Lysandros, capitolo 17.

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Bevemmo il thè in silenzio, guardando nelle nostre rispettive tazze per trovare risposte che nessuno dei due aveva. Mi tremavano leggermente le dita al pensiero della morte, al pensiero di come sarei morta e di come la mia vita si sarebbe spezzata all'improvviso senza potermi opporre, io che mi opponevo per indole a qualsiasi cosa.
- Stai bene? – chiese Lysandros osservandomi, io annuii debolmente ma non ebbi il coraggio di incontrare i suoi occhi perché sapevo che se l'avessi fatto avrebbe capito stessi dicendo il falso – Corin, non siate così triste. – sospirò ed io mi sforzai di sorridergli per dimostrargli il contrario. Lysandros aveva fatto moltissimo per me, era arrivato ad uccidere per me ed ora io l'avevo condannato a morte certa, non si meritava persino il mio muso lungo – Ti va di ballare? – chiesi posando delicatamente la tazzina di thè concentrandomi sulla fermezza delle mie mani – Certo! – rispose lui entusiasta.

Dopo aver azionato il giradischi mi invitò a ballare con lui al centro del grande salone d'ingresso – Considerala come una prova per il prossimo giugno. – rise prendendomi per i fianchi e sollevandomi in aria facendomi volteggiare, io improvvisai un inchino – Sarà un grandissimo piacere, mio Re. – marcai l'ultima parola in tono beffardo e nel vedere la sua smorfia infastidita presi istintivamente il suo volto fra le mani e mi avvicinai a lui. Quel gesto sorprese entrambi – Perdonatemi. – ammisi allontanandomi rossa in volto, ma lui mi imitò e mi baciò la fronte – Non devi scusarti. – mi sorrise felice e danzammo sulle note di una musica veneziana che faceva sorridere entrambi sotto le luci dei grandi candelabri di ottone che riscaldavano l'ambiente con le loro luci calde.

Mi sentii incredibilmente felice fra le sue braccia e per un momento mi dimenticai di tutto, volteggiando con le dita intrecciate alle sue, i nostri occhi a pochi centimetri gli uni dagli altri, i nostri cuori che battevano all'unisono e le nostre risate di bambini che echeggiavano nel grande salone – Sono felice. – ammisi quando la musica si fece più lenta e lui mi prese per i fianchi avvicinandomi a sé – Per cosa? – chiese lui poggiando la testa sulla mia spalla – Di questo momento e del fatto che non ringrazierò mai abbastanza quel lupo per aver sbattuto contro l'aria e avermi fatta arrivare da voi. – sorrisi inclinando il capo e sentendo i suoi capelli sfiorare delicatamente la mia guancia. I nostri passi si facevano sempre più piccoli ed i nostri corpi sempre più vicini – Cosa intendete? – chiese lui, ma non sentii il resto della frase perché una forte luce mi investì.

Un tremendo boato lasciò la sala nel buio più sconfortante.

- Lysandros? Principe dove siete? – chiesi con un filo di voce quando riaprii gli occhi.
La testa mi doleva e a tentoni capii di essere vicino alla scalinata, sulla tempia una sostanza liquida arrivava a bagnarmi la guancia – Dove siete? – ripetei cercando di muovermi, ma entrambe le gambe mi facevano troppo male.
Il mio cuore iniziò ad accelerare temendo il peggio, pensavo a Lysandros esamine, disteso per terra in una pozza di sangue. Nella mia mente un susseguirsi di immagini disastrose e di morte mi fecero mancare l'aria – Lysandros! – urlai più forte. Con la sola forza delle braccia strisciai verso il centro della sala immersa nel buio, calde lacrime mi rigavano il volto corrucciato dalla paura. Continuavo a ripetere il suo nome mentre tastavo il pavimento in cerca del suo corpo o di una qualsiasi traccia riconducibile a lui. I miei polpastrelli sfiorarono del metallo freddo e, poco dopo, tanti piccoli aghi pungevano la mia pelle nascosta dalle vesti, capii subito si trattasse di vetro.

Oppure cristallo.
I candelabri.

- Corin! Principe! – urlò Ermete in lontananza. Una piccola luce giallastra si fece strada nel buio del salone – Ermete sono qui! – urlai agitando il braccio – Santo cielo – commentò l'uomo appena vide il pavimento – Com'è potuto succedere? – mi aiutò prontamente a sollevarmi ed io mi poggiai a lui poiché le mie gambe erano doloranti e piene di sangue – Dov'è Lysandros? – chiesi preoccupata, lui agitò la lanterna che aveva in mano per illuminare tutta la sala ed allora ebbi modo di vedere cosa fosse accaduto: i candelabri erano crollati sul pavimento frantumando i cristalli che vi erano appesi al contatto col pavimento. Probabilmente io e Lysandros eravamo stati scaraventati ai lati della sala a causa dell'impatto – Corin... - sentii una voce flebile in lontananza chiamare il mio nome, riconoscendola abbandonai Ermete e cercai di avvicinarmi alla voce – Lysandros? – chiesi una volta vicino al corpo – Stai bene? – chiese lui carezzandomi la guancia col dorso della mano.

Ermete arrivò poco dopo illuminando le nostre figure. Lysandros aveva qualche taglio sul viso ma sembrava star bene, il mio cuore sembrò alleggerirsi improvvisamente – Devo essere svenuto. – ammise il ragazzo massaggiandosi le tempie e cercando di risollevarsi – Venite, vi accompagno nelle vostre stanze. L'impatto deve avervi fatto sbattere la testa, avete bisogno di riposare. -

Un rumore di passi ci fece voltare tutti nella stessa direzione, qualcuno ci era passato d'accanto per dirigersi verso le scale. Ermete corse verso chi pian piano si stava allontanando seguito da me e Lysandros poco più dietro, un rumore simile a quello di un lampo ci fece sobbalzare – Principe... - chiamò Ermete.
Il rumore di passi era svanito, come se chi fino a poco prima stesse camminando si fosse messo a volare. Ermete era fermo vicino al quadro che era sempre stato coperto da un drappo rosso durante la mia permanenza. Il drappo era per terra abbandonato e all'altezza del cuore del ritratto a mezzo busto del principe c'era un profondo squarcio nella tela imbrattato di una sostanza rossastra, stesa probabilmente con le mani, che formava la scritta "Corin"
- Corin... - Lysandros sembrò trattenere il fiato – Perdete sangue. - indicò il mio corpo con espressione terrorizzata.
Mi guardai il corpo e notai che, oltre il taglio alla tempia, le mie gambe erano ricoperte di sangue dovuto a vari tagli sparsi sulle cosce, Ermete illuminò la scalinata e trasalì.
Una scia rossa andava dal quadro al gradino dove mi ero risvegliata dopo il crollo dei candelabri.

La sostanza che sporcava la tela era sangue, e quel sangue era mio.

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