3 Dicembre 2016.

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Andrea.

Era l'una passata quando rincasarono dalla cena, avuta con i colleghi di Virginia. Anche se la tensione tra loro era palpabile, cercavano di nascondere il loro malessere davanti agli occhi degli amici, della famiglia, della gente. Andrea era dell'idea che i panni sporchi bisognava lavarli dentro la pilozza del doppio servizio, chiuso a doppia mandata; anziché chiedere consiglio a qualcuno.

Se poi si parlava di un presunto tradimento da parte di sua moglie, peggio che mai. Nessuno doveva intuire la crisi che stavano attraversando, ad eccezione di Anastasia, a cui aveva rivelato le sue perplessità, qualche giorno prima.

Virginia si diresse subito in camera di Diletta, dopo aver lasciato la borsa sul divano; per stendere la piccola già addormentata, sul suo lettino. Lui stava per togliersi il giaccone, davanti l'attaccapanni, quando il trillo della notifica dell' Iphone, gli fece drizzare le orecchie.

Era l'una e un quarto di notte e non era il suo telefono.
Ma quello di Virginia.
Cercò di lottare contro se stesso, per poi essere vinto dalla sospettosa curiosità che gli rodeva l'anima.

Arrivò alla borsa in una frazione di secondo, infilando la mano nel taschino interno e vide la notifica dell'imessage. Cliccò sopra e lo aprì.

- Tesoro, ci vediamo lunedì a pranzo. Solito posto. Ho bisogno di vederti -

La vista gli si annebbiò all'istante, creando delle macchie di leopardo, nel suo campo visivo. Sentì le ginocchia cedere, lo stomaco stringere, il sangue affluire veloce al cervello.

Percepì la sensazione cadere, pur restando fermo, in piedi.

Cliccò di nuovo, e l'icona della notifica scomparve. Lei se ne sarebbe accorta, sicuramente; e quasi se lo augurava che si accorgesse della lettura del messaggio. Che prendesse di petto la situazione. Dal canto suo, avrebbe continuato a fare finta di nulla, soprattutto ora che aveva una prova in mano. Ma questa volta non l'avrebbe rifiutata. Avrebbe fatto l'amore con lei, quella notte. Avrebbe dato una risposta, al suo demone interiore.

Ufficio 14.

La dottoressa Cattaneo guardò l'orologio infastidita, quando vide Anastasia entrare, e prendere posto nell'unico posto lasciato libero.

«Scusate il ritardo.»

Erano tutti radunati intorno al grande tavolo della sala riunioni, e stavano aspettando solo lei.

«È quasi mezzogiorno, Commissario. Se vi mando a chiamare per una riunione straordinaria di sabato mattina, dandovi un tale orario, esigo che sia rispettato. Da tutti» disse con tono aspro.

Si sfidarono con gli occhi, senza che nessuna delle due cedesse lo sguardo per prima.
Poi, fu Amelia a distoglierlo, rivolgendosi ai colleghi. «Bene, grazie alla collega Sirna, possiamo cominciare» rincalzò aspramente, tornando a fissarla da dietro la montatura chiara, con un guizzo negli occhi beffardo.

«Poche ore fa, sono stata avvisata dai colleghi che una minorenne, stanotte, non ha fatto rientro a casa. Sappiamo che potrebbe essere un allontanamento volontario, tipico di quest'età, dovuto a qualche incomprensione di carattere familiare  o personale. Il novanta per cento si risolve positivamente, con il rientro spontaneo del soggetto.»

Si interruppe per qualche istante, fissando in viso tutti i presenti con aria ostile e labbra serrate. Quella mattina era particolarmente nervosa e inquieta. Trovò lo sguardo di Andrea, e la sua espressione sembrò leggermente addolcirsi; anche se fu una parvenza estemporanea sul suo viso freddo come la pietra.

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