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"Non pensate mai che la guerra,
per quanto necessaria o giustificata,
non sia un crimine."

-Ernest Hemingway

La stanza era buia. Elisa era seduta lì da settimane, ma le sembrava una vita. La prima volta le aveva legato le braccia dietro la schiena in una specie di montatura di legno, poi l'aveva appesa e, ad un certo punto, aveva iniziato a girare. Sentiva il rumore del macchinario dentro le orecchie. Le sue braccia iniziavano ad alzarsi e ad alzarsi. Faceva un male cane. Aveva iniziato ad urlare:

-Ti prego basta! Farò tutto quello che vuoi! Farò tutto quello che vuoi!

-Ma è questo quello che voglio! -Aveva ribattuto lui con tono allegro e un sorriso stampato in faccia, poi aveva ripreso a girare, finché trac! Adesso le braccia erano davanti a lei. Non sentiva più nulla, il dolore era scomparso. Le sue braccia non si muovevano, credeva di averle perse, ma non era così. Erano ancora lì, ma il dolore era troppo forte per muoverle.

Dopo averla ripetuto l'operazione anche con gli altri arti, l'aveva lasciata in una stanza, da sola. Elisa non si poteva muovere, le faceva male tutto. Non s'era più mossa da quel giorno. Sdraiata per terra tutto il tempo, mentre lui le portava da mangiare, le pettinava i capelli, la truccava come una bambola.

Sapeva di meritarselo, si era comportata tanto male. Usciva di casa di nascosto, beveva, tornava tardi, alle volte non si vedeva per giorni. Troppo impegnata a passare il tempo con quegli idioti che credeva suoi amici. "Se ne uscirò viva, prometto che non farò più niente. Ti prego Dio, fa che ne esca viva, ti prego". In verità non era mai stata una grande credente, al contrario, disprezzava la chiesa e tutto ciò che la riguardasse, ma si sa che è in momenti come questi che anche i più grandi eretici, diventano credenti.

Era certa che prima di lei ci fosse stato qualcun altro lì dentro. Lo aveva dedotto dalle macchie di sangue lavate grossolanamente sul pavimento e dalle impronte rosse sui muri.

Nei giorni che aveva passato lì aveva visto parecchi ragazzi. O forse era sempre lo stesso, o peggio era tutto frutto della sua fantasia che cercava di distrarla. Forse stava impazzendo.

Ad ogni modo, supponendo che i ragazzi fossero realmente esistiti aveva scoperto che più o meno avevano tutti la sua età, eppure erano così diversi fra loro, così diversi da lei. A loro era toccata la sua stessa sorte, anche loro erano distesi per terra, gli aveva addirittura tinto i capelli di rosso, poi li aveva vestiti e truccati, ma dopo poco tempo loro scomparivano. Lui veniva, li trascinava fuori, si sentiva un rumore di ferro, come se qualcosa ci stesse picchiando sopra, si sentivano delle urla, poi degli strani rumori, infine più nulla.

-Perché loro vanno via? Perché non uccidi anche me?! -Gli domandava lei ogni volta che lo vedeva.

-Perché loro erano rotti. Non erano buoni. Ma vedrai, prima o poi troverò quello giusto, e sarà tutto perfetto. -Le rispondeva mentre la pettinava. -Sarà tutto perfetto. -Ripeteva con voce infantile. Sembrerà assurdo, ma ad Elisa non sembrava che lo dicesse con cattiveria. Anzi, lui sembrava realmente convinto di ciò che diceva.

Certi giorni sentiva urla provenire da dietro la porta, ma non erano i ragazzi, era lui, era lui che urlava, continuava a dire frasi senza senso, a lanciare cose, si sentivano oggetti infrangersi e cocci cadere sul pavimento, finestre sbattere. Finestre...quanto avrebbe voluto poter arrivare a quella che c'era nella sua stanza. Era stata dipinta completamente di nero, ma questo s'era incrostato e aveva iniziato a sgretolarsi, lasciando che i deboli raggi del sole penetrassero all'interno della stanza. Una volta, in verità, Elisa aveva provato ad avvicinarvisi, le mancava così tanto il giardino di casa sua, i suoi genitori...Era riuscita a trascinarsi fino a metà stanza, soffriva da morire, ma se questo era il prezzo da pagare per vedere la luce, era ben disposta a sopportarlo. Purtroppo lui era entrato prima che Elisa arrivasse a destinazione.

-Dove vorresti andare? -Le aveva domandato con una vocetta strana, sembrava contento.

-Io...io volevo solo vedere il sole.

-Ma lo sai che è impossibile, sciocca! Nessuno può fissare il sole per più di pochissimi secondi! -L'aveva redarguita riportandola al suo posto in fondo alla stanza. -Adesso resta qui, vado a prendere da mangiare.

-Ti prego, voglio solo uscire!

-Ma cara, hai visto in che condizioni sei? Non puoi certo andare fuori così. Non riesci a camminare neanche!

-Ma mi sento meglio! -Aveva mentito tentando di accennare un sorriso.

-Io non credo...

-Te lo giuro! Sto benissimo! -Era persino riuscita ad alzare un braccio con chissà quale forza.

-In tal caso...be' credo che potremmo passare alla prossima fase! -Aveva ribattuto ancor più contento di prima. Aveva davvero la faccia da pazzo. Nessuno sarebbe riuscito a sorridere e saltellare davanti a quella povera ragazza piegata in due come una vera e propria bambola di pezza. Lui l'aveva afferrata da sotto le ascelle e, con dolcezza, l'aveva trascinata fuori, non come con i ragazzi. Con loro era più brusco. Arrabbiato.

L'aveva fatta sedere su una specie di trono di legno, poi le aveva legato i polsi ai due bracci, anch'essi di legno. Su di essi vi erano parecchi segni, sembravano buchi, ma Elisa preferì non chiedere spiegazioni, preferì non pensare a cosa sarebbe potuto accadere. E quando è vero che al peggio non c'è mai fine, l'uomo le si era piazzato davanti posizionando un chiodo sulla sua mano e, con un colpo secco, l'aveva passata da parte a parte, ripetendo la stessa operazione sull'altra mano. Poi toccò ai piedi, ma Elisa non se ne rese conto, era già svenuta al primo colpo.

Quando si era svegliata, era stesa per terra, ma quella non era la solita stanza, si sentiva stordita, non aveva sensibilità. Ad un certo punto sentì i piedi sollevarsi da terra, poi le mani. "Sto' volando" pensò "Forse sono morta, e questo è il paradiso!" Ma quello che stava accadendo era ben diverso dal paradiso e ben peggiore dell'inferno, solo che le numerose droghe che le erano state somministrate per tenerla tranquilla non potevano farglielo capire. Non appena era riuscita ad aprire gli occhi, aveva riconosciuto delle sedie, simili a quelle presenti in un teatro o in un cinema, ricoperte di velluto azzurro. Bianchi erano i muri, e marrone il pavimento.


Durò circa cinque minuti, dopo, si sentì cadere per terra di colpo, come fosse caduta da qualcosa di molto alto e, nonostante le droghe, sentì un dolore lancinante alle mani e ai piedi.

Il burattinaioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora