1 Dicembre 2016. Parte II.

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•Diego•

La porta sbatteva insistente contro il suo stipite, per via del forte vento. Ululava e sibilava dentro la grande rimessa esterna, ma Diego era troppo indaffarato per accorgersene, impegnato com'era a rendere il casotto presentabile per l'arrivo a breve dell'agente immobiliare che sarebbe andato a vederla, per dare una stima all'intera abitazione.

A malincuore aveva deciso di metterla in vendita. Il bisogno di soldi per garantire a sua madre le costose cure mediche, nel caso in cui fosse uscita dall'ospedale, e a suo padre una vecchiaia tranquilla, stava diventando necessario. 

E la casa era l'unico bene che gli era rimasto.

Aveva fatto spazio, buttando oggetti di varia natura, legati alla ristorazione; la vecchia professione del padre. Si fermò, flettendo la schiena, puntando le mani ai reni; soffermandosi a guardare la parete sgombra dai vari oggetti e scatoloni. Diede uno sguardo alla scaletta, riflettendo sulla mansarda ancora da svuotare. Guardò l'orologio.
Aveva ancora qualche altra ora a disposizione, prima che facesse totalmente buio.

Un sìbilo freddo lo colpì alla nuca.

Un movimento fulmineo, percepito con la coda dell'occhio, lo fece voltare di scatto, facendolo sobbalzare dallo spavento. Vestiti di nero, con passamontagna e qualcosa in mano, che non riuscì bene a distinguere nella zona d'ombra dove erano fermi, tre uomini lo fissavano; oltre la porta.

Sentì lo scatto della chiave, che girava dentro la serratura; realizzando cosa stava per accadere. Capì chi erano.
Erano i tre che avevano malmenato Agata. Erano quelli che dovevano portare a termine il loro compito.

Abbassò lo sguardo e vide cosa stringevano tra le mani guantate: mazze da baseball.

Una scarica di adrenalina gli attraversò il corpo, come una scossa elettrica, mentre pensava freneticamente a una possibile via d'uscita. L'unica era la porta, dietro di loro. La grande vetrata alle sue spalle non aveva ante d'apertura, e l'unica sua salvezza rimaneva salire la scaletta, per poi buttarsi dall'unica  piccola finestra del sottotetto.

Si studiarono a vicenda, guardandosi negli occhi; senza abbassare lo sguardo. Loro tre guardavano lui, e Diego fissava le tre figure che aveva poco distante. Si sforzò di non guardare i pioli lontani qualche metro; di mantenersi calmo e lucido.

Respira.

Tre contro uno.
Non aveva possibilità alcuna.
Ma doveva provarci.

Respira.

Contò mentalmente fino a cinque e scattò, arrivando in pochi secondi alla rampa e cominciando a salire rapidamente. Ma un colpo sordo lo colpì al polpaccio, facendogli perdere immediatamente la sensibilità. Cercò disperatamente di restare aggrappato ai pioli, tirando calci con l'altra gamba, mentre la scala cominciò a muoversi pericolosamente. La mano salda, che gli teneva la caviglia, lasciò la presa, ritrovandosi ad annaspare nel vuoto per via dell'oscillamento della rampa.

Saltò giù prima ancora di cadere assieme alla scala, facendosi scivolare a terra; per poi alzarsi e correre, verso la porta, sua unica via d'uscita. Fu raggiunto mentre cercava di girare la chiave, da colpi di mazza, su tutta la parte superiore del corpo; fino a quando fu sollevato e lanciato a terra, al centro della stanza.

Diego serrò i denti, per evitare di gemere e gridare, mentre infierivano su di lui a calci e bastonate. Si sentivano solo colpi sordi, senza che nessuno dicesse una parola.
Cercò di opporsi con tutte le sue forze, ma in due lo bloccarono, mentre il terzo gli tolse la maglietta e i jeans, lasciandolo in mutande.
Gli legarono polsi e caviglie, e così immobilizzato, lo trascinarono nell'angolo più nascosto e lontano dalla porta, mettendogli una benda attorno agli occhi e una fascia adesiva sulla bocca.

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