7 Dicembre 2016.

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Il suono insidioso del telefonino trapassò come una lama il suo sonno agitato e convulso, costellato da incubi spaventosi alternati a sogni rasserenanti.

Aveva dormito solo poche ore, per colpa della stanchezza e della piccola Diletta che aveva pensato bene di fare compagnia alla mamma durante la sua assenza. Le aveva trovate che dormivano abbracciate, Virginia nell'incavo del tenero collo della sua bambina.

Non era riuscito a trattenere le lacrime davanti a quell'immagine così perfetta, così pura, così materna.

In silenzio, aveva pianto.

Le donne più importanti della sua vita erano lì, davanti ai suoi occhi, totalmente indifese. Era suo compito proteggerle e non permettere a nessun Joe Black di dividerle.

Voleva lottare ma non sapeva da dove cominciare.
Voleva trovare una forza mentale che non possedeva.

Non doveva cedere allo sconforto, si ripromise quella notte.

Diversi messaggi di sua sorella Anna erano arrivati sul suo telefono durante la giornata, dove gli comunicava che aveva parlato con Virginia ed era stata informata sul suo stato di salute.

Preferì non parlarne al cellulare, ripromettendole di ritrovarsi qualche sera a cena per poter discutere della questione e di come affrontarla. Intanto dovevano fissare un primo incontro con l'oncologo per farsi spiegare bene l'iter da seguire.

Si mise a sedere a fatica, rispondendo ancora assonnato. Vide l'orario: erano le sei del mattino. Solo una persona poteva permettersi di disturbarlo a quell'ora.

«Dimmi Sirna», bofonchiò senza nemmeno salutare, con voce impastata, attento a non svegliare sua moglie e sua figlia.

«Sinaglia, abbiamo un problema» esordì lei. «Ho chiuso in questo momento con il direttore sanitario della clinica dov'è ricoverato Tito Tavalli. L'infermiera che doveva somministrargli il farmaco delle cinque non l'ha trovato in stanza e ha dato l'allarme.»

«Ma come è potuto accadere, cazzo!» esclamò sottovoce, catapultandosi fuori dal letto, svegliandosi di colpo.

«Hanno cercato dappertutto. Anche fuori la struttura, ma nulla. Quindi fai un salto dalla Tavalli per vedere se il figlio è tornato a casa e io mi occupo di dare al marito la brutta notizia su Augusto. Dai ... chiudo. Ci vediamo in commissariato dopo.»

Ormai completamente sveglio, si diresse in cucina per accendere la macchina del caffè, chiudendosi la porta alle sue spalle; attento a non far rumore. La sua testa era un groviglio di pensieri da cui era difficile venirne a capo.

Erano spariti Diego e Diana e ora anche Tito.

Tutto remava contro la soluzione finale di quel caso e qualcuno stava manovrando i fili per far in modo che il bandolo della matassa rimanesse ben nascosto.

Doveva trovare e parlare con le uniche due persone che ancora mancavano al suo appello e che dovevano spiegargli un bel po' di cose: Diana Raimondi e Tancredi La Mantia.

***

Impiegò diversi minuti per aprire le palpebre e focalizzare dove si trovasse.
La sera prima erano arrivati molto tardi in quello sperduto chalet tra il bosco di castagni di Milo, sulle pendici dell'Etna, totalmente imbiancata dalla neve. Diana gli aveva detto che quell'abitazione apparteneva a una coppia di amici dei suoi genitori ed era il posto ideale per staccare i pensieri e smaltire lo stress per qualche giorno.

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