel suo ufficio. Busso e con cautela entro.
Non appena mi vede, scatta in piedi e toglie tutto dalle mie mani. Non lo ha mai fatto, solitamente non mi guarda neanche in faccia.
«Tea se arriva qualcuno avvisami!», avverte la segretaria in tono brusco.
«Come stai?», sorseggia il suo caffè.
Non so nemmeno io come sto. Non ho mai amato rispondere a questa domanda. Mentre penso su una possibile risposta da dare, Tea interrompe tutto annunciando il padre di Parker. Mi avvio subito alla porta.
«Non ti ho detto di andare!»
Mi immobilizzo. Che significa?
Dalla porta entra un uomo alto e sofisticato. Sembra uno di quegli uomini che amano il golf. Ha infatti una polo e un cardigan sopra, pantaloni blu e mocassini.
«Figliolo!», gli dà un colpetto affettuoso e poi mi rivolge un sorriso tutto denti. È affascinante quanto il figlio. «Tu devi essere Emma, mia moglie ha parlato molto di te così come mio padre.» Mi porge la mano. Gliela stringo «piacere di conoscerla signore», cerco di non balbettare e lancio uno sguardo torvo a Parker.
«Scusate ma ho del lavoro da finire, è stato un piacere conoscerla signore», fuggo dall'ufficio e mi rintano nel mio buco con la speranza di non rivedere Parker per il resto della giornata.
Finisco il pranzo anche se ormai ho lo stomaco chiuso e porto avanti il lavoro e lo studio.
Lexa mi scrive che oggi andrà al locale per una festa con le colleghe. Le rispondo che per questa sera passo e torno alle mie mansioni per sbrigarmi e magari non fare sempre tardi come è mio solito. A volte non mi accorgo nemmeno del tempo che passa.
La giornata prosegue tranquilla e senza intoppi. Sto sistemando dei documenti quando sbuca dal nulla facendomi sobbalzare. Chiude la porta e cammina avanti e indietro nervoso. Sono immobilizzata e non ho intenzione di fare un qualsiasi movimento.
«Perché sei scappata?», esordisce scandendo parola per parola.
«Perché non puoi richiamarmi nel tuo ufficio per un caffè e delle scartoffie e poi bloccarmi a tradimento per conoscere tuo padre. Non è corretto!», sto alzando il tono di voce a mia volta ma non me ne importa se è il mio capo, non me ne importa se qualcuno può sentirci.
«Questo non ti dava il diritto di scappare!», sbraita rosso in viso. I suoi occhi diventano ardenti e il suo pugno si chiude sulla scrivania.
«Si invece! Non sono di tua proprietà Parker! Non puoi agire alle mie spalle e poi pretendere che io assecondi ogni tuo capriccio!», mi avvicino alla porta e la spalanco. «Devo lavorare e non ho tempo per queste scenate, quindi se ne vada».
Parker mi fissa incredulo, sbuffa e se ne va a grandi falcate sbattendosi dietro la porta del suo ufficio.
Sistemo i file sul Mac e pulisco il mio ufficio per distrarmi. Sono ancora infuriata ma non mi abbasserò, Parker ha sbagliato e deve rendersene conto da solo.
A fine turno, saluto Tea e me ne ritorno a casa. Getto le chiavi sul mobiletto, leggo la posta arrivata e mi metto ai fornelli. Preparo un risotto con speck, pomodorini e zucchine, del salmone in padella con un po' di limone e salsa rosa. Affetto del pane e lo tosto leggermente con un filo d'olio e dell'aglio. Mentre friggo il salmone sento bussare alla porta. Pulisco le mani e vado ad aprire.
«Vino bianco e torta al cioccolato per farmi perdonare vanno bene?»
Mordo una guancia per trattenere un sorriso e lo lascio passare. Poggia la bottiglia e la torta sul bancone ed osserva la pentola fumante e la padella.
«Ti fermi a cena?», rigiro il salmone e do una spruzzata di pepe.
«Volentieri. Deduco tu non sia più arrabbiata con me», toglie la giacca e la sistema sul divano poi gira le maniche della camicia e sistema la tavola mentre gli passo piatti e posate. Si sente a suo agio qui dentro?
«Lo sono ancora e ti ricordo che sei nel mio territorio!», servo il riso e ci sediamo a tavola.
«Uhm è buonissimo!», sorride e continua a mangiare evitando la mia risposta.
Durante la nostra strana cena, parliamo del più e del meno con una strana e piacevole sintonia. In tivù c'è un programma stile Forum e questo appassiona particolarmente Parker il quale anticipa le mosse degli avvocati e le sentenze del giudice. Rimango stupita dalla passione che ha per il suo lavoro. Si diverte e si impegna per vincere, ad ogni costo. Dopo cena, ci spostiamo sul divano per il dolce. Ha portato una Sacher buonissima. Solo per questo potrei perdonare quello che ha fatto oggi.
«Sono sicuro che vince lei la causa». Nota la mia espressione e sorride. «Mi faccio prendere dalla mano», si scusa.
Metto in bocca una forchettata di torta per non dovere rispondere. Cosa potrei dire? È affascinante anche in questo. Sa il fatto suo. La sua sicurezza, mi piace.
Le sue dita si posano all'angolo della bocca prima di avvicinare il mio viso al suo. Guarda le mie labbra le sfiora con le sue. Il mio cuore inizia a battere velocemente mentre chiudo gli occhi e ricambio il bacio.
«So che non è una situazione semplice ma tu... tu riesci a smuovere dentro me qualcosa. Ho impiegato mesi a capirlo da quando ti ho vista ma non volevo scottarmi e non volevo turbarti. Hai resistito ed io invece non riesco più a controllarmi». Mi bacia ancora ma questa volta sento la sua lingua farsi strada dentro la mia bocca. «Oggi hai saputo farti valere ed io ammiro il tuo carattere, la tua costanza. Anche il fatto che sai i miei caffè preferiti», sorride sulle mie labbra.
«Non credi sia sbagliato?», domando senza fiato. Sta tentando di distrarmi, di forviarmi, non posso cedere così in fretta.
«Un capo non può avere una vita privata?», morde le mie labbra facendomi avvampare.
«Si ma con una collega? O peggio, con una dipendente?», attira i miei fianchi ed ansimo.
«Ti crei troppi problemi mentali Emma.» Continua a baciarmi.
«Lo so ma credo sia sbagliato e anche imbarazzante!», mi scosto e recupero il fiato.
Il suo telefono vibra e si alza per rispondere. Usa il suo solito tono secco e diretto. Niente giri di parole. Ho giusto un momento per riprendermi da tutto questo enorme casino. Vorrei sventolarmi con le mani ma sarebbe troppo evidente. Non so cosa mi stia succedendo, so solo che il mio corpo sta avendo una pessima reazione di fronte a questo ragazzo attraente e intelligente.
Parker ha un modo tutto suo di agire e dimostrare. Non è il solito ragazzo smielato ma usa altri mezzi per arrivare in qualche modo alle persone. Forse sono gli anni di esperienza lavorativa, suggerisce la vocina dentro la mia testa. Non so cosa ci sia nell'aria in questo periodo, magari è colpa della primavera ma le sue strane attenzioni, iniziano a piacermi e in parte inizio anche ad avere paura. Parker sa essere imprevedibilmente sorprendente ma rimarrò sempre un passo indietro e sempre ancorata ad un passato che mi ha profondamente segnata. So che è sbagliato ma non potrò mai più lasciarmi andare completamente. Non dopo quello che ho passato e provato a superare da sola.
Termina la chiamata accorgendosi della mia totale assenza si risiede sul divano scusandosi perchè il lavoro riesce a trascinarselo dietro anche dopo l'orario stabilito. Sfiora la mia guancia per richiamare l'attenzione ma in questo momento delicato e decisivo, suona il mio telefono. Lexa mi sta chiamando e se lo fa alle dodici, c'è sicuramente un valido motivo.
«Ehi»
«Emma sono Red»
Il mio stomaco si contrae e per un momento avverto il sentore della paura farsi strada dentro la mia testa. «È successo qualcosa?», mi rendo conto di essermi alzata dal divano e sto camminando da una parte all'altra del piccolo soggiorno.
«Lexa è stata aggredita e suo padre, ha avuto un brutto incidente...»
Barcollo visibilmente e Parker corre subito a sorreggermi mentre con la vista annebbiata tento di rispondere a Red. «Lei dov'è? Sta bene?»
«Siamo qui in ufficio, al locale, non ha una bella cera.»
«Arrivo subito!»
Stacco la chiamata ignorando il tastino rosso che continua a lampeggiare. Batto le palpebre e mi guardo attorno stordita. Cosa devo fare?
Parker prende il viso tra le sue mani grandi e morbide, sono fresche e riescono a riportarmi al presente.
«La mia amica è stata aggredita e suo padre ha avuto un incidente. Devo correre da lei». Non so come arriverò al locale ma posso farcela continuo a ripetermi mentre raccolgo la borsa decisa anche a correre se necessario.
Parker mi segue fuori. Mi volto e lo guardo perplessa. «Dove vai?»
«Ti accompagno, facciamo prima con la mia auto», estrae le chiavi e me le mostra.
Faccio un grosso respiro quando mi allaccio la cintura e Parker si immette in strada. La sua guida è calma e attenta. Mi piace il grado di attenzione che ha con le piccole cose. Mi piace il modo in cui controlla tutto.
Arriviamo cinque minuti dopo di fronte al locale. Scendo senza guardarmi attorno e corro subito verso l'entrata secondaria dove trovo Red intento a fumare nervosamente una sigaretta. Non appena mi vede la getta e mi abbraccia. «Come sta?»
«È scossa, ed è sdraiata sul divano.» Stringo la sua spalla e mi fiondo dentro l'ufficio.
Trovo Lexa rannicchiata e ad occhi chiusi. Poggio una mano sulla sua testa e i suoi occhi si aprono e si riempiono di lacrime. Mi abbraccia forte lasciandomi senza respiro. Ha il labbro tumefatto e dei graffi sulle braccia, per il resto sembra stare bene ma so cosa la fa stare male veramente. Lexa non vede il padre da un anno circa a causa della sua nuova matrigna e famiglia. La cosa la fa stare parecchio male ecco perché andava alle sedute dallo psicologo. Non ama parlarne ma con me si è aperta, motivo per la quale siamo diventate subito amiche. Io mi fido di lei e se ha bisogno del mio aiuto, sono disposta a tutto.
«Ti va un po' di cioccolata?», le domando al posto del banale come stai. Lei annuisce ed estraggo dalla borsa una barretta e gliela passo. Mangiucchiamo per un momento in silenzio. «Mi ha detto che gli piaccio, è scattato di nuovo un bacio ed io ho ricambiato. Ho paura Lexa», questo potrebbe aiutarla a distrarsi, infatti intravedo il consueto sorriso malizioso e il nostro tipico sguardo d'intesa. «Odio ammetterlo ma avevi ragione», sospiro.
Mi abbraccia ancora. «Andrà tutto bene Emma. Non so cosa fare, non so se posso andare in ospedale per... si... ecco... per salutarlo.»
«Ti accompagno e se qualcuno osa parlare lo picchio. Oggi ho avuto una pessima giornata quindi mi sento carica».
Le spunta un dolce sorriso sulle labbra e questa volta so che è sincero. Le asciugo le lacrime con i polpastrelli e poi le do una pacca affettuosa per come fa sempre lei per invitarmi. Annuisce tirando su con il naso e si rialza. «Ti voglio bene Emma. Quando finirà tutto questo, dovrai spiegarmi che ci faceva lui in casa tua!».
Parker e Red sono fuori e quando usciamo dall'ufficio del locale ci guardano curiosi. Red mi ringrazia ed io gli do una pacca sulla spalla.
«Ci vado.» Dice lei convinta.
Red estrae subito la chiave e si affretta ad aprire la portiera dell'auto per lasciarla entrare.
«Vi seguiamo», prende parola Parker facendomi un cenno e avviandosi alla sua auto.
Mentre guida, non ho il coraggio di voltarmi e guardarlo. Sento che c'è qualcosa sotto questo suo gesto ma ho paura di sapere la verità. Mi irrigidisco quando ci fermiamo di fronte l'ospedale. Mi fanno ancora uno strano effetto e mi domando se se ne andrà mai questa sensazione che provo e che se ne sta radicata sotto pelle.
Entriamo tutti in ospedale ma alla vista di Parker l'infermiera corre subito ad accoglierci. È lui a prendere in mano la situazione e in breve sappiamo dove trovare il padre di Lexa. Lei è molto in ansia ed io sono preoccupata per lei. Le tengo stretta la mano mentre ci giostriamo tra i vari reparti.
Ci sediamo in sala d'attesa e la tensione è palpabile perché più in là, ci sono i parenti di Lexa i quali iniziano con le prime scaramucce tra loro ma Parker riesce a sedare immediatamente gli animi mettendo a tacere quella gente.
Lexa lo ringrazia. Poi attende mordicchiando il labbro. So cosa sta provando e pensando ma deve affrontarlo o si pentirà di non averlo fatto.
Quando finalmente riesce a vedere suo padre, noi rimaniamo fuori ad attenderla. Metto il viso tra le mani, sono molto stanca e ho bisogno di una lunga dormita.
La mano di Red si posa sulla mia schiena in una lenta carezza. Mi conosce abbastanza e credo sappia che sto tentando di non crollare. Poggio la testa sulla sua spalla e chiudo gli occhi. «Chi l'ha aggredita?».
«Delle ragazze. Lei si è difesa bene», sorride ed io con lui. Conosciamo la nostra amica. Sappiamo quanto sappia farsi valere. Purtroppo le risse sono una costante in un locale come quello di David, il proprietario.
Red si rialza stiracchiandosi. «Volete un caffè?»
Parker annuisce. Quando Red è lontano si siede accanto e con un braccio attorno alle mie spalle, mi attira a sé. «Come stai?»
«Ancora un po' scossa ma niente che non si possa risolvere con una bella e lunga dormita.»
Parker mi stringe maggiormente e questo gesto stranamente non mi dà fastidio e non ho paura dei pettegolezzi che potrebbero derivare se qualcuno qui dentro decidesse di non farsi gli affari propri. Certo un po' di fastidio potrei provarlo ma sono sfinita e non ho il tempo per riflettere troppo sulle mie azioni. Sento solo che ho bisogno di questa sua strana protezione.
«Grazie»
«Per cosa?»
«Per essere rimasto al mio fianco.»
Red arriva con il caffè e Parker ringrazia. So che non lo berrà tutto. È strano quanto io conosca questo ragazzo pur non avendo passato poi così tanto tempo accanto a lui. Fino a due settimane fa ero solo una dipendente e lo conoscevo in parte perché essendo il mio capo mi sentivo in obbligo e per un fattore professionale cercavo di non sbagliare. Ma ora, averlo accanto, mi fa capire che in fondo è la stessa persona di sempre e che io l'ho solo visto come un capo e non come un ragazzo, sbagliando.
Quando Lexa esce dalla stanza, ha gli occhi rossi e il morale a terra. Non so cosa sia successo ma so che voglio farla stare meglio. Mi offro di ospitarla in casa e lei accetta subito per non dovere rimanere da sola nel suo appartamento e crogiolarsi nel dolore. Red ci saluta e Parker ci riaccompagna a casa.
Arrivati a casa, Lexa si dirige in camera mia mentre io indugio sulla soglia. Fisso le punte delle scarpe e non so che dire. La situazione è davvero strana.
«Buona notte Emma»
«Notte»
Si avvia alle scale. Alzo lo sguardo e incrocio i suoi occhi. Mi sta rivolgendo un sorriso timido ed io ricambio salutandolo con la mano.N/A:
~ Volevo ringraziarvi infinitamente per il sostegno che mi state dando con i vostri commenti e le vostre innumerevoli idee per questo sequel. Mi scuso come sempre per gli errori. Ho notato che non vi piace Parker accanto ad Emma ma sapete come vanno a volte le cose. Ci ritroviamo di fronte a delle persone e in breve ci affezioniamo ad esse senza rendercene conto. Questo è quello che sta succedendo. Secondo voi questo affetto si trasformerà in qualcosa di più? Emma dimenticherà il suo Ethan per stare con Parker? A voi i commenti.
La canzone di oggi è Halo di Beyoncé. Come sempre potete inviarmi le vostre proposte per inserirle nei capitoli.
GRAZIE ancora di ❤️ dalla vostra Giorgina~
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Unstoppable 2
RomanceQUESTO È IL SECONDO LIBRO DI UNSTOPPABLE • Si consiglia la lettura della prima storia per capire questo secondo capitolo • TRAMA: Sono passati mesi da quando Emma è scappata da New York per trovare il suo posto tranquillo. Il suo gesto disperato, d...