Capitolo 4

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Mi risvegliai su di un letto. Non era comodo, il materasso era sottile ed era grande abbastanza per farci stare me.
Era mattina, la luce accecava i miei occhi non ancora abituati.
Ero in un dormitorio. Quel bagliore proveniva dalle numerose lampade sul soffitto. C'erano tre file di letti lunghe almeno una decina di metri. Su ogni letto, uguale al mio, c'erano bambini e bambine dalla mia età fino più o meno ai quattordici anni.
Tutti loro erano speciali?
Provai ad alzarmi, ma mi accorsi che mi avevano legato al letto. Le cinture con cui eravamo stati legati si slacciarono da sole appena entrarono sette uomini adulti in divisa nera, tra cui l'Uomo. Mi misi a sedere senza volgere le spalle agli uomini appena entrati, non per educazione ma perché non mi fidavo. Mi accorsi di non trovare i capelli sulle spalle, non li sentivo nemmeno sulla schiena. Mi tastai la testa: avevo un taglio alla "militare". MI AVEVANO RASATO?!?! Questo era troppo! Non potevano rasarmi! E perché alcuni erano rasati e altri no? Doveva essere successo qualcosa nella porta n°3 o nella 4. Ma in tal caso cosa era successo nell'altra? Iniziai a controllare sempre più in basso sulla testa fino ad arrivare alla nuca. Avevo una di quelle scatolette metalliche che avevano anche i tre che mi avevano rapita e tutti gli altri presenti. Solo gli adulti non li avevano, ma io non potevo stare li fino a trent'anni ad aspettare che me lo togliessero! Mi tastai anche il resto del corpo per vedere cos'altro mi avessero fatto. Mi accorsi che come gli altri indossavo un pigiama grigio. Non trovai nient'altro di diverso in me.
Alcuni si guardavano in giro sperduti. Forse anche per loro era il primo giorno.
L'uomo al centro era più grosso degli altri ed iniziò lui a parlare:
-Oggi le lezioni saranno le seguenti: storia, lotta armata, disarmata e con poteri. Per i nuovi arrivati invece ci sarà il corso di abilitazione.- niente "buongiorno" o "ciao" o "scusate se vi abbiamo rapito, torturato eccetera".
Dopodiché ci alzammo tutti insieme e sempre sincronizzati sistemammo il letto e ci mettemmo in piedi davanti al letto con le braccia sporte in avanti. Non ero stata io a muovermi... cioè a volermi muovere: avevo fatto tutto come posseduta. Come se il corpo non fosse il mio ma vedessi e sentissi da esso. Alcuni nuovi si stupirono; io invece sapevo che erano stati loro e invece di stupirmi mi arrabbiai. Forse era stata quella roba sul collo. Era grande quanto una scatolina di tic tac max, non pesava nemmeno tanto.
L'uomo alla sinistra di quello che aveva parlato precedentemente fece un passo avanti. Era più mingherlino e aveva l'aria da prof acido.
-Per chi non lo sapesse ora vi daremo vestiti e scarpe.- disse -Avete cinque minuti per cambiarvi.- Ritornò in fila con gli altri e insieme uscirono. Una volta usciti provai a tirar giù le braccia ma non ci riuscii.
Entrarono subito dopo quattro uomini, due con in mano una fila di vestiti e due con un carretto di scarpe. Ce li diedero per poi uscire e lasciarci lì.
Mi dovevo cambiare davanti a tutti? A quanto pare sì. Tutti quelli che dovevano essere lì da un bel pezzo, comunque da più di un giorno, si affrettarono a vestirsi. Io mi associai, ma tentai di restare il meno possibile senza pantaloni e senza maglietta. E le calze? Erano dentro le scarpe, delle calzine bianche che arrivavano a malapena alle caviglie le scarpe erano degli scarponi che mi stavano pure grandi. Erano sporchi di fango e con la suola usata.
Poi mi alzai in piedi. Avevano un gusto per i vestiti ancora peggio di quello delle scarpe: avevo indosso una tuta nera, anche questa grande, con il marchio del rombo con la scritta U.S. sul petto a sinistra. Tre ragazze alla mia destra mi guardavano con aria diffidente, ma era come se cercassero di deridermi. Io le guardai più male che potei. Mia zia mi aveva seriamente vietato di lasciare che mi prendessero in giro, "piuttosto fai a botte". Mi piaceva questo divieto. Entrano quattro dei 7 uomini di prima. Si avvicinarono ai ragazzi della sala prendendone un gruppetto ognuno . L'Uomo si avvicinò a due ragazzi poco più avanti, gli disse qualcosa e loro lo seguirono; poi si avvicinò spedito verso di me, fino ad arrivare ad una decina di centimetri davanti a me. Mi guardava dall'alto con uno sguardo vittorioso.
-Vieni, tu sei con me.- mi disse dopo qualche secondo di una "gara a chi guarda peggio".
-Io non sono con nessuno, specialmente con te, chiariamo- poi mi misi in fila con gli altri due ragazzi.
Erano due gemelli, completamente uguali, capelli e occhi neri, ma loro tutta era su misura (perché la mia non lo era?). Sembravano smarriti e spaventati, ma o non volevano darlo a vedere o non riuscivano. Ormai avevo capito a cosa servivano quelle scatolette: a controllare le nostre emozioni . Ci facevano trovare solo quello che volevano loro. A quanto pareva, però, non funzionava perfettamente. Ad esempio il Moro: in lui avevo visto negli occhi del pentimento per quello che stava facendo, io stessa riuscivo a calmare quell'odio che avevo dentro. Continuammo a camminare lungo la fila e ci fermammo davanti ai tre ragazzi della scorsa sera, i rapitori. Erano in ordine il biondo, il Moro, la ragazza. L'uomo ci mise in fila per due, davanti alla ragazza con gemello, seguiti dal biondo e dall'altro gemello e infine io il Moro. Non so perché, ma mi sentivo a disagio con lui di fianco, avevo l'istinto di ringraziarlo anche se non aveva fatto niente per me, provavo così rispetto per lui solo perché mi aveva guardato in quel modo, come se gliene fregasse qualcosa di me e gli dispiacesse in quella sala oscura con quella specie di boia marcatore. Camminammo fino all'uscita, poi in un lungo e stretto corridoio tale e quale a quello del giorno prima (se era stato il giorno prima). C'era un gruppo davanti a noi, anche loro in fila per due, ma erano di più: 5 file da due. Sembravano tutti a loro agio lì, quindi forse erano in quel posto da più tempo. Entrarono in una porta, da cui riuscii a intravedere della luce, non delle lampade, luce solare e riuscii a prendere una boccata di aria fresca. Era dolce e leggera, molto meglio di quella soffocante che si respirava lì dentro. Entrammo nella porta accanto. Io sinceramente speravo in un luogo simile a quello in cui erano entrati gli altri, ma con mia grande delusione mi ritrovai in una stanzetta a malapena illuminata, in cemento. Era completamente spoglia se non per 6 file da 7 sedie e qualche luce a led sul soffitto, in stile scuola del carcere minorile. Entrò subito dopo di noi un altro gruppo con un altro adulto e altri sei bambini che si misero a sedere dietro di noi.
-Io e gli  uomini di fianco a me siamo i vostri comandanti. -Inizio fine l'Uomo con un tono di voce rigido. -La persona con cui avete camminato nel corridoio è il vostro supervisore responsabile. Sarà lui, o lei, ad assicurarsi che diventiate un degno fedele membro del SU: Speciali Uniti. Vi addestremo, svilupperete i vostri poteri e combattere per la nostra giustizia.
Non ne avevo per niente voglia, né di "essere un degno e fedele membro del SU", né tantomeno di combattere per loro, per una giustizia ingiusta.
-Non potete sottrarvi. I vostri responsabili vi spiegheranno tutto.-
Detto questo uscì portando dietro il nostro gruppo. Andammo avanti per il corridoio sempre con le stesse file da due ed entrammo in una sala grande quanto il dormitorio, sempre con le pareti in cemento, ma sul pavimento c'è la terra è una gran luce proveniva dal soffitto, aria fresca inondò i miei polmoni: una vetrata si estendeva sulle vostre teste da cui penetrava la luce del sole che era così forte rispetto alla luce delle altre stanze che dovetti chiudere gli occhi. Quando mi fui abituata alla luce capi che non era luce del sole oltre alla vetrata: c'era un enorme schermo che ricopriva il soffitto e simulava un cielo pomeridiano primaverile con qualche nuvola bianca. Dall'altra parte della stanza si ergeva un bellissimo ciliegio cinese in fioritura. A parte questo e qualche ciuffo d'erba la stanza era vuota. Il terreno su cui camminavamo era duro. Il nostro comandante ci mise schierati dall'altra parte della stanza. E mentre camminava avanti e indietro davanti a noi disse:
-Voi mi chiamerete comandante o Signore. Se oserete chiamarmi in un altro modo ritornerete in sala di marchiatura. Indicando la ragazza continuò.- Lei è 3 3 1 2- poi passo in ordine: il biondo era 3381 e il Moro era 18 116. -Qui ognuno ha un numero come nome. I vostri sono:- prese la cartella da un tavolo nascosto dietro l'albero e si mise davanti al primo gemello -3310 7,- si spostò davanti al secondo gemello -10556,- infine si avvicinò a me e disse -infine tu sei 2 1 6 7 3. Ora basta con le presentazioni. Qui è dove vi allenerete al combattimento, con e senza poteri e con e senza armi. 181 16 e 21673 volete fare una dimostrazione di combattimento con i poteri?- sapevo che a quella domanda non si poteva rispondere di no. Il suo sguardo si poso su di me con quel suo tipico ghigno compiaciuto. Io gli mollai uno sguardo altrettanto odioso, poi segui 18 11 6 fino al centro della stanza, a pochi passi davanti a lui.
-Inizia tu.- mi disse.
Pensai a quello che avevo fatto la sera prima. Dovevo solo concentrarmi sapevo che lui era lì da più tempo di me e di sicuro se la cavava meglio. Mio zio mi diceva che contro un nemico più forte bisogna abbatterlo in astuzia. Mi serviva un piano. Pensai a quando la sera prima mi aveva acchiappato al volo con una corda. Mi concentrai. Uno zaino a razzo mi apparve sulla schiena e mi sparò in aria. Come previsto lui creò annoiato una corda e acchiappo il mio FANTOCCIO che si librava in aria. Infatti ero ancora lì. Mi ero resa invisibile. 181 16 tirò la corda fino a far arrivare a terra l'altra me che tentava inutilmente di liberarsi. Lei fece apparire in mano una forbice molto, molto affilata così che tagliasse la fune. Lo fece e tornò a librarsi in aria allontanandosi da lui.
-Attacca 21673!- ordina il comandante con gli occhi fissi sui fogli. Chissà se aveva visto il mio trucco... Comunque feci come ordinato. 181 16 fece apparire un jet sulle sue spalle ma appena si alzò da terra io corsi verso di lui, gli presi un piede, e lui cade a terra . Dallo shock si era deconcentrato e il get che aveva creato sparì. Feci scomparire il mio trucco e il mio fantoccio. Lo guardavo dall'alto mentre lui era per terra. Immobile mi fissava a occhi sgranati. Forse non si aspettava tanta bravura da una recluta (modestamente...). Mi accorsi però che qualcosa di liquido stava cola dal naso fino alla bocca. Mi tastai con l'indice il punto: era sangue. In quel secondo in cui mi ero distratta lui si alzò e mi assestò un pugno in pancia a una velocità incredibile io mi piegai in due e distinto ricambiai dandogliene uno in faccia ma lo schivò in tempo. Poi mi ammanettò mani e piedi e io finii in ginocchio. Infine, come se non fosse abbastanza, mi mise specie di cerchietto metallico in testa: non riuscivo a creare più niente.
-Fine del combattimento. Vince 18116.- annuncio il comandante. A quelle parole che mi tolse il cerchietto e fece sparire i legacci. -ora inizia la lezione vera!
I tre duetti si posizionarono distanti.
-Sei brava per essere nuova...- mi disse 18 116.
-Per niente brava per essere un aspirante generale dell'esercito. Mi sono sempre allenata nel combattimento e nelle strategie, non cerco scusanti... Ma non mi sono mai preparata a combattere con questi poteri.- ribattei io.
-Allora fammi vedere come combatti corpo a corpo.
Lui fece per fare un passo verso di me con i pugni alzati. Io gli presi il polso, glielo girai e lo buttai a terra. -Vai già meglio così.- continuò lui.
-Anche tu.- scherzai io.
-Ironizzi con un tuo superiore?!- Scattò 18 116. Io lo guardai perplessa per capire se stesse scherzando. Ma non scherzava. Un moto di rabbia comparve sul suo viso. Si alzò e mi fissò con lo sguardo di pietra. -Non ti conviene rifarlo.- continuò.
-Si signore.- dissi io dura.
Continuammo ad allenarci in silenzio, se non per i suoi ordini. Mi fece allenare a usare i miei poteri, mi spiego come funzionavano e come sfruttarli al massimo. Ci alleniamo nell'attacco e nella difesa, con e senza poteri. Andammo avanti per ore, credo. Lì non avevo modo di tenere il tempo. Poi ci chiamo il comandante: -È ora di pranzo.- pronunciò.

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