Electrical Storm

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La pesante porta in ferro si aprì in assoluto silenzio.

Per evitare qualsiasi cigolio la oliava regolarmente, non doveva far rumore.

Per non svegliarla.

Cercò l'interruttore, accendendo un secondo dopo la piccola lampadina che oscillava dal soffitto illuminando debolmente la piccola stanza, e la scaletta che portava al seminterrato.

La scese rapidamente, riempendosi le narici dell'odore nauseabondo di fiori marci che provenivano dalla stanza in fondo. Ne aveva portati di freschi e meravigliosi perché a lei piacevano tanto.

In particolare le rose, quelle rosse.

Prima di raggiungerla si avvicinò allo stereo con musicassetta, un cimelio degli anni novanta, ancora perfettamente funzionante, che aveva sistemato sopra un mobile a due ante nella scarna cucina; premendo PLAY.
La voce di Bono Vox riempì il piccolo locale arredato in maniera spartana e semplice, ma a lei andava bene così.

Perché lei non si lamentava.

Le piacevano gli U2 e questo pezzo era il suo preferito. L'aveva vista ballare sotto la pioggia, con le braccia alzate e la felicità in viso. Faceva di tutto per accontentarla, per non farle mancare nulla, per non farla stare troppo sola.

La raggiunse, nella piccola camera da letto dove riposava.

Come sempre restava fermo in contemplazione qualche minuto per osservarla, prima di andarle accanto.

Sfiorandola.

Era sdraiata, con i lunghi capelli neri aperti a ventaglio, come un manto di seta scuro, le dita intrecciate sul ventre e la bocca leggermente socchiusa.

Bellissima e silenziosa.

Le rose rosse ormai sfiorite, sopra il comodino, emanavo un odore ancora più pungente e dolciastro. Avrebbe cambiato l'acqua e rimesso quelle fresche, prima di andarsene.
Il calore della stanza era insopportabile e la sua fronte cominciò a imperlarsi di sudore, ma non aveva importanza.

Si sedette sul bordo del materasso che, sotto il suo peso, si abbassò leggermente. Ebbe come l'impressione di un suo lieve movimento, quasi impercettibile.

Trattenne il respiro, osservandola.
No. Non era possibile.

Perché lei non si muoveva.

Le sfiorò una guancia come se stesse sfiorando il cristallo più prezioso al mondo, rabbrividendo dall'emozione.

– amore mio – sussurrò, sfiorando la sua pelle fredda.

Aveva perso il rosa delle guance e la morbidezza della carne, ma le sue labbra erano rimaste sempre turgide e rosse, come le ciliegie. Quelle labbra capaci di rivolgergli un sorriso stupendo, destinato solo a lui.

Adesso non più.

Da anni il suo compito era quello di proteggerla, di amarla e di starle sempre accanto.
Si alzò, cambiando i fiori dal vaso; riempiendo d'acqua il bicchiere sul comodino.

Guardò l'orologio. Il tempo passava velocemente quando erano insieme.

– devo proprio andare – mormorò con rammarico mentre la baciava dolcemente sulle labbra rosse ma fredde.

– ti lascio accesa la radio così ti farà compagnia, così non ti sentirai troppo sola.

La tristezza attanagliò il suo cuore ricordando il suono della sua risata e il tocco delle sue mani, che gli mancavano da morire.

– a domani, mia principessa.

Sperava di rivederla sorridere, ridere, cantare, ballare, parlare.
Ma non sarebbe successo.

Lei dormiva un sonno perpetuo da cui non avrebbe avuto mai risveglio, rimanendo cristallizzata nel tempo, come uno dei suoi fiori meglio conservati.

Il più perfetto.

Biancaneve, la sua principessa, sarebbe rimasta immutabile, nel tempo.

Sarebbe rimasta, per sempre, la sua rosa eterna.

🔘🌹🌹🌹🔘

Notes:
per chi non conoscesse o volesse risentire lo splendido pezzo che dà il titolo al prologo, ho pensato di postarvelo alla fine, in modo tale da poter vedere anche il bellissimo video che vale la pena guardare.

Benvenuti nel mio romanzo, dove non sono previste gioie. Poi non ditemi che non vi avevo avvisato.

#staytuned.

Aretusa Skyler 🔘

La Rosa Eterna Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora