~ Emma's POV:Non sono riuscita a dominare l'anisa che mi ha attanagliata da quando sono entrata su questo maledettissimo aereo. E' stata una mattinata intensa e stressante dal punto di vista emotivo. Per fortuna ho un posto accanto al finestrino anche se per tutto il viaggio ho tenuto gli occhi chiusi con le cuffie sparate nelle orecchie nel tentativo di calmare il nervosismo che lentamente sta cercando di mangiarmi viva.
Parker siede accanto a me mentre David e Lexa sono tre sedili dietro. Non so cosa stanno facendo o se sono svegli, so solo che voglio scendere da questo arnese e andarmi a richiudere da qualche parte.
La fase di atterraggio è una delle peggiori che io abbia mai vissuto. Ho i nervi a pezzi e Parker non prova nemmeno a parlarmi perchè quando l'ha fatto, l'ho subito mandato al diavolo. Forse dovrei prendere qualche calmante, forse dovrei farmi di qualcosa di pesante per potere superare questi giorni che saranno sicuramente stressanti e pieni.
Poggio un piede a terra e il mio cuore ha uno strano spasmo. Presto o tardi, avrò uno dei miei attacchi di panico, ne sono sicura.
L'attesa delle valige è estenuante, per fortuna Lexa prova ad alleviare la tensione proponendoci qualche strano scatto da avere per ricordo del nostro viaggio a New York.
La città è esattamente come la ricordo. Caotica, piena di vita, gente che supera, gente che ti sbraita addosso se non stai attenta, gente che chiede indicazioni, turisti di ogni tipo con le più svariate delle tecnologie tra le mani.
Trascino il mio trolley verso l'uscita e non mi guardo indietro per controllare che mi seguano. Parker sembra più teso di me e in parte mi solleva il fatto che anche lui non abbia un buon ricordo di questo posto mentre Lexa e David sembrano due scolari alla loro prima gita fuori città. Spero non si affezionino troppo a questo posto e alla sua vita frenetica.Il viaggio in taxi, sembra non finire mai. Abbiamo prenotato delle camere in un motel modesto per non attirare troppa attenzione. In più è vicino al locale quindi non dovrò camminare troppo per arrivarci.
«Pronto?»
«Emma, sei arrivata?»
«Si, sto andando in motel».
«Tutto bene tesoro? Ci vediamo domani per la colazione?», domanda speranzoso Max.
«Si, si. Ti farò sapere», taglio corto.
I ragazzi si occupano dei bagagli. Mi giro attorno di fronte al motel e noto i primi cartelloni pubblicitari. Ci siamo anche noi. Rimetto gli occhiali da sole e vado dritta alla reception. La donna dietro il bancone tenuto a lucido è molto gentile, non ha un capello fuori posto e non appena pronuncio il mio nome porge le carte elettroniche per le nostre camere i ragazzi rifiutano e decidono di fare i galantuomini della situazione. Distribuisco le carte elettroniche e mi incammino verso l'ascensore.
Il motel è confortevole e pulito per fortuna. L'enorme ascensore emette il suono tipico e le porte si aprono al mio piano. Prendo le mie cose e mi incammino verso la mia stanza. Abbiamo tutti una stanza singola e in piani diversi a quanto pare. Meglio, così non dovrò mostrare il mio malumore a tutti. Per fortuna Parker non mi segue.
Inserisco la chiave elettronica ed entro lentamente. Attorno c'è il tipico odore delle camere chiuse dei motel. Moquette chiara, letti morbidi, un piccolo salottino e una vetrata con la vista verso il centro. Do un'occhiata generale anche al bagno poi sistemo il mio beauty e faccio una doccia.
Il telefono squilla: è Lucy. Mi avvolgo con l'asciugamano e le rispondo.
«Max mi ha detto che sei arrivata. Dove sei? Voglio abbracciarti!», è contenta.
«Sono un pò stanca quindi ci vediamo domani, promesso.»
Sospira. «Ok ma dimmi una cosa prima di staccare: stai bene?»
Le lacrime sgorgano incontrollate. «Si, alla grande», la voce trema. Mi ricompongo in fretta. «A domani», stacco, lancio il telefono sul letto e mi rivesto. Dopo avere asciugato i capelli, mi getto sul materasso e chiudo gli occhi.
Non so quanto dormo. Sento dei colpetti alla porta e vado ad aprire assonnata. Lexa entra entusiasta e non appena nota il mio sguardo si fa subito pensierosa e seria. «Hai pianto?», siede sul letto e guarda attorno come se volesse scovare delle trappole invisibili.
«No, dormivo. Sono un pò stanca», la voce arrochita sembra invece dire altro. Il fatto è che sono sono brava a mentire.
«Non esci con noi? Volevamo andare a visitare il centro e poi cenare in uno dei ristoranti famosi della zona», manda un messaggio e fa schioccare la gomma che tiene in bocca in modo sonoro.
«Andate pure, io tornerò a letto», mi sdraio supina e fisso il tetto dipinto.
«Lo so che stai male, con me non devi mentire Emma. Non devi permettere al dolore di tornare». Mi stampa un bacio sulla fronte. «Se ci perdiamo ti chiamo ok?»
Annuisco e la guardo mentre esce dalla mia stanza. Mi raggomitolo sul letto e scoppio in lacrime. Sono nel posto in cui ho sofferto, di nuovo. Saranno giorni pesanti e dovrò rimettermi in piedi se non voglio perdere quel poco di sanità mentale che mi è rimasto. Dopo un paio di minuti passati nel silenzio, qualcuno bussa alla porta. Mi alzo traballante.
«Pensavo di cenare e poi tornare a letto», solleva delle buste guardandosi attorno.
Lo lascio passare perchè so che bisogna essere prudenti in motel e mi siedo sul divano con i piedi sotto il sedere mentre Parker sistema i contenitori sul tavolo. Ha preso di tutto ma più vedo il cibo, più sale la nausea che cerco di tenere a bada da questa mattina. Mi sforzo di mettere qualcosa dentro lo stomaco a fatica.
«Non è come questa la mia stanza», prova a fare conversazione.
«Non hai la tv a schermo piatto come la mia?», cerco di fare un sorriso ma non so se riesce.
«No, pensavo di vedere la partita qui se non ti dispiace», sorride in modo dolce.
Come posso dire di no? Come posso chiedergli di andare via quando è qui per me? Lui è qui per me nonostante abbia un brutto passato in questo stesso posto. Aspetta, vedrà una partita? Non ne ha più vista una da...
Rabbrividisco e dopo avere cenato mi sistemo sul letto turbata e preoccupata per lui.
Parker prende il telecomando e sedendosi con le spalle appoggiate alla testiera del letto sceglie il canale sportivo. Mi lancia uno sguardo e in breve mi ritrovo rannicchiata tra le sue braccia. Chiudo gli occhi e inspiro il suo buon profumo. Il suo petto si alza e si abbassa lentamente ma quando la partita di football inizia, i suoi battiti aumentano di netto. Non so se sia emozione la sua o sensazione di perdita. Lo stringo di più a me e noto che si rilassa anche se di poco.
Non capisco perchè lo stia facendo. Si sta autolesionando riaprendo una vecchia ferita ma non sembra spaventato. Piuttosto sembra uno che sta prendendo la propria rivincita con la vita.
Alzo la testa ma non so realmente cosa voglio chiedere. Rimango per un momento sospesa con le parole che vorticano dentro la mia testa incapaci di uscire dalla mia bocca. I suoi occhi saettano sui miei poi tornano sullo schermo.
«Perchè lo fai?»
Sussulta leggermente. «Perchè faccio cosa?», finge indifferenza.
«Perchè ti stai facendo del male così?», mi alzo per guardarlo.
«Perchè le paure o le affronti o lasci che ti anneghino», risponde secco.
Mi alzo dal letto barcollante e con occhi appannati. Parker inarca un sopracciglio. «Che fai?», sembra preoccupato.
Scuoto la testa e corro in bagno. Vomito più volte prima di rannicchiarmi dentro la vasca per un paio di minuti in cui sfogo ogni mia paura e frustrazione piangendo. Parker non prova a fermarmi, non mi interrompe, lascia semplicemente che io sfoghi tutto quanto.
Sfinita torno sul letto e stesa su di un fianco, mi addormento.
«Lasciala dormire!» Bisbiglia qualcuno.
«Deve alzarsi, sono le dieci e Lucy si starà preoccupando!»
«Ho detto, lasciala dormire», ringhia Parker.
Distinguo meglio le voci e i loro discorsi arrivano dritti dentro la mia testa. Non ho la forza di voltarmi e dire loro che sono sveglia, che voglio essere lasciata un pò da sola per riprendermi, non ho il coraggio di aprire bocca perchè scoppierei in lacrime. Stringo semplicemente le palpebre e la coperta al petto.
«E come facciamo? Lucy le avrà chiamato un paio di volte scommetto». Lexa sembra preoccupata e agitata.
«Emma non stava bene ieri e quando si è addormentata ho controllato che nessuno la disturbasse mettendo il suo cellulare in modalità silenzioso. Non è ancora suonato quindi nessuno ha chiamato. Appena si sveglia, chiederemo a lei cosa vuole fare. Torna da David e provate a divertirvi!»
Sento Lexa sospirare e camminare avanti e indietro con i tacchi. «Chiami appena si sveglia? Sono preoccupata per lei. Non voglio che vada da sola».
«Va bene», mormora Parker.
Sento la porta richiudersi e il letto muoversi. Le sue braccia mi avvolgono e le sue labbra si posano contro il mio orecchio. «Lo so che sei sveglia», sussurra dolce.
Sussulto poi mi volto aprendo gli occhi. Ha uno sguardo riposato e sereno come sempre. Forse è la sua maschera del giorno, penso. Non c'è traccia di rabbia o altro nella sua espressione. E' solo il solito, mimetico Parker Johansson.
«Avrò bisogno di un minuto per riprendermi», sussurro poggiando la fronte sulle sue labbra e stringendolo in un abbraccio per trarne conforto.
Prende il viso tra le sue mani forti. «Tutto il tempo che vuoi, ok?»
Annuisco alzandomi. La gamba fa stranamente male. Faccio una doccia rilassante, mi vesto in modo impeccabile, mi trucco per nascondere i segni della nottataccia e poi infilo i tacchi. Faccio un giro su me stessa e Parker mi sorride mentre si avvicina afferrandomi per la vita.
«Ho avvisato Lexa. Arriveranno tra un paio di minuti».
«Ho chiamato prima Lucy, ci aspetta per il pranzo al locale». Recupero la borsa e usciamo mano nella mano dalla stanza.
Averlo vicino in questo momento, mi da la forza necessaria per superare la tensione e tutto questo strano casino.
Aspettiamo Lexa e David davanti al motel. Arrivano in fretta. Avrei voluto che tardassero che chiamassero chiedendo di raggiungerli perché persi in strani vicoli.
Cammino rigida stringendo la mano di Parker mentre ci avviciniamo al locale. Faccio un grosso respiro quando apre la porta lasciandomi passare.
In un attimo mi ritrovo delle mani addosso, un corpo caldo contro il mio, eppure mi sembra tutto così lontano, forse lo sono io. Non è una sensazione familiare quella che sto provando.
«Fatti vedere!» Max incombe su di me. È molto magro e continua a stringere le mie guance come un padre apprensivo. Sorrido e lo abbraccio. Mi è mancato davvero tanto.
«Ti trovo bene», gli do delle pacche affettuose sulle spalle.
Il nodo sul cuore si scioglie lentamente alla vista di queste persone meravigliose. Uno ad uno abbraccio tutti riscuotendomi dal panico iniziale. Luke, Tony infine Lucy che strilla e urla come una pazza annunciando a tutti che sono la sua migliore amica e damigella d'onore, come se già non lo sapessero.
«Vi presento Lexa e David due amici e lui è...»
«Parker il suo fidanzato, piacere», Parker stringe la mano a tutti. Max lo fissa con sguardo indagatore poi sorride accorgendosi tardi di chi ha di fronte. Gli piace, riesco a leggerlo nei suoi occhi.
Lucy arrossisce balbettando il suo nome e poi rimane imbambolata con la mano stretta in quella del mio ragazzo che si è presentato come il mio fidanzato. Ha sicuramente iniziato a marcare il territorio e questo a me non dispiace. Bisogna ridefinire i confini e specificare che sono qui solo per due matrimoni e che poi me ne ritornerò a casa.
Ci sediamo al tavolo. Lexa si sistema accanto a me così come Parker. Sembrano due guardie del corpo, continuano a guardarsi attorno come se da un momento all'altro dovesse succedere qualcosa e dovessero proteggermi. Inizio anch'io a guardarmi attorno ma la mia è una sensazione reale e solida. Ho paura che da quella porta, possa entrare una persona in particolare e al suo seguito qualcun altro.
STAI LEGGENDO
Unstoppable 2
RomansaQUESTO È IL SECONDO LIBRO DI UNSTOPPABLE • Si consiglia la lettura della prima storia per capire questo secondo capitolo • TRAMA: Sono passati mesi da quando Emma è scappata da New York per trovare il suo posto tranquillo. Il suo gesto disperato, d...