EPILOGO

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Mmmm... Nei commenti precedenti mi avete chiesto se facessi un sequel di questa storia...

Beh, non uccidetemi, ma non ci sarà un sequel per Kylar e Samantha 😅
L'epilogo sarà la conclusione ultima delle loro avventure e vite, lasciando a voi il compito di immaginare il resto :)

Ciò che leggerete è frammentario, perché ci sono diversi salti in avanti nel tempo, ma capirete alla fine tutta la mia buona intenzione dietro ad un finale del genere.
Perciò.... Keep calm and start your "schizzo-time" at the end

ahahahah.

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Sam (quattro giorni dopo)

Era inconcepibile.
Quel branco di idioti aveva arrestato il mio ragazzo e lo aveva spedito in un carcere di massima sicurezza in Germania! GERMANIA!!!!!!

E il tutto mentre io ero incosciente nel lettino di uno stupido ospedale, ricompensa dell'Agenzia, pulciosa organizzazione che aveva delle regole del cazzo e che non si era nemmeno premurata di chiedere una mia testimonianza prima di sbatterlo in cella!
PERCHÉ L'IDEA DI PARTIRE ERA STATA MIA E NON SUA!

Come si poteva accusare qualcuno di qualcosa che era solo colpa mia?

Come...?

- Samantha... - La voce del nonno mi riportò alla realtà e io mi voltai di scatto, guardandolo dall'alto delle scale antincendio sulle quali mi ero appostata un paio di ore prima almeno.

Ero ancora in ospedale, ma non vedevo l'ora di andarmene, perché riuscivo a litigare perfino con le infermiere che venivano a controllarmi i punti al viso e il medico che mi cambiava la flebo ogni quattro ore.
E siccome non ero una persona litigiosa, quella situazione mi stava innervosendo ancora di più.

Tornai a guardare la città che si allungava sotto al settimo piano dell'edificio e ignorai il nonno.

Da quando avevo saputo di Kylar non volevo parlare più con nessuno, perché mi sembrava che fosse inutile farlo quando nessuno ascoltava.
Mamma aveva provato anche a convincere Nadya, ancora a capo di quell'organizzazione, che era stato tutto un malinteso, però non c'era stato verso.

Tutto ciò che avevo fatto era stato inutile... Salvarlo, salvarmi e uccidere una persona.

Per la morte di Kat, nonostante sapessi fosse stato necessario farlo o sarebbero morte molte più persone, non potevo fare a meno di sognare i suoi occhi e quel raccapricciante momento in cui la pozza di sangue caldo mi colava sul petto, il collo e scendeva sulla pelle viscidamente.
La notte era il mio momento più odiato di tutta la giornata, perché oltre al pensiero costante di Ky, anche Kat occupava nel peggiore dei modi la mia mente.

Sentii nonno Mark sospirare. - Bimba, per favore, devi parlare con qualcuno. -

Già... Peccato che nessuno potesse capire.
Scrollai le spalle e mi strinsi la felpa di Cole addosso; me l'aveva lasciata quella mattina, quando era passato a trovarmi e aveva giocato un po' a carte con me.
Rigorosamente accompagnato dal mio silenzio.

Lo psicologo che mi aveva visitata aveva detto che poteva essere per via del trauma del primo "omicidio" a non farmi più parlare, ma in realtà sapevo io, come sapevano tutti, che la ragione era un'altra e aveva un bel paio di occhi scuri.

Sentii la porta della stanza aprirsi un'altra volta e i passi stanchi di mio padre, prima che la sua figura comparisse sulla scala e si fermasse a qualche gradino sotto di me, dopo un "Ancora nulla, Joe." del nonno.
Senza dire nulla, venne dietro di me e si mise seduto, per poi abbracciarmi da dietro e appoggiarsi alla mia spalla.

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