Capitolo 24

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Oggi.

Veronica
Corro più in fretta che posso per raggiungere il mio obbiettivo. Percorro quella stradina sconosciuta fatta di mattoni grigi, costeggiata da alti edifici di cemento grezzo e pietra bianca. L'ambiente è saturo di puzza di bruciato e tutto ciò rende l'aria asfissiante. Le dimensioni strette della strada non aiutano a respirare e il caldo soffocante rende la mia corsa infinita. So che quello che troverò al termine di questa strada sarà la mia fine, ma nonostante tutto non mi fermo. Continuo a correre nel buio della notte che a stento mi permette di vedere ciò che mi circonda. Più corro e più mi manca il fiato. Rischio un paio di volte di inciampare nei miei stessi passi, ma mi impongono di andare avanti perché la volontà di raggiungerla è più forte della stanchezza. Devo sbrigarmi, o lei morirà. Devo fare qualcosa perché non posso permettere che muoia un'altra volta, non posso permettere che le succeda ancora, ancora e ancora.
Quando raggiungo la mia meta, alzo gli occhi verso quel bagliore luminoso che è la luna piena. Tutto inizia ad essere più chiaro e nitido intorno a me. Quando sposto lo sguardo più a destra la vedo: la sedia di ferro arrugginito sospesa nel vuoto, tenuta in aria da sole corde di acciaio tese e lei è lì inerme, seduta proprio su quella sedia, con le mani sui braccioli e la testa a penzoloni che ricade in avanti, il volto nascosto dai lunghi capelli biondi, imbrattati di uno strano liquido rappreso color ruggine. Sento qualcuno che mi chiama per nome, ma non posso sprecare ancora del tempo prezioso. Cerco un modo per raggiungere la sedia, ma non so come arrivare a quell'altezza. Non c'è niente e nessuno che possa aiutarmi, ma più il tempo passa, più le corde si tendono. Ancora immota, con le lacrime che mi offuscato la vista, incrocio i miei stessi occhi eterocromi che mi guardano terrorizzati. Oksana guarda me e poi un punto alle mie spalle, ma quando mi giro non vedo nulla. Sento solamente l'eco della voce di Matt che mi chiama. «Veronica».
Ignoro ancora la sua voce perché devo salvare me stessa.
«Aiutami!» esclama agitata Oksana, quando le corde iniziano a tirare.
Quando sto per azzardare un passo nella sua direzione, un paio di occhi di ghiaccio si palesando davanti a me e io mi paralizzo. Poi, accarezzandomi il viso con una rosa nera, morta, sussurra in tono glaciale: «Di' addio a questo mondo, Oksana. L'ultima cosa che vedrai sarà la mia faccia».
E poi accade tutto molto velocemente, le corde si spezzano e vedo la sedia precipitare nel vuoto, ma la cosa più terrificante è che adesso al mio posto c'è Matt.
«NO!» urlo.
E poi tutto torna buio.

L'orologio sul comodino segna le 04:47 del mattino. Gocce di sudore freddo imperlano la mia fronte. Il mio cuore batte all'impazzita mentre, poco per volta, inizio a fare dei lunghi e profondi respiri per placare la paura. Scosto le lenzuola dal mio corpo e mi alzo, raggiungendo la cucina, per bere un bicchiere d'acqua. Non sognavo così da un bel po', ormai. Credevo che gli incubi non si sarebbero più ripresentati, ma a quanto pare mi sbagliavo perché stanno ritornando peggiori di prima.
Il mio respiro già affannato non ne vuole sentire di rallentare, quindi raggiungo il balcone per prendere una boccata d'aria fresca. Cerco di purificare il mio corpo da ciò che ho appena visto, ma a stento riesco a trattenere le lacrime. Mi rendo conto di essere intrappolata in un incubo senza fine. Non mi disferò mai di questa sensazione, sono condannata a rivedere la mia vita passata sottoforma di metafore. Non importa se siano sogni, perché la sensazione di terrore vige imperterrita nel mio essere e io non me ne libererò mai.
Mi complimento mentalmente con lui perché è riuscito a mantenere la sua promessa.

Poco più tardi, dopo aver provato invano a prendere sonno, prendo la mia copertina di pile color grigio, raggiungo nuovamente il balcone e mi siedo sulla mia sedia a dondolo. È più una panchina a dondolo, in realtà, ed è stato un regalo di Jason «Per arredare il nuovo appartamento», mi disse quel giorno. La prima volta che l'ho vista mi sono chiesta cosa avrei dovuto farci, ma poi mi sono resa conto che non era un regalo campato in aria, bensì pensato (da Astrid, credo proprio). È perfetta perché se non l'avessi avuta, a quest'ora non sarei qui ad osservare l'incredibile alba che si alza nel cielo di Brooklyn, cullata da questo rilassante doldolio. Odio svegliarmi all'alba, ma adoro osservare il mondo prendere vita la mattina presto. A partire dal cielo che da buio diventa chiaro, adoro osservare le prime macchine che circolano per strada, sentire il cinguettio degli uccelli appena svegli, studiare le azioni delle persone che iniziano la loro giornata, tutto vale ogni singolo momento. Ed è questo che adoro di più della mia vita: le cose semplici. Almeno per un istante posso crogiolarmi nella normalità e dimenticare tutte le cose brutte che la notte mi assillano la mente.

Armeggio un po' col cellulare e mi chiedo cosa farò nelle prossime due ore. Potrei leggere un po' ma non c'è abbastanza luce e qui sto troppo bene per tornare dentro. Potrei superare gli obbiettivi che mi restano a Temple Run 2, ma non sono dello spirito giusto per correre, nemmeno virtualmente. Quindi non mi resta che aspettare che il tempo passi in fretta e quindi continuo ad osservare New York.

Poco più tardi, dal palazzo di fronte esce un uomo. Può sembrare esagerato, ma mi si drizzano le antenne nell'esatto momento in cui vedo Matt con i pantaloni della tuta grigi e una felpa nera che lascia intravedere il petto nascosto dalla t-shirt, pronto per il suo jogging mattutino.

Vorrei godermi un altro po' quel bel vedere, ma se sono svelta potrò vederlo da molto più vicino. Quindi, non ci penso su due volte e lo chiamo al cellulare.

«Jefferson» risponde secco al secondo squillo.

«Uh, ma quanto siamo autoritari di prima mattina» ribatto.

«Bocconcino? Ma cosa fai sveglia a quest'ora?».

«Ho pensato di fare un po' di attività fisica con te» mento, divertita.

«Non ci credo neanche se lo vedo».

«Hai ragione. Sono qui su, girati».

Osservo Matt guardarsi intorno per poi posare lo sguardo su di me. Un largo sorriso illumina il suo volto e non posso fare a meno di notare quanto sia bello. Sospiro e ascolto in linea, mentre lo vedo avvicinarsi al mio balcone. «Sei ancora in pigiama, Veronica».

«Come fai a saperlo?».

«L'ho intuito».

«E allora? Guarda che mi vesto in fretta» ribatto.

«Okay, allora se ti sbrighi ti aspetto» mi dice, sorridendo.

«Vado».

Metto giù e corro a vestirmi. Ho cambiato idea, credo di avere lo spirito giusto per iniziare la giornata con una corsa, o più correttamente, con Matt. È bastato un suo sorriso per migliorare il mio umore. Vorrei che succedesse più spesso.
Forse, un giorno, potrei abituarmici... e ultimamente melo dico spesso.

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𝗧𝘂 𝗻𝗼𝗻 𝗺𝗶 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗲𝗱𝗶Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora