Capitolo 12 - Ignazio's pov

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Un giorno lungo e stancante. Ecco come si sarebbe prospettata la mia giornata dopo la mia notte insonne. Troppi pensieri per la testa che mi avevano tenuto sveglio disturbandomi il sonno.

Mi alzai, stufo di rimanere ad oziare nel letto, quando le prime luci dell'alba incominciarono ad illuminare Venezia. Mi avvicinai alla grande vetrata e rimasi lì per qualche minuto a riflettere su quello che avremmo dovuto fare durante il giorno: quella sera, la sera del ventuno aprile, avremmo messo in atto la nostra rapina. Non era affatto la prima che ne avremmo effettuata una, ma ogni volta sembrava tale.

Feci come sempre una doccia veloce e poi mi vestii, notando che i miei due compagni di stanza - nonché di vita - erano già pronti. Evidentemente non avevano dormito molto nemmeno loro, con tutto quello che ci passava per la testa.

La mattinata all'università passò pressoché tranquilla, mentre tutti e tre cercavamo di nascondere il nervoso e l'agitazione per quello che avremmo fatto. Pranzammo al bar dell'edificio per poi passare un pomeriggio tra ragazzi con Marco e Lorenzo, i quali ovviamente continuavano ad essere ignari di tutto.

***

La sera arrivò presto e ci vestimmo di nero per poterci mimetizzare con l'ambiente circostante: essendo notte non avremmo potuto di certo indossare abiti dai colori sgargianti.

Presi il mio passamontagna e tutto l'occorrente per la rapina ed in seguito ci dirigemmo verso la nostra macchina con i finestrini rigorosamente oscurati.

Arrivati davanti alla banca di Venditti venni assalito dai sensi di colpa, come mio solito, ma li repressi con tutto me stesso. Gianluca rimase in macchina e Piero scese con me, come da programma.

«Ignà, mi raccomando, fa' attenzione!» mi avvertì Gian.

«Se dovesse esserci qualche problema, lo chiamo io, non preoccuparti, Ginoble!» gli fece l'occhiolino Piero ed io sorrisi ad entrambi.

«Tu resta in macchina e non annoiarti troppo. Tu capisti?» dissi con il mio accento siciliano e lui rise, adoravo vedere i miei amici felici e sereni.

Piero si posizionò all'entrata della banca, afferrai la pistola, misi il silenziatore e sparai alla telecamera ubicata proprio all'ingresso. Afferrai la chiave ad urto ed aprì la porta principale della banca.

Non ci fu bisogno di disattivare gli allarmi poiché Shelby, una delle segretarie che lavoravano nella banca, finito il suo turno, non li aveva attivati.

Mi ricordai di quando l'avevo conosciuta un anno prima, proprio durante la nostra prima rapina. Ero entrato, stupito nel non sentire l'allarme suonare, e mi ero diretto verso il caveau dove vi erano i soldi e alcuni oggetti di valore. Purtroppo non mi ero reso conto che c'era un'altra persona, la quale, non appena mi aveva visto, aveva incominciato a urlare e a correre verso l'uscita. Avevo fermato Shelby in tempo, provando a rassicurarla e raccontandole quello che avevo intenzione di fare, e lei si era calmata, lamentandosi subito dopo del suo basso stipendio e del bisogno di soldi per pagare il mutuo.

Quella sera, allora, le avevo proposto un accordo: lei avrebbe disattivato tutti gli allarmi ogni qualvolta ci sarebbe stata una delle nostre rapine, avrebbe mantenuto il segreto e in cambio le avremmo dato una parte del bottino. E così era stato.

Ricordando quella sera, sorrisi ripensando al fatto che poco tempo dopo io Shelby ci eravamo messi insieme per poi lasciarci un mese dopo tra incomprensioni e litigi continui, ma eravamo rimasti lo stesso ottimi amici e lei continuava ad essere una nostra complice.

Ritornai alla realtà, sfrecciai verso la centrale di controllo e feci il mio ingresso nella stanza, disattivando tutte le telecamere a circuito chiuso. Poi mi diressi al caveau che oramai conoscevo a memoria, aprii lo zaino e misi all'interno tutto ciò che trovai.

Sentii il mio cellulare suonare, guardai ed era Piero. Il panico incominciò ad impossessarsi di me, così chiusi lo zaino correndo verso l'uscita e una volta fuori trovai il mio amico alquanto agitato.

«Pié, che è successo? Perché mi hai chiamato?» domandai col fiatone.

«Sali in macchina, ora non c'è tempo!» mi ordinò, spingendomi con forza dentro il veicolo.

«Ma si può sapere cosa ti prende?» replicai stizzito.

«C'è Bernabei. Credi che se ci vedesse vestiti in questo modo, con un borsone, crederebbe che stavamo solo passando di qui per caso? Boschetto, anche tu!» mi rimproverò Piero ed io sbuffai, sistemandomi meglio sul sedile.

«Ve l'ho detto io che prima o poi ci beccheranno...» la voce di Gianluca, dal posto del guidatore, tremava. Che gli prendeva? Da quando aveva così tanta paura?

«Gianluco, smettila con queste stupide fobie, è andato tutto bene. Domani chiameremo Shelby per darle una parte del denaro e dei gioielli... Non ci hanno beccato, le telecamere erano tutte disattivate come anche gli allarmi, di cosa ti preoccupi?!» Ero stanco di dover ripetere sempre le solite cose.

Gianluca accese il motore e partimmo come un fulmine verso casa, stanchi ma soddisfatti di aver vinto ancora una volta.

[Scritto da ErikaYellow]

***

Sorpresa! Visto che avete letto il capitolo in tanti prima di una settimana, ho voluto aggiornare con due giorni di anticipo :)

Per le IlVolovers: sappiamo che nella realtà Gianluca con la patente è surreale tanto quanto il fatto che possano rapinare una banca, ma questa è una fanfiction e qui tutto è possibile! :')

Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, se è così non dimenticatevi di lasciare una stellina e/o un commento :)

Grazie mille a tutti, ci si risente venerdì o sabato! ❤

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