Capitolo 40 - Ignazio's pov

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Io, Gianluca e Piero eravamo appena giunti davanti alla stazione di polizia, in piena notte.

Era finita, dopo circa un anno e mezzo la nostra cosiddetta "avventura" era appena giunta al termine: eravamo stati scoperti proprio da uno dei nostri migliori amici, Lorenzo, e da suo cugino Marco. Avevamo sempre avuto il timore che prima o poi qualcuno ci avrebbe colto in flagrante e avrebbe chiamato le forze dell'ordine, come avevamo temuto quella notte alla vista di Annalisa, pur augurandoci che non sarebbe successo mai e poi mai. Normale, direi.

Ma le nostre speranze, quel venticinque giugno, si erano totalmente vaporizzate. Nessuno di noi tre osava fiatare, non avevamo aperto bocca neanche durante il tragitto il macchina dalla banca alla centrale per quando eravamo sconvolti e affranti al tempo stesso. Una sconfitta del genere era dura da accettare: eravamo alla resa dei conti ormai, e non potevamo farci niente.

Una volta scesi dall'automobile della polizia notammo che Marco era arrivato proprio un momento prima di noi, e stava entrando per aspettarci e poter raccontare la sua versione dei fatti.

Scortati da due agenti entrammo nella stazione di polizia senza proferire parola, lanciandoci solamente sguardi spaesati, sconfitti e preoccupati. Cosa ci avrebbe aspettato? Non osavamo neanche pensarci.

«Ragazzi, aspettate qui» ci intimò uno degli agenti una volta dentro, indicandoci una fila di sedie di fronte a quella dove era seduto Marco. «Il signor Mengoni ha richiesto la presenza di una seconda persona che sarà qui a breve.»

Annuimmo con un cenno del capo mentre l'agente sparì tra i corridoi. Potevamo benissimo immaginare chi fosse quella "seconda persona".

Rivolgemmo lo sguardo verso l'unico altro tizio presente in quel momento: Marco Mengoni, il testimone di tutto, ci scrutava impassibile, le labbra serrate dal nervosismo e le braccia conserte.

«Les jeux sont faits, ragazzi» farfugliò, con aria di sfida. «È finito il tempo dei vostri giochetti. Proprio voi, gli amici di mio cugino, quelli che lui ha sempre definito "i ragazzi più onesti di questo mondo"... Ah, che begli amici. Più che onesti, oserei dire.»

Ci limitammo a guardarlo con disprezzo, non avevamo né la voglia né la forza di ribattere.

Dopo un tempo indefinito che a noi parve interminabile, come volevasi dimostrare, anche Venditti fece il suo ingresso nella stazione di polizia, più spaesato che mai.

«Marco, ragazzi, si può sapere che ci facciamo tutti qui?!» esordì, confuso.

Mengoni alzò un sopracciglio, buttandoci un'occhiata. «Ah, vedrai, te lo racconteranno loro. Già la maniera in cui sono vestiti tutti e tre dovrebbe farti intuire qualcosa!»

Venditti tentò di replicare, ma fortunatamente prima che la discussione potesse degenerare intervenne il commissario che ci invitò a seguirlo nel suo ufficio per commentare l'episodio appena accaduto.

Non appena ci fummo accomodati, Marco iniziò a tirarci frecciatine.

«Che c'è, vi hanno rubato la lingua? Non sapevo ci fossero altri ladri qui...»

«Altri ladri?» ripeté Venditti, spaesato.

«Marco smettila, tu non puoi capire!» sbraitai allora contro il giovane. «Tu non sai niente di quello che è successo, assolutamente niente

Iniziò una sorta di lite tra noi quattro dimenticandoci di avere il commissario davanti a noi, ma per fortuna Venditti ci interruppe quasi immediatamente.

«Ragazzi, per cortesia, siamo in un commissariato! Piantatela tutti, smettetela di comportarvi come bambini dell'asilo. Siete grandi, porca miseria. Se mi avete fatto venire solo per vedervi litigare, me ne stavo volentieri a casa. Si può sapere cosa c'era di così tanto urgente? Se qualcuno ha da dichiarare qualcosa che lo faccia e basta, il commissario è qui apposta.»

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