Non si capisce davvero quanto una cosa sia importante nella propria vita finchè quella cosa ci viene tolta.
A sei anni non potevo capire quanto amassi la mia tartaruga finchè essa non morì, a dodici anni non capivo quanto il mio migliore amico Kevin fosse essenziale finchè lui non si trasferì in Australia, a quindici non potevo sapere quanto mi sarebbe mancato mangiare un'aragosta finchè non scoprì di essere allergico ai crostacei e a ventuno anni non potevo immaginare quanto mi sarebbe mancata quella fastidiosa bambina piagnucolante ora che me l'hanno tolta.
Quando ci viene tolto qualcosa in genere si reagisce con la tristezza, cadiamo in una specie di buio burrone dove non riusciamo a trovare la via di uscita, le tenebre cercano di avvolgerci e toglierci l'aria per respirare facendoci ansimare in cerca di aiuto, è come se i sole si spegnesse e ci lasciasse a buio a combattere alla cieca contro i nostri peggiori demoni.
Molti di noi piangono e si disperano consumandosi nella depressione ma io non son uno di questi, non vivo la perdita con tristezza, quando ho visto a piccoletta uscire da casa mia con le lacrime agli occhi e uno sguardo terrorizzato non ho provato tristezza, io ho provato una forte rabbia, sentivo i sangue ribollire all'idea di quegli uomini che facevano piangere Rebecca, provavo schifo per quello che avevo fatto ma soprattutto provavo un odio profondo verso quelli che avevano mandato quelle arpie.
Ho passato tutta la notte a guardare il vuoto fuori dalla finestra, mi alzavo per andare in cucina in cerca di qualcosa da bere, per stare meglio, per poter dimenticare per un istante quegli occhi nocciola e quelle fossette che continuavano a tormentarmi, ma non riuscivo a bere, mi sembrava di vederla piangere ogni volta che afferravo una bottiglia, a vedevo indietreggiare terrorizzata da me.
Ho rotto tutte le bottiglie in vetro mentre cercavo di non prendere a pugni il muro per farmi passare la rabbia, ho fumato due pacchetti di sigarette, ogni vota mi accendevo una per poi lasciarla mezza finita sulla finestra, passavo più volte davanti aa cameretta e vedevo e sue cose, speravo quasi di vederla dormire nel suo letto, speravo di sentirmi chiamare da lei, speravo di sentirla bussare alla mia porta ma niente di questo è successo.
Lei se ne è andata.
Ed è tutta colpa loro.
"Ashton, dove vai?" Chiede Calum mentre mi infilo la giacca in pelle, il ragazzo moro ancora in pigiama sta bevendo il suo caffè mentre nelle mani tiene un piccolo peuche di Rebecca, l'ho sentito mentre entrava nella camera della piccoletta e aspettava come me, aspettava che lei tornasse.
"Vado dai miei genitori" dico e Calum alza la testa di scatto come se avessi detto una bestemmia, i suoi occhi scuri si puntano nei miei mentre lascia la tazza rossa sul tavolo.
"Sei per caso fuori di testa?" Chiede, effettivamente avevo giurato che non avrei mai messo piede in casa mia di nuovo, ma non sto tornando per abbracciarli.
"Sono incazzato nero, voglio prendere a pugni mio padre e tu non mi fermerai" dico minaccioso ed il moro salta giù dalla sedia afferrando una felpa lasciata sul divano e raggiungendomi.
"E chi ti ferma? Non mi perdo di certo uno scontro padre figlio all'ultimo sangue" dice prima di oltrepassarmi ed uscire di casa.Ho sempre vissuto in un piccolo paesino distante un paio di ore dalla grande città, era un luogo tranquillo, non succedeva mai niente di brutto ma neanche niente di nuovo, erano sempre le stesse persone, le stesse case e gli stessi negozi, era una città composta da persone abbastanza ricche, tutti avevano una villa o almeno una casa con piscina, era uno di quei posti che le agenzie immobiliari consigliano alle famiglie di perfettini per tenerli lontani dai pericoli della metropoli.
C'era solo un liceo, era il mio regno, tutti mi conoscevano tutti mi temevano, tutte mi volevano, e tutti hanno saputo quando sono scappato di casa a diciotto anni, tutti hanno saputo che ho rinunciato al college e tutti sicuramente avranno saputo di Rebecca e Charlotte prima di me.