#30# With Me

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Sam

Non sapevo esattamente come fossimo riusciti a passare tutti i controlli della dogana... Ma...

Alla fin fine eravamo saliti su un aereo diretto a Mosca, in Russia e nessun controllore aveva fatto domande nè a me, nè a Kylar riguardo il motivo della nostra partenza, soprattutto di fronte a dei passaporti falsi.

Ky mi aveva spiegato che ne aveva dovuto stampare uno a mio nome quando era stato incaricato di essere la mia guardia del corpo, in caso di emergenza (cosa che si era rivelata piuttosto utile); per lui si era tenuto uno di quelli che gli aveva fornito l'Agenzia stessa.

Non mi era sfuggito il nervosismo che aveva addosso da quando ci eravamo lasciati alle spalle la Virginia, diretti spontaneamente nelle fauci dei controlli burocratici più spietati, per certi versi... Ora dopo ora sembrava sempre più insofferente.

Dentro quel povero ragazzo era in corso una battaglia non da poco, dato che stava facendo i conti con il fatto di essere stato prima di tutto un amico, piuttosto che un agente, ma sembrava non pentirsi della scelta, quanto per le conseguenze di cui non aveva tenuto conto.
Aveva paura più per me, che per sé stesso e di questo gli ero grata, ma anche estremamente lusingata.

Dall'esterno non sembrava, ma Ky era in grado di dare molto più di quanto uno gli chiedeva.
E con me era particolarmente generoso...Fin troppo.

Guardai il ragazzo che mi sedeva affianco, sul treno diretto ad un piccolo paesino vicino a Mosca, dove diceva che c'era un posto in cui avremmo potuto stare senza che l'Agenzia ci rintracciasse e mi chiesi chi avessi di fronte. Quale sfaccettatura di Kylar o Derek io stessi guardando. A che eventi era legata e dove fossero persi i suoi occhi...

Da quando eravamo atterrati in Russia, era un fascio di nervi talmente teso, che appena aprivo la bocca per parlare o commentare qualcosa, lui saltava sul posto e metteva mano al fianco, appena vicino al posto in cui di solito portava la pistola.

Quella, purtroppo per lui, aveva dovuto lasciarla in America, perché okay la fortuna, ma all'aeroporto sarebbe stato difficile passare sotto al metaldetector con una pistola addosso.

Non sapevo bene quale fosse il motivo di un tale cambiamento, ma mi preoccupava e non poco... Avevo anche preso a tormentarmi l'interno delle labbra con i denti, non riuscendo proprio a stare ferma; era un pessimo vizio che mi accompagnava da avevo otto anni e cercavo di non rispondere a Max Heaven, che mi rimproverava sempre di non prestare sufficiente attenzione al mondo esterno, ma solo al mio foglio e alla musica che avevo costantemente nelle orecchie.

Col senno di poi le davo perfettamente ragione: la realtà era molto più complessa di come la vedevano i miei occhi e molto più dettagliata di quanto la grafite potesse mai rappresentare.

*************

Derek

Dio.

Avevo lasciato quella maledetta fogna proprio per non doverci mai più tornare, ma a quanto pare il mio passato continuava a riportarmi costantemente indetro, senza lasciarmi in pace un secondo. Partendo da Luka e poi continuando con Mosca.
Sembrava come stare dentro le sabbie mobili: cercavi di uscirne disperatamente, ma ogni movimento che facevi, sprofondava il corpo di altri centimetri.

Ero agitato al solo pensiero che l'unico posto in cui potessimo stare e che i miei superiori non avrebbero mai avuto il coraggio di controllare, fosse proprio la città in cui ero cresciuto con Jack e Luka. Quella era troppo fuori dalla loro portata e altrettanto dalla giurisdizione di qualsiasi legge.

Fortunatamente avevo tenuto la casa dei miei genitori biologici, nonostante Jack e Dasha mi avessero detto più volte di venderla, o quantomeno affittarla, in modo tale da avere più entrate fisse. Mi avevano quasi fatto scoppiare la testa, per tutte le volte che mi avevano consigliato di lasciare andare quell'unica traccia di "famiglia", vera famiglia, che cercavo di custodire, non capendo perché mi ostinassi a conservare qualcosa di cui ricordavo assolutamente poco niente.

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