Il riformatorio di Detroit è sicuramente un posto che potrebbe far cambiare in meglio molti ragazzi, ma non me: ero stronza quando sono arrivata, e sono stronza anche ora. Quindi, non è cambiato un cazzo.
"Lei è sicura di voler prendere in affido la ragazza?" Chiede Mister Antipatia alla signora Thompson.
Metto i piedi sulla scrivania e mi stravacco sulla sedia.
"Si, signor Reynold." La voce le trema, e mi lancia uno sguardo fugace. La signora Thompson avrà all'incirca una cinquantina d'anni, la figlia e il marito sono morti in un incidente stradale pochi anni fa. Lo so perché io e i miei amici giravamo sempre lì intorno, a creare casini e roba simile. Non è che quello sia proprio un bellissimo quartiere. Quando mi hanno affidata a un'altra famiglia, degli stronzi assurdi, lei ha cercato di aiutarmi, in qualche modo, ma io non accettavo e non accetto tutt'ora niente da nessuno. Sapeva in che situazione mi trovavo, ma me la sapevo cavare in qualche modo, e poi non aveva prove certe di tutto quello che facevano, quindi non si poteva fare niente.
"Bene. Allora deve soltanto firmare questi documenti." Reynold gli porge una pila di fogli e mi lancia un'occhiataccia.
Nel giro di dieci minuti finalmente possiamo uscire da quello studio minuscolo, e arriviamo al parcheggio.
"La mia macchina è quella lì." La signora Thompson indica una Mercedes nera alla fine del parcheggio.
Mi avvio alla macchina a passo svelto, lasciando indietro la signora Thompson. Mi fermo davanti alla portiera aspettando che apra l'auto, e quando lo fa mi infilo dentro sbattendo la portiera.
"Sai, casa mia è un po' piccolina, ma ti ho preparato una stanza molto carina. Puoi arredarla come vuoi tu, ho messo solo il letto con le nuove lenzuola e un armadio. Per il resto puoi fare tu. Hanno già portato la tua roba. Posso aiutarti a sistemarla, se vuoi..."
"Non mi serve l'aiuto di nessuno." Rispondo secca.
Lei non dice più niente fino all'arrivo a casa sua. Apre la porta, ed io entro per prima. Il salone è piccolino, effettivamente, ma arredato bene. I divani sono beige, come le due poltrone al lato. C'è un tavolino di vetro, prima della libreria attaccata al muro. In uno spazio di quella libreria è posizionata la televisione. In fondo al salone ci sta un corridoio, subito accanto la scale.
"E... questo è il salone. Vieni, ti mostro la cucina." Apre una porta al lato della stanza. A sinistra è posizionato un piccolo tavolino di legno, con intorno quattro sedie. Questa stanza forse è più spaziosa del salone, e sembra una cucina da veri professionisti.
C'è anche una porta che dà sul giardinetto interno. Mi ci porta, e noto subito un tavolino tondo circondato da sei o sette sedie.
"Sai, io e le mie amiche ci mettiamo qui fuori a prendere il tè." Mi sorride. Uno di quei sorrisi che ti fa venire il voltastomaco per tutta la dolcezza che mostra.
"Non credo ti importi molto di camera mia, perciò andiamo direttamente su." Mi dice quando torniamo in salone.
Comincia a salire la scale ed io la seguo. Arriviamo ad una soffitta abbastanza spaziosa. Il letto è proprio sotto al tetto, e devo stare attenta quando mi alzo, ma per il resto mi muovo bene dentro la stanza piena di scatoloni.
"Mi hai detto che sistemi da sola..."
"Si." Annuisco, e la vedo scendere le scale dopo avermi sorriso. Di nuovo. Ma ha una paralisi o cosa?
Comincio a tirare fuori la mia poca roba dagli scatoloni. Le uniche cose costanti nella mia vita, quelle che porto dietro fin dalla prima casa a cui sono stata affidata, sono: una catenella con le mie iniziali e un libro che mi leggevano sempre quando ero piccola, nel centro affidamento.
Per il resto sono tutte cianfrusaglie... vestiti, scarpe, libri, disegni.
Dopo aver sistemato tutto mi distendo sul letto e guardo fuori dalla finestra. La vista dall'alto di Chicago è fantastica.
"Jade?"
"Si?" rispondo sbuffando.
"È pronta la cena."
"Non ho fame." Mi alzo con cautela dal letto e apro la porta della camera. Poi vado in bagno. È abbastanza grande, ha la vasca e un mobile vuoto. Decido di mettere lì i miei trucchi, e poi mi faccio una bella doccia.
Quando esco mi avvolgo nell'asciugamano e mi dirigo in camera mia. Afferro un top nero e dei jeans strappati e attillati. Poi, metto la mia giacca di pelle e gli anfibi con il tacco alto, e mi trucco. Metto l'eye-liner sugli occhi e un po' di ombretto scuro. Infine il rossetto rosso. I capelli scuri sono sciolti e abbastanza spettinati, così metto un cappello nero in testa, e sono pronta per uscire.
Scendo le scale facendo rumore coi miei tacchi e quando attraverso il salone vedo la signora Thompson mangiare sul divano, davanti alla televisione.
"Dove vai?" Mi chiede.
"Fuori." E sbatto la porta dietro di me. L'ara fresca della sera mi riempie i polmoni, e infilo le mani in tasca per riscaldarle. Scendo gli scalini umidi fino ad arrivare al dialetto, che percorro a testa alta. Intorno a me ragazzi che ho già visto di striscio prima di andare in riformatorio mi fanno cenni col capo e bisbigliano tra loro guardandomi.
Arrivo nel mio solito bar. Entro, e tutti gli sguardi si rivolgono a me. Signori che mi fischiano, ragazzi che mi sorridono, e poi Larry, che con un'espressione sorpresa se ne salì, tenendo un bicchiere a mezz'aria. Quando vede che mi sto avvicinando, mi sorride.
"Sei tornata!" Esclama posando il bicchiere davanti al suo cliente.
"Già." Schiocco la lingua.
"È stata dura?" Si volta a preparare un'altra bevanda.
"Beh, sai come sono, vado avanti." Mi stringo nelle spalle, e quando si volta mi porge un bicchiere.
"La vodka che ti piace tanto." Ammicca.
Annuisco in segno di gratitudine e la bevo tutta d'un sorso.
"Che c'è? Non te le davano queste cose in riformatorio?" Ride.
"Non fare il coglione." Lo avverto.
"Non è successo molto da quando te ne sei andata. Non si vedono neanche più gli altri ragazzi." Mi comunica passando uno straccio bagnato sul bancone.
"Dammene un'altra." Faccio scivolare il bicchiere verso di lui. Dieci secondi dopo lo rimette davanti a me.
"Con chi stai ora?"
Deglutisco il primo sorso. "Dalla Thompson."
"Sul serio? Da Terry? Ha accettato a tenerti? Sono contento per te!"
"Si beh... ancora un anno, e poi sarò decisamente libera." Sospiro.
"Ricomincerai scuola?"
"Si." Sospiro guardando il vuoto. Finisco il mio secondo bicchiere di vodka.
"Vacci piano, bella." Larry lo riprende e lo mette sul lavandino, per poi servire un altro cliente e tornare di nuovo a parlare con me.
"Quando?" Continua il nostro discorso.
"Già da domani." Non mi va per niente di andare a scuola, sinceramente, ma devo. "Senti... ti serve una mano? Intendo per il locale?"
"Che vuoi dire?" MI guarda sospettoso.
"Posso lavorare da te? Ho bisogno di mettere da parte i soldi."
"E per cosa? Per il college?" Ridacchia.
"Nah... Comunque, posso fare la cameriera, lavorare in cassa... come ti pare, qualsiasi cosa."
"Per me va bene. Ho già ridotto le ore a Ian. Puoi prendere il suo posto. Il sabato e il venerdì. Lavorerai anche quando ci saranno i party nel locale, okay?"
"Si, d'accordo." I soldi mi servono, in qualsiasi caso.
"Passa domani per parlare del contratto."
"Beh, io vado. Ci vediamo." Saluto con un cenno della mano e esco sotto lo sguardo di tutti dal locale. Saranno sorpresi di vedermi di nuovo da queste parti, presumo.
Ehiii! Mi auguro che la storia vi piaccia. Scusate per gli errori, se ce ne sono.
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A good bad girl
RomanceJade è sicuramente una ragazza che tutte le mamme non vorrebbero far conoscere ai propri figli: sboccata, sfacciata, testarda, pericolosa, spezza cuori e con la fedina penale sporca. Cresciuta in un quartiere malfamato di Detroit, è stata in affidam...