Lysandros, capitolo 15.

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La fronte corrugata intenta nel bendarmi delicatamente le ferite, i capelli che ricadevano sugli occhi e le sopracciglia folte ma ben separate incorniciavano i suoi tratti così eleganti e perfetti, dentro i quali mi sarei potuta perdere mille volte senza voler ritrovare la strada del ritorno.

- Vi faccio male? – chiedeva lui in continuazione vedendo il mio corpo irrigidirsi – Siete riuscita a conficcarvi una decina di spine per palmo. – rideva della mia goffaggine e, mentre cercavo di restare austera nonostante il forte dolore, quella risata era il miglior antidolorifico che mi si potesse mai offrire. Prese delle candide bende da un cofanetto sul tavolino e lentamente cominciò a legarle attorno alle mie mani – Troppo strette? – chiese, io feci segno di no con la testa – Potete anche parlarmi sapete? – rise ancora – Sto aspettando che voi mi spiegate i perché che tanto mi avete nascosto. – sorrisi cercando di catturare ogni minimo particolare del suo corpo. Aveva un anello nero all'anulare sinistro con cui giocherellava nervosamente.

- Bene. – sorrise lui dopo un breve silenzio, poi tornò serio – Erm, entra pure. – il maggiordomo entrò silenzioso nel salotto e con un inchino salutò riverente prima me e poi il ragazzo che continuavo a studiare.
Due pozzi scuri in cui l'iride e la pupilla erano quasi impossibili da distinguere giacevano al centro di due occhi dal taglio occidentale e leggermente allungato, mentre le sue labbra ben definite assieme alle sue mascelle squadrate mi facevano spesso perdere il filo del discorso.
- Corin, noto con piacere che siete viva. – sorrise, io sorrisi senza capire – Vedete, Corin – Lysandros mi prese le mani attento a non farmi male – Tutto ciò che si dice sul castello con la sua maledizione e le annesse sparizioni non sono del tutto storielle inventate per spaventare i curiosi. – continuai a fissarlo seria seppur iniziassi a spaventarmi, forse Helêne aveva ragione – Sei anni fa una giovane fanciulla arrivò al mio castello disperata perché inseguita da un branco di bracconieri. – proseguì Lysandros – Il Principe fu infinitamente gentile con lei, ebbe tutti i riguardi nei suoi confronti e ogni sua voglia o desiderio veniva assecondata dalla servitù con immensa gioia e riverenza. – proseguì il maggiordomo come se stesse leggendo un'antica leggenda su un vecchio tomo impolverato – Ma i miei sorrisi resero questa ragazza confusa, tanto da fraintendere la mia gentilezza per amore. – a quel punto la mia schiena si drizzò ed indietreggiai leggermente con un pensiero che si era fatto avanti spontaneamente a quell'affermazione.
Lysandros in risposta si avvicinò nuovamente a me, anche di più rispetto a prima – Così questa giovane fanciulla, per carità splendida e dolcissima, mi dichiarò il suo amore convinta che questo fosse ricambiato. Ma un ventenne non ha sempre il tatto per denegare con garbo il cuore altrui e così la rifiutai in malo modo. – ammise il ragazzo chinando il capo – Come vi ho sempre detto principessa, Lysandros è un po' particolare. – intervenne Ermete – E così – riprese il ragazzo guardandomi – la ragazza rivelò la sua vera natura. In realtà non era una semplice giovane, ma una ninfa che da tempo osservava il mio castello e si era innamorata di me. Quel rifiuto fu visto come un affronto alla sua persona ed ai suoi poteri, o più semplicemente ne fu così distrutta da lanciare una maledizione su tutto il castello. -

Rimasi sconcertata da quelle parole, la magia non esisteva né tantomeno le fate o le ninfe, ma gli occhi di Lysandros erano così sinceri che non riuscii a dubitarne nemmeno per un istante – In cosa consiste questa maledizione? – chiesi titubante.
- Ogni primavera, nel giorno del solstizio, una giovane in età da marito busserà alla porta del castello. Ella vi entrerà e vivrà con me e, nel momento in cui scorgerà il mio volto, se ne innamorerà all'istante e perdutamente. E questa sarà la sua condanna a morte, poiché entro la fine della stagione ella perirà all'interno delle mura. – rimasi scioccata da quelle parole, le mie mani iniziarono a tremare e le ritrassi velocemente per non darlo a vedere. Mi schiarii la voce e chiesi – Ma la ragazza non può fuggire? Ha tre mesi per farlo, è impossibile. Come seconda cosa vi chiedo di perdonarmi ma insinuare che io... insomma che provi qualcosa per voi... - agitai la mano cercando di nascondere il rossore delle mie guance mentre pronunciavo quelle parole, non sapevo cosa fosse l'amore o essere innamorati e lui, per quanto potesse farmi esplodere l'anima ad ogni sorriso, non poteva azzardare tali affermazioni.

Lui sorrise, con quel suo tipico sbuffo che mi faceva sciogliere il cuore e mi guardò con quei suoi pozzi scuri pieni d'affetto – C'è una particolarità in questa maledizione. – si avvicinò pericolosamente al mio viso e notai che Ermete si era dileguato chissà dove, le sue mani mi accarezzavano delicatamente i polpastrelli provocandomi piacevoli brividi lungo la schiena – Nel momento in cui mi dovessi innamorare di una delle giovani, questa "fortunata" fanciulla non sarà l'unica a perdere la vita prima della fine della primavera. A meno che io non muoia prima che questa scopra il mio volto, a quel punto ella sarà libera. – sorrideva amaramente e nei suoi occhi due pagliuzze tristi mi resero gli occhi lucidi. Lui posò le labbra sulle mie con la delicatezza della rugiada che accarezza i fiori candidi nelle mattinate invernali per donarmi un casto bacio. Il mio stomaco non era ancora abituato a quel tipo di contatto e si contorceva sorpreso mentre il mio cuore impazziva di gioia e le mie mani fremevano come tutto il mio corpo che desiderava un contatto più intimo – Ma credo che ormai sia troppo tardi. – sussurrò sorridendomi dolcemente, gli occhi immersi nei miei.

Quel suo sguardo era una tortura così dolce che avrei preferito cent'anni di prigionia al vedere il suo viso allontanarsi dal mio.

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