~ Emma's POV:
È una brutta giornata di pioggia. Mi sono inzuppata per arrivare in ufficio e per fortuna ho indossato qualcosa di estremamente comodo: jeans e maglietta. Non i soliti indumenti da ufficio. Tea è subito corsa in mio aiuto ma ormai ero fradicia perché un tassista non ha fatto in tempo ad evitare un fosso e tutta l'acqua è schizzata venendomi addosso. Quando si parla di sfiga, su di me ci vede più che bene.
Sono rimasta per un paio di minuti in bagno sotto il getto d'aria automatico per asciugarmi mentre alcune ragazze entravano lanciandomi i loro sguardi carichi di comprensione. Ho legato i capelli in una coda alta e poi sono tornata nel mio quadratino per iniziare a tutti gli effetti una nuova giornata lavorativa.
Purtroppo, come capita di rado, la giornata si prevede particolarmente noiosa. Non ci sono riunioni in vista e l'ufficio è troppo silenzioso. Mette una certa ansia addosso.
Uso il tempo libero per studiare e rimettere in ordine le email di lavoro. Rispondo alle solite chiamate per fissare degli appuntamenti e poi continuo a leggere appunti per gli esami.
A pausa pranzo, esco un momento per andare a prendere qualcosa da mangiare. In realtà rimango per una buona mezz'ora a fissare dalla vetrina la strada, i pedoni che cercano di non inzupparsi i tanti ombrelli colorati che affrontano le gocce d'acqua. Mi perdo totalmente e non mangio affatto. Sono parecchio pensierosa e spesso dimentico a non ricadere in vecchie abitudini che potrebbero compromettere il sottile equilibrio che ho a lungo tentato di ricostruire nella mia vita.
Lexa è rimasta per tre notti di fila a casa mia ed io non sono riuscita a chiudere occhio per lei. Sto cercando di risollevarle il morale per come meglio posso, visto che il padre si riprenderà ma so cosa la fa stare davvero male. Il fatto di non potere avere suo padre accanto, la manda in bestia e continua a ripetere che prima o poi lui capirà o lei andrà avanti da sola per la sua strada. Sappiamo entrambe che questo non aiuta. Pensare e non agire non aiuta, serve solo a mandare il cervello in tilt.
In questi ultimi giorni, ho evitato Parker di mia volontà. Non so perché lo stia facendo ma ho bisogno di capire, ho bisogno di non sentirmi in sovraccarico. Troppe emozioni, troppe novità, rischiano di mandare tutto all'aria. Ho paura di scoppiare e so che non posso permettermelo, non dopo i sacrifici che ho fatto per cercare di ricostruire i cocci del mio cuore.
Lancio uno sguardo all'orologio e sgrano gli occhi. Ritorno in ufficio di corsa tentando di non investire nessuno e soprattutto di non scivolare a terra facendo una pessima figura. Sulla mia scrivania trovo un malloppo di documenti da fotocopiare e rilegare. Mi metto al lavoro e cerco di concentrarmi meglio che posso. Più volte contrasto con la macchina fotocopiatrice e più volte ringhio a bassa voce. Cambio il toner e aggiungo la carta. Vado a prendere un tè e poi continuo.
Tea fa capolino con un altro malloppo di fascicoli tra le mani. Sembra nervosa ma lascio che faccia il suo lavoro e non mi lamento quando mi ritrovo sommersa dalla carta. Ho come il sospetto che di mezzo ci sia lo zampino del mio capo anzi, ne sono più che sicura. Mi sta punendo per averlo ignorato ma non cederò. Non ora.
Ho la schiena a pezzi, mi rialzo e cerco di riordinare nelle scatole i vari documenti. A fine lavoro dovrò portare tutto quanto nella sala riunioni e sistemarli negli appositi spazi dopo averle enumerate. Ormai ho perso il conto delle volte in cui l'ho fatto. Sono abituata al ritmo frenetico e non mi dispiace.
Il telefono vibra ma non ho la forza di rispondere a Lucy, non è proprio giornata. Non ho risposto alle sue continue chiamate e so che si starà preoccupando per me ma non me la sento di sentire le sue novità e poi le sue improvvise notizie riguardanti temi particolarmente dolorosi per la mia sanità mentale. Se me ne sono andata da New York ho avuto un valido motivo ma lei ancora non ha capito e non riesce ad accettarlo. So cosa vogliono, non posso. Qui sto bene, qui inizio a sentirmi a casa. Qui sto ricostruendo tutto per il mio futuro, lontana dai drammi e dal dolore.
Mi dirigo con le scatole in sala riunioni dove passo la mezz'ora successiva alla fine del mio turno, a disporre ordinatamente le cartelle. Stanchissima dopo avere dato una sistemata al mio ufficio raccolgo le mie cose per tornare a casa. Finalmente potrò cenare e stendermi sul divano.
Tea mi saluta mentre camminiamo l'una accanto all'altra ognuna distratta dai propri pensieri e dalla propria stanchezza, ma un'altra voce giunge alle mie spalle ancora prima che io possa entrare in ascensore. Drizzo la schiena e con una certa disinvoltura raggiungo l'ufficio di Parker.
«Chiuda la porta!»
Obbedisco e stringo il manico della borsa fino a sbiancare le nocche. Ha uno sguardo serio e contrariato. Spero di non avere sbagliato qualcosa sul lavoro. Perché è passato al lei? Non capirò mai questo ragazzo.
«Dove cazzo sei stata? Che cazzo ti prende? Mi spieghi cosa c'è che non va e perché mi eviti?»
Il suo repentino attacco mi fa indietreggiare. Troppe domande a cui dovete rispondere. Perché è così arrabbiato? Cosa avrei dovuto fare? Lasciarmi abbindolare dal suo improvviso affetto?
«Ho una pausa pranzo come tutti qui dentro!», ribatto freddamente. Non mi lascerò intimidire dai suoi modi.
Si rialza dalla sedia e si avvicina come uno squalo. Poggia le mani ai lati della mia testa e mi fissa con una certa rabbia. «Perché mi stai evitando?»
«Perché non so cosa vuoi! Perché non so come comportarmi! Perché non voglio...io, io non voglio soffrire ancora.» Lo spingo e cerco di aprire la porta ma questa si richiude con uno scatto. Le sue mani si posano sulla mia vita e mi trascinano sulla scrivania senza scampo. Si sistema nel mezzo e mi bacia con passione. Sento lo stomaco contorcersi e uno strano formicolio prendere vita sulla mia pelle.
«Non precludere la possibilità di avvicinarti a qualcuno perché hai paura. Non allontanarmi solo perché pensi di soffrire.» Mi stringe maggiormente a sé costringendomi a trattenere il respiro. Le sue labbra insistono sulle mie. Sono morbide, decise, hanno un retrogusto di caffè e menta. Uno strano mix per nulla invadente.
In un momento di lucidità, riesco a divincolarmi. Sono affannata e stupita da me stessa. Che diavolo sto facendo?
«Io non posso! Sono stati mesi difficili e...non posso!», mi avvio alla porta.
«Emma sai che non puoi fuggire all'infinito vero?», usa un tono dolce. Non è affatto arrabbiato per il mio rifiuto.
Annuisco sistemando dietro l'orecchio una ciocca di capelli sfuggita dalla coda. Apro con mani tremanti la porta. «Buona serata», balbetto e mi affretto a spingermi verso l'uscita.
Quando raggiungo finalmente il piano terra e supero l'entrata, alzo il viso verso il cielo serale e respiro a pieni polmoni l'aria fresca che la pioggia ha lasciato. Chiudo giusto un paio di secondi gli occhi per cercare di controllare il respiro e recuperare quel che resta del mio autocontrollo. Mi sento frastornata. Non riesco proprio a capire cosa stia succedendo nella mia vita. Continuo a vivere con la paura di essere sempre respinta da qualcuno ma in realtà sono io quella a volere respingere tutto e tutti per paura di soffrire ancora. È sbagliato e me ne rendo conto, ma ormai ho creato un casino e sono andata ad impantanarmi baciando il mio capo e provando per lui qualcosa che non riesco proprio a decifrare. Non posso dire che mi è indifferente ma ho paura di non potergli dare quello che merita. Ho paura di non poterlo amare come invece dovrebbe essere amato. È davvero difficile e mi sento una totale stupida mentre cammino per le strade affollate.
Torno a casa distratta e pensierosa. Al mio arrivo Lexa non c'è. Sono sola, con un post-it in cui mi avvisa che è tornata a casa e che ci vedremo per il weekend. Spero stia bene.
Preparo la cena piazzandomi davanti la tivù. Non riesco proprio a seguire il programma perché ho la testa piena di caos e domande a cui non riesco a dare una risposta. Mi guardo attorno spaesata. Sono sicura di volere rinunciare a tutto questo? Sono sicura di non volere provare ad andare avanti? In fondo me lo merito, no? Merito anch'io di ricostruire ogni cosa, anche l'amore.
In un moto di coraggio improvviso, mi rialzo, faccio una doccia veloce, indosso qualcosa di comodo e decido di uscire e andare a parlare con lui. Ho bisogno di un chiarimento, di un suo gesto. Spalanco la porta e vado a sbattere. Indietreggio senza fiato quando lo trovo sulla soglia in jeans e maglietta stupito dalla mia irruenza tanto quanto me.
Infila le mani dentro le tasche e mi fissa. «Stavi andando da qualche parte?»
«In realtà si, ma sei arrivato prima a quanto pare...» dico arrossendo
La mia risposta sembra stupirlo. È strano vederlo in abbigliamento casual. Mi piace molto sotto questo aspetto perché è lontano dall'avvocato posato e famoso con la quale ho a che fare ogni giorno da sei mesi ormai.
Mi faccio da parte per farlo passare ma non si muove dal corridoio. Un vicino apre la porta di casa e mi saluta prima di entrare e trasportare delle buste della spesa dentro. Solitamente lo aiuto ma in questo momento sono bloccata.
«Ti va di fare un giro?»
Una zona neutrale è proprio quello che ci vuole e per una volta non faccio nessuna obiezione e lo seguo a mio agio.
Solitamente mi preoccupo dei fotografi o della gente che si ferma con lui per una foto. È famoso, non può farci niente. È riuscito ad ottenere il suo lavoro dei sogni e la sua bravura lo ha portato ai piani alti. In questo momento però non sono affatto turbata. Ho davvero bisogno di avere il controllo di ogni cosa.
In auto cerco di rilassarmi. Per fortuna guida lui e non c'è il suo autista che magari potrebbe sentire i nostri discorsi.
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?», continuiamo a girare in auto in mezzo al traffico serale.
«Non ho cambiato idea ma non riesco a capire cosa tu ci trovi in una come me visto che potresti avere qualsiasi ragazza in questo paese. Non riesco a capire perché non hai paura che io non possa offrirti ciò che meriti al cento per cento. Non so cosa ci sia di sbagliato in me ma non posso permetterlo, non posso permettere che tu ti apra e poi soffra solo perché io...»
Parker mi blocca e si ferma di fronte un enorme palazzo alto e in un quartiere facoltoso. Sistema un braccio sul volante. «Tu non ti rendi conto di cosa sei Emma. Sei una ragazza meravigliosa e impaurita solo perché uno stronzo ti ha ferito! E credimi... provo una gran rabbia perché lo leggo nei tuoi occhi che hai sofferto e non posso fare niente. Mi sento impotente ma devo decidere io chi amare Emma. Devo farle io le mie scelte e se sbaglierò o mi farò male sarò io quello a pagarne le conseguenze e a dovermi rialzare. Non puoi impedirmi di provarci perché se non lo faccio, lo rimpiangerò a vita. Non sono nessuno per dirti cosa fare ma so cosa voglio io e non mi arrenderò di certo con un rifiuto pieno di scuse.»
Mi sento in imbarazzo perché non avevo pensato a tutto questo. Ha ragione sul fatto che spetti a lui decidere con chi stare ma io cosa voglio? Voglio davvero vivere con lo sguardo rivolto al passato? Non sto sprecando del tempo quando invece potrei vivere qualcosa di nuovo? Non posso gettarmi in una nuova storia e fregarmene di tutto il resto?
«Sono confusa...», sussurro. Mi prenderei a schiaffi, non riesco proprio a parlare ad esprimere i miei dubbi, le mie incertezze, le mie paure. Non riesco a mostrare il mio lato più intimo perché non so se posso fidarmi davvero di lui, non dopo quello che ho passato.
«Lo so ma non ti sto chiedendo di sposarmi. Ti sto chiedendo di provarci Emma. Se non andrà lo capiremo e lasceremo perdere.» Apre la portiera e viene ad aprire la mia. Prende la mia mano e mi porta all'entrata del palazzo, digita un codice e la porta si apre emettendo un suono metallico. Un portiere ci saluta in modo gentile. Prendiamo l'ascensore e arriviamo al quattordicesimo piano, l'ultimo per la precisione.
Parker apre la porta lasciandomi passare dopo avere acceso le luci.
Casa sua, è meravigliosa. Tutta in stile moderno e colorata. Diversa dai toni neutri dell'ufficio. Lo guardo stupita e curioso un momento con gli occhi.
«Spero tu non abbia mangiato il dolce». Mi fa sedere sul divano rosso e si incammina in quella che deduco sia la cucina.
Il tetto in legno, il parquet scuro, le mura colorate, il camino moderno al centro della stanza, i divani rossi, il tavolino scuro con sopra un vaso particolare. La tivù a schermo piatto che incornicia una parete intera, la Xbox e lo stereo. Una collezione di dischi in vinile meravigliosa. Una grande libreria piena zeppa di libri su cui i miei occhi puntano costantemente.
Sembra una casa disegnata apposta per le sue esigenze. Non lo facevo un ragazzo da Xbox o altro. In realtà nessuno pensa queste cose sul proprio capo, forse perché siamo abituati a vederlo in ambito lavorativo e quando ce lo ritroviamo sotto l'aspetto normale quasi non ci sembra umano.
«Sacher al pistacchio oggi». Il suo sorriso mi coinvolge. E mi rilasso maggiormente sul comodo divano. Si siede porgendomi il piatto.
«È tuo questo appartamento?» domando per fare conversazione e perché sono curiosa.
«Comprato con i primi risparmi. E' mio tutto il palazzo a dire il vero. Sono soddisfatto.» Il suo viso si illumina e i suoi occhi luccicano.
«Sei il proprietario di questo palazzo? Hai lavorato tanto eh?»
Annuisce. «Se te lo stai chiedendo, i vicini pagano poco per l'affitto e parte del denaro lo utilizzo per i lavori e i controlli di manutenzione continui.»
Non immaginavo fosse così rispettoso e organizzato. È un fottuto stronzo ma geniale.
«Allora? Che ne dici? Ci penserai? Ci proverai?»
Poggio il piatto sul piccolo tavolo e faccio un profondo respiro per concentrarmi. Non so quali siano le parole adatte o cosa sia meglio dire. «Voglio essere sincera. Non mi sei indifferente Parker, ma non so se voglio un coinvolgimento emotivo in questo momento. Non so se sono pronta. L'idea mi fa paura. Non voglio che tu ci metta tutti i sentimenti... non voglio distruggerli. Non ho ancora la mente sgombra e non so se riuscirò a sbloccarmi del tutto.» Mi preparo all'attacco che arriverà a breve, ne sono sicura.
«So che non hai la mente sgombra, chi ce l'ha dopo una delusione? Dovresti solo provarci, magari ti diverti pure», fa un sorriso tutto denti lasciandomi di stucco. Come fa ad essere così pragmatico?
«Mi spieghi come fai a non arrenderti?»
«Sono motivato e so cosa voglio, ripeto.» Porta i piatti in cucina ed io lo seguo.
È una cucina in bianco nero e grigio tutta moderna e piena di elettrodomestici di ultima generazione. Ben organizzata e strutturata. Giro l'isola e lo blocco quando cerca di lavare i piatti. «Tu hai servito, io pulisco». Cerco il detersivo e una spugna e lui me le porge con un sorriso. Dovrebbe farlo più spesso.
«Non te l'ho chiesto ma... cosa ti motiva e cosa vuoi esattamente?», asciugo le mani.
Parker mi fa girare nella sua direzione e mi inchioda contro il bancone. I suoi occhi chiari ardono e sulle sue labbra aleggia un sorriso perfido e divertito. So cosa sta facendo. «Sicura di volerlo sapere?», poggia una mano sulla mia guancia alzando il mio viso e poi con il dito sfiora le mie labbra.
Annuisco mentre uno strano calore si sta diffondendo su per il corpo. A breve diventerò rossa come un peperone.
Il suo viso si avvicina al mio. «Tu Emma. Sei tu la motivazione e voglio che ci provi!» la sua mano stringe la mia vita.
«E se mi rifiuto?», mormoro quasi sulle sue labbra senza fiato.
«Semplice: non mi arrendo», sorride e poggia le sue labbra sulle mie per un secondo.
Quasi scottata dal contatto mi tiro indietro. «E se non funziona?», dire che mi piace stuzzicarlo è poco. Mi ritrovo a sorridere imbarazzata. Vengo sollevata sul bancone e Parker si sistema tra le mie gambe avvicinandomi sempre più a sé. Arrossisco sentendo caldo.
«Se non funziona... amici come prima», continua a sfiorare le mie labbra e a sorridere. Lo trova divertente. Che stronzo!
«Siamo mai stati amici? Sul serio? Tornerai lo stronzo di sempre e manderai nel mio ufficio malloppi di documenti per punirmi?»
Passa una mano dietro la nuca e ridacchia. «Ammetto che mi piace essere considerato stronzo, sai? rafforza il mio ego. Comunque è il tuo lavoro quindi non dovresti lamentarti.»
«Ammetti che spesso lo fai per punirmi», picchietto il dito sul suo petto.
«Si mi piace punirti e stuzzicarti e allora? Non mi sembra tu ti sia abbattuta. Ti ho fatto un favore!»
«Un favore?», la mia bocca forma una "o". «Sei davvero uno stronzo patentato!». Continuo a picchiare l'indice contro il suo petto.
Mi blocca la mano allontanandola e mi bacia con forza. Poggio le mie mani sul suo viso e mentre prima provo ad allontanarlo, ora lo avvicino. Come fa ad essere così?
La sua fronte si posa sulla mia e il suo respiro affannato si calma lentamente mentre i suoi occhi si chiudono. «Provaci», mormora.
«Mi darai il tormento?», mi sfugge una risata.
Alza e abbassa la testa con un gran sorriso. «Io non rischierei fossi in te».
«A me piace rischiare», inumidisco le labbra.
Parker deglutisce e i suoi occhi hanno un guizzo. «Te ne pentirai», ridacchia. Cerco di spingerlo con poca forza ma le sue labbra si avventano nuovamente sulle mie. «Riuscirò a convincerti», dice con fermezza e so che sarà così.N/A:
~ Buongiorno!!! Come va?
Spero vi sia piaciuto questo nuovo capitolo. Cosa pensate di questo strano cambio di rotta? Emma si innamorerà davvero di Parker o nel rivedere Ethan avrà qualche tentennamento? Pensate che Parker sia in grado di rendere Emma felice e spensierata?
Come sempre potete commentare esprimendo il vostro parere in merito. Potete anche lasciare un voto per segnalare il vostro passaggio e per aiutarmi a far crescere questa storia. Se c'è qualche amica che non sa cosa leggere, consigliatele questa storia. GRAZIE a tutti di 💙 .
La canzone di oggi è di SAM HUNT.
Se vi annoiate passate a leggere:
- Ogni traccia che ho di te (potrebbe piacervi e sorprendervi).
Non mi dilungo ancora. Scusate per gli errori o orrori come sempre. Passate una buona giornata!!! -Giorgina ❤️ ~
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Unstoppable 2
RomanceQUESTO È IL SECONDO LIBRO DI UNSTOPPABLE • Si consiglia la lettura della prima storia per capire questo secondo capitolo • TRAMA: Sono passati mesi da quando Emma è scappata da New York per trovare il suo posto tranquillo. Il suo gesto disperato, d...