Capitolo 77

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Oggi.

Veronica
TI ASPETTO TRA MEZZ'ORA DA STARBUCKS. QUELLO DOVE VAI SPESSO, OKSANA. PUNTUALE.

Da Starbucks. Quello dove vai spesso. Come fa Igor a saperlo? Mi ha spiato? Rabbrividisco al solo pensiero.
È stato di parola, comunque. Come da lui detto, si è fatto sentire. Solo, non capisco cosa voglia con esattezza alle otto del mattino. Le banche aprono più tardi e io avrei del lavoro da fare. Perché non ha specificato niente? Fisso ancora lo schermo del cellulare, nella speranza di trovare un segno da parte di Matt, ma nulla. Inizio a prepararmi e scrivo velocemente un messaggio ad Astrid, dicendole che oggi non posso portare Elia al nido.

Prima di uscire di casa, controllo i miei veri documenti, accertandomi che abbia tutto dietro. Quando raggiungo la metro, inizio a pensare agli avvenimenti di ieri sera. Al volto ferito di Matt così deluso da me quando mi ha vista in quella foto insieme ad Igor. Spero non si sia fatto strane idee. Non voglio che pensi che sia come Jennifer. Non gli farei mai del male. O forse già l'ho fatto... L'ho praticamente lasciato. Penso ancora ai suoi occhi feriti quando ho pronunciato quella frase, o ai suoi occhi pieni di speranza quando mi ha detto: «Domani ne riparliamo». Vorrei davvero che fosse tutto un sogno, che non avessi quella continua fissa di deluderlo o avere la paura di perderlo. Questa è la cosa che mi spaventa di più: amare una persona e avere la consapevolezza di perderla non appena verranno fuori gli scabrosi dettagli del mio passato.

Quando raggiungo il locale, mi accorgo subito di Igor seduto ad un tavolo. Quando mi vede, mi sorride, come se fossimo amici di vecchia data e mi raggiunge in fretta. Non gli rivolgo nemmeno la parola, ma aspetto che sia lui a parlare per primo.

«Allora, signora Volkova, che ne dici di andare in fretta in banca? Non ci vorrà molto a spostare un patrimonio intero da un conto ad un altro, no?».

«Le cose in America sono diverse» affermo, guardandolo con sufficienza, disgustata dalla sua sete di denaro e dal modo in cui mi ha chiamata. «Non è facile come credi. Per spostare grosse somme di denaro c'è bisogno di tempo e garanzie e al momento non è possibile perché le banche sono ancora chiuse».

«Allora cosa facciamo nel frattempo?».

«Scherzi? Io e tu non faremo proprio un bel niente». Faccio per andarmene, ma vengo afferrata con forza per il braccio.

«Oksana, hai dimenticato cosa è successo l'ultima volta che hai fatto la ribelle?».

Il suo tono di voce è gelido e il suo ghigno malvagio mi mette i brividi. Ho passato cinque anni della mia vita a sognare tutto quello che ho passato quella notte. A ciò che lui e Dmitriy mi hanno fatto e adesso questa affermazione fa sembrare le cose reali. Il passato era ormai un capitolo chiuso. Pensavo che non sarebbe ricomparso, ma eccolo qui in carne ed ossa e con la stessa pericolosità di prima.

Osservo Igor, mentre tira fuori qualcosa dalla tasca. Impallidisco non appena estrae un piccolo coltellino a scatto. Il rumore che fa sembra rimbombarmi nelle orecchie. «Non voglio farti del male, piccola. Voglio solo che ricordi chi comanda». Poi, lanciando un'occhiata al di là della strada, continua. «Anzi, mi è venuta un'idea. Alle tue spalle c'è il tuo ragazzo».

Sussulto. Matt? Come fa a sapere di lui? Sto per girarmi per accertarne, ma la punta tagliente del coltello mi sfiora il fianco, provocandomi un forte bruciore.

«Sta' ferma» mi ordina.

Faccio come dice, non riuscendo a tenere sotto controllo il tremore, mentre lo vedo avvicinarsi sempre di più alle mie labbra. Serro la mia bocca e gli occhi, mentre sento quella lama affilata che si muove in orizzontale per quelli che sembrano momenti infiniti. Sento la sua lingua che mi lambisce la bocca e le lacrime iniziano a fuoriuscire senza che me ne rendo conto. Mi sento come se avessi appena calpestato una mina. Non posso stare ferma, ma non posso di certo muovermi. Qualunque cosa faccio sarò io quella a piangerne le conseguenze. Non voglio che Matt veda tutto questo, non voglio che veda ciò che non esiste. Quando Igor si stacca da me, sento la sua voce compiaciuta che dice: «E ci siamo liberati anche di lui».

Un forte stridere di pneumatici mi fa di colpo aprire gli occhi e la pugnalata al petto la ricevo quando incrocio gli occhi furiosi di Matt. Scoppio a piangere senza preoccuparmi di chi ho di fronte, perché il dolore al cuore è più forte di qualsiasi altra cosa, più forte della ferita al fianco. Quando porto gli occhi in quel punto, vedo la camicetta bianca macchiata di rosso e, quando la alzo, mi stupisco nel vedere una ferita - non molto profonda - abbastanza estesa da farmi perdere molto sangue.

«Adesso che abbiamo messo le cose in chiaro, mi raccomando di non fare più giochetti. Intesi, Oksana?» dice. «Ci vediamo tra un'ora in banca».

E così dicendo, rimango da sola sul marciapiedi. Raggiungo quindi il St. John e, senza farmi vedere dai bambini o da Joss, mi precipito in bagno e apro il kit di pronto soccorso che è sistemato al muro. Pulisco la ferita dal sangue e, dopo averla disinfettata ed essermi accertata che non vi fuoriesca altro liquido rosso, la copro con un cerotto. Quando esco dal bagno, mi imbatto in due occhietti blu curiosi che mi scrutano con attenzione. Cerco di chiudere la giacca sopra la macchia rossa, ma... troppo tardi, Ethan l'ha vista.

«Perché ti sei fatta male?» chiede il piccolo.

«Ho fatto una brutta caduta».

Il bambino sembra pensarci su - poco convinto - ma poi annuisce, porgendomi la minina e chiede: «Andiamo a giocare?».

«Adesso non posso, piccolo. Devo andare dal mio amico Matt, quando verrò ti prometto che giocheremo insieme».

«Porti anche lui, allora?» chiede speranzoso.

Portare anche lui? Mi si stringe il cuore sentendo quelle parole. Di certo, dopo quello che è appena successo, Matt non vorrà più vedermi. Per questo devo affrontarlo, deve sapere come stanno davvero le cose.

Un quarto d'ora più tardi, raggiungo la hall del palazzo dove lavoro. Con mio grande stupore, Matt non è in ufficio, ma alla reception che parla con Nick, l'assistente. Quando mi vede, assottiglia lo sguardo, ma si volta subito e raggiunge le scale, così lo seguo.

«Matt, aspetta!».

Mi ignora e continua a salire più velocemente i gradini, non degnandomi di altre attenzioni.

«Matt!».

Niente. Non esisto. Quando raggiungiamo l'ufficio lo sento inveire contro Astrid e Jason prima che mi chiuda la porta in faccia, ma ignoro la sua volontà di voler restare solo ed entro dopo di lui.

«Vattene», è l'unica parola che pronuncia e mi colpisce dritta al petto. È di spalle, teso come una corda di violino.

«Matt». Pronuncio ancora il suo nome, ma questa volta con dolcezza e con calma, mi avvicino a lui, facendogli scorrere una mano sulla spalla. Il suo movimento improvviso mi lascia letteralmente senza parole, perché mi si scrolla di dosso come se avessi la peste. Rimango ferita dal suo gesto, ma lo capisco.

«Voglio che tu te ne vada, Veronica. Sono sicuro che non avrai nemmeno una spiegazione logica per spiegarmi cosa ho visto appena cinque minuti fa».

«No, infatti». Non ho nulla di logico da dire. Non ho una scusa con cui posso giustificarmi, se non la pura e la semplice verità.

«Ecco, allora è meglio se stai alla larga da me. Avevi ragione ieri, meglio chiuderla qui».

A stento riesco a trattenere le lacrime, così faccio l'unica cosa che mi rimane da fare in questi casi. Lo imploro di non lasciarmi, che quello che ha visto non è come sembra e che deve fidarsi di me senza chiedere altro, al momento.

«Come faccio a fidarmi?» mi urla in faccia. «Sono un burattino nelle tue mani, lo capisci?! Ti ho aspettata, ti ho assecondata, ma questa situazione non mi sta più bene, Veronica. Se non vuoi dirmi cosa diavolo c'è che non va, quella è la porta».

«Io... io ti...». Mi trattengo nel dirgli che lo amo. Ma non posso. Anche questo comporterebbe altre complicazioni, quindi giro sui tacchi e faccio per uscire, ma sento Matt che afferra la mia mano e punta gli occhi sul mio fianco.

«Cosa hai lì sotto?» chiede adesso preoccupato.

Automaticamente, copro la camicetta macchiata di sangue e mi libero dalla sua presa. «Niente» mi limito a dire. «Forse è meglio se sto alla larga da te».

E lopenso veramente.

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𝗧𝘂 𝗻𝗼𝗻 𝗺𝗶 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗲𝗱𝗶Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora